Originariamente inviato da figlio di rol
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e in questo........
anni, ci si accorge che la riforma operata negli anni 1972 e 1973 ha fallito: sia perché ha consentito una enorme evasione fiscale sia perché non ha ripartito il carico tributario tra tutti i soggetti passivi (persone fisiche e giuridiche) in proporzione alla loro capacità contributiva. Chi percepisce un reddito da lavoro dipendente, infatti, risulta penalizzato rispetto a chi percepisce un reddito da lavoro autonomo e di impresa che può calcolare la misura della sua contribuzione sulla base di un reddito imponibile (ricavi meno spese) spesso minimizzato se non addirittura trasformato in perdita. Le società di capitali e di persone raramente chiudono un bilancio in attivo. La perdita regna sovrana e le società spesso non contribuiscono, se non in minima parte, alle necessità economiche dello Stato da cui, peraltro, pretendono servizi sempre più efficienti e tecnologicamente avanzati.
L’attività di accertamento del reddito da parte delle Agenzie delle Entrate, pur tenendo conto della notevole competenza del personale utilizzato e dell’impegno profuso, deve ritenersi inadeguato sia per i mezzi che lo Stato mette a loro disposizione sia per l’esiguo numero dei soggetti verificati, sia per i mille modi che l’evasore può utilizzare per evitare il pagamento di quanto eventualmente dovuto.
Occorre, quindi, sostituire il sistema tributario vigente con uno che:
a) obblighi tutti (persone fisiche e persone giuridiche) a contribuire alle spese dello Stato secondo la propria capacità contributiva;
b) riduca, conseguentemente, per ogni contribuente la pressione fiscale;
c) semplifichi sia gli adempimenti dei contribuenti per quanto attiene al loro obbligo di dichiarazione e di versamento, sia quelli dell’Agenzia delle Entrate nell’accertare la veridicità di quanto dichiarato;
d) garantisca la riscossione immediata delle imposte dichiarate e accertate definitivamente;
e) istituisca ufficialmente il reato di evasione fiscale e lo punisca, per la sua riconosciuta gravità, con pene severissime (come, per esempio, la cancellazione dagli albi professionali, il ritiro delle licenze d’esercizio di attività commerciali e industriali, la confisca di beni mobili e immobili di proprietà dell’evasore condannato, etc…) in modo da dissuadere chiunque dal commetterlo;
f) dichiari illegittimo ogni condono fiscale perché causa di disparità di trattamento tra i contribuenti: quelli corretti, precisi e onesti nel far fronte ai propri doveri contributivi e quelli distratti che soli possono trarre ingiusti vantaggi.
g) consenta alla giustizia tributaria di provvedere in tempi molto brevi a decidere i ricorsi presentati contro gli accertamenti.
Tutto questo è possibile. Come? Modificando quello che fino ad oggi è stato riconosciuto erroneamente come il principio fondante del nostro sistema tributario:considerare il reddito imponibile (cioè la differenza tra ricavi e spese) dichiarato da ciascun contribuente come indice della sua capacità contributiva al quale rapportare l’imposizione fiscale.
E’ evidente l’iniquità di un tale sistema. La capacità contributiva cui rapportare l’imposizione fiscale non può dipendere da un fattore aleatorio, vago e incerto quale si è dimostrato essere nel sistema tributario vigente il reddito imponibile: se il contribuente non intende pagare le imposte o le vuole pagare nella misura da lui scelta, è sufficiente che intervenga nella contabilità e determini il reddito più conveniente o una perdita. Le probabilità che eventuali violazioni vengano accertate sono minime e, comunque, possono trascorrere degli anni prima che l’Erario possa pretendere il giusto tributo.
In tal modo cresce a dismisura il numero degli evasori fiscali e, per sopperire alle minori entrate, lo Stato è costretto a tenere alte le aliquote determinando una pressione fiscale esagerata nei confronti di coloro che le imposte sono costretti a pagarle interamente.
Superare il concetto di reddito
Per ovviare a tale inconveniente e raggiungere il risultato di ridurre la pressione fiscale divenuta ormai esagerata, sarebbe sufficiente stabilire che le imposte dovute da ciascun contribuente siano rapportate, anzichè al reddito, al “volume d’affari” da lui conseguito nell’esercizio.
Praticamente si verrebbe a equiparare la base impositiva dei lavoratori autonomi, delle imprese e delle società con la retribuzione lorda dichiarata e tassata in capo ai lavoratori dipendenti e ai pensionati.
L’attività di accertamento delle Agenzie delle Entrate per i lavoratori autonomi, le imprese e le società sarebbe limitata alla verifica di una sola posta di bilancio: il fatturato.
La congruità e l’inerenza delle spese sostenute diventerebbe del tutto irrilevante.
La creazione del reato di evasione fiscale severamente sanzionato, l’obbligo di effettuare i pagamenti con sistemi facilmente tracciabili e l’aliquota particolarmente bassa conseguente all’inevitabile aumento della platea dei contribuenti, potrebbero essere un serio contrasto al gravissimo fenomeno dell’evasione fiscale che fino a oggi ha condizionato l’economia dello Stato italiano.
E’ facile intuire che un sistema di tal fatta possa trovare l’opposizione di coloro (persone fisiche e giuridiche) che sono avvezzi a non pagare imposte sia per effetto di elusioni che di evasioni.
E’ invece particolarmente favorevole per chi corrisponde interamente le imposte.
Una simile riforma potrebbe finalmente aiutare a raggiungere la tanto agognata equità fiscale (vedi anche questo post) particolarmente utile per il rilancio dell’economia nazionale.
Esiste anche un altro motivo valido per procedere ad una riforma di questo tipo: la necessità universalmente riconosciuta di redistribuire la ricchezza per combattere la dilagante povertà.
L’attuale sistema fiscale, imperniato sulla progressività delle aliquote, privilegia la concentrazione della ricchezza in pochi soggetti. Infatti, l’Erario, per incassare maggiori imposte ha l’interesse che vi siano contribuenti a reddito alto piuttosto che una miriade di soggetti a basso reddito (per esempio, su un reddito di un milione la pressione fiscale può raggiungere il 40% e oltre, mentre se lo stesso milione fosse ripartito in 100 contribuenti, con un reddito di 10.000 Euro ciascuno, l’Erario non incasserebbe niente o quasi).
Utilizzando il sistema qui descritto e dunque tassando il ricavo lordo con un’aliquota unica, tale problema sarebbe facilmente risolto e l’Erario incasserebbe sempre gli stessi importi.
b) riduca, conseguentemente, per ogni contribuente la pressione fiscale;
c) semplifichi sia gli adempimenti dei contribuenti per quanto attiene al loro obbligo di dichiarazione e di versamento, sia quelli dell’Agenzia delle Entrate nell’accertare la veridicità di quanto dichiarato;
d) garantisca la riscossione immediata delle imposte dichiarate e accertate definitivamente;
e) istituisca ufficialmente il reato di evasione fiscale e lo punisca, per la sua riconosciuta gravità, con pene severissime (come, per esempio, la cancellazione dagli albi professionali, il ritiro delle licenze d’esercizio di attività commerciali e industriali, la confisca di beni mobili e immobili di proprietà dell’evasore condannato, etc…) in modo da dissuadere chiunque dal commetterlo;
f) dichiari illegittimo ogni condono fiscale perché causa di disparità di trattamento tra i contribuenti: quelli corretti, precisi e onesti nel far fronte ai propri doveri contributivi e quelli distratti che soli possono trarre ingiusti vantaggi.
g) consenta alla giustizia tributaria di provvedere in tempi molto brevi a decidere i ricorsi presentati contro gli accertamenti.
Tutto questo è possibile. Come? Modificando quello che fino ad oggi è stato riconosciuto erroneamente come il principio fondante del nostro sistema tributario:considerare il reddito imponibile (cioè la differenza tra ricavi e spese) dichiarato da ciascun contribuente come indice della sua capacità contributiva al quale rapportare l’imposizione fiscale.
E’ evidente l’iniquità di un tale sistema. La capacità contributiva cui rapportare l’imposizione fiscale non può dipendere da un fattore aleatorio, vago e incerto quale si è dimostrato essere nel sistema tributario vigente il reddito imponibile: se il contribuente non intende pagare le imposte o le vuole pagare nella misura da lui scelta, è sufficiente che intervenga nella contabilità e determini il reddito più conveniente o una perdita. Le probabilità che eventuali violazioni vengano accertate sono minime e, comunque, possono trascorrere degli anni prima che l’Erario possa pretendere il giusto tributo.
In tal modo cresce a dismisura il numero degli evasori fiscali e, per sopperire alle minori entrate, lo Stato è costretto a tenere alte le aliquote determinando una pressione fiscale esagerata nei confronti di coloro che le imposte sono costretti a pagarle interamente.
Superare il concetto di reddito
Per ovviare a tale inconveniente e raggiungere il risultato di ridurre la pressione fiscale divenuta ormai esagerata, sarebbe sufficiente stabilire che le imposte dovute da ciascun contribuente siano rapportate, anzichè al reddito, al “volume d’affari” da lui conseguito nell’esercizio.
Praticamente si verrebbe a equiparare la base impositiva dei lavoratori autonomi, delle imprese e delle società con la retribuzione lorda dichiarata e tassata in capo ai lavoratori dipendenti e ai pensionati.
La netta diminuzione della pressione fiscale è evidente se si considera che il rapporto tra le entrate dello Stato per le imposte dirette (circa 225 miliardi di Euro l’anno) e il totale tra il volume d’affari dichiarato dai titolari di partita IVA e le retribuzioni lorde dichiarate dai lavoratori dipendenti e i pensionati (circa 5000 miliardi di Euro l’anno) è pari a circa il 4,5%.
Ciò significa che ogni persona fisica e giuridica assolverebbe al proprio dovere contributivo corrispondendo un’imposta calcolata in tale percentuale non più sul proprio reddito ma sul proprio volume d’affari.L’attività di accertamento delle Agenzie delle Entrate per i lavoratori autonomi, le imprese e le società sarebbe limitata alla verifica di una sola posta di bilancio: il fatturato.
La congruità e l’inerenza delle spese sostenute diventerebbe del tutto irrilevante.
La creazione del reato di evasione fiscale severamente sanzionato, l’obbligo di effettuare i pagamenti con sistemi facilmente tracciabili e l’aliquota particolarmente bassa conseguente all’inevitabile aumento della platea dei contribuenti, potrebbero essere un serio contrasto al gravissimo fenomeno dell’evasione fiscale che fino a oggi ha condizionato l’economia dello Stato italiano.
E’ facile intuire che un sistema di tal fatta possa trovare l’opposizione di coloro (persone fisiche e giuridiche) che sono avvezzi a non pagare imposte sia per effetto di elusioni che di evasioni.
E’ invece particolarmente favorevole per chi corrisponde interamente le imposte.
Una simile riforma potrebbe finalmente aiutare a raggiungere la tanto agognata equità fiscale (vedi anche questo post) particolarmente utile per il rilancio dell’economia nazionale.
Esiste anche un altro motivo valido per procedere ad una riforma di questo tipo: la necessità universalmente riconosciuta di redistribuire la ricchezza per combattere la dilagante povertà.
L’attuale sistema fiscale, imperniato sulla progressività delle aliquote, privilegia la concentrazione della ricchezza in pochi soggetti. Infatti, l’Erario, per incassare maggiori imposte ha l’interesse che vi siano contribuenti a reddito alto piuttosto che una miriade di soggetti a basso reddito (per esempio, su un reddito di un milione la pressione fiscale può raggiungere il 40% e oltre, mentre se lo stesso milione fosse ripartito in 100 contribuenti, con un reddito di 10.000 Euro ciascuno, l’Erario non incasserebbe niente o quasi).
Utilizzando il sistema qui descritto e dunque tassando il ricavo lordo con un’aliquota unica, tale problema sarebbe facilmente risolto e l’Erario incasserebbe sempre gli stessi importi.
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