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concorso agenzia delle entrate 2015 - 892 posti per funzionari amministrativi

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    Irpef, fiscalità dei canoni di locazione non riscossi



    L’art. 26 del D.P.R. 917/1986 stabilisce che i redditi fondiari, relativi a immobili a disposizione o concessi in locazione, concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla percezione, in deroga al principio generale che assoggetta a tassazione i redditi delle persone fisiche nell’anno in cui avviene la materiale percezione (c.d. principio di cassa). A questo proposito, l’Agenzia delle Entrare, con la C.M. n. . 11/E/2014 ha precisato, con riferimento alle locazioni di immobili ad uso abitativo, che i canoni, se non percepiti, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del locatore dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Conseguentemente, tali canoni non devono essere riportati nella relativa dichiarazione dei redditi se, entro il termine di presentazione della stessa, si è concluso il procedimento di convalida di sfratto per morosità: nel caso in cui il giudice confermi la morosità del locatario anche per i periodi precedenti al provvedimento giurisdizionale, al locatore è riconosciutoun credito d’imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti. La contestuale sussistenza di tali condizioni legittima il proprietario a non dichiarare il reddito fondiario relativo ai canoni non riscossi, consentendogli di indicare esclusivamente la rendita catastale Qualora il provvedimento di convalida di sfratto si concluda dopo il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione dei redditi, costringendo il contribuente a dichiarare i canoni non riscossi nonché a versare le relative imposte, quest’ultimo ha la possibilità, in occasione della prima dichiarazione dei redditi utile e comunque entro il termine di prescrizione decennale, di determinare un credito d’impostain ragione delle imposte versate sui canoni non riscossi. Il credito d’impostapuò essere utilizzato in compensazione con altre imposte a debito oppure chiesto a rimborso.
    Nel caso in cui il contribuente abbia usufruito del credito d’imposta per i canoni non riscossi, e successivamente tali fitti vengono incassati, anche parzialmente, è necessario dichiarare i canoni tra i redditi assoggettati a tassazione separata.
    Il locatore che concede in locazione un’immobile commerciale (locali commerciali, capannoni) non gode delle medesime tutele, dovendo versare le imposte sui canoni non riscossi anche se il procedimento di convalida di sfratto si è concluso. L’evidente discriminazione tra locatori che affittano per finalità abitativa e quelli che locano per finalità commerciale è stata colmata da un’importante sentenza della Corte Costituzionale, la n. 326/2000, secondo cui i canoni di locazione sono tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta vigente un contratto di locazione e, quindi, è tecnicamente dovuto un canone locativo: è possibile evitare la tassazione quando la locazione è cessata, oppure si è verificata una qualsiasi causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento, specifica clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., alla azione di convalida di sfratto ex artt. 657 e ss del c.p.c.), con dichiarazione da parte del proprietario di avvalersene, provocando lo scioglimento delle reciproche obbligazioni e l’insorgenza del diritto alla restituzione dell’immobile. Conseguentemente, la risoluzione di un contratto di locazione legittima anche il locatore dell’immobile abitativo a non dichiarare i canoni non riscossi. I principi giuridici appena esaminati sono stati più volte confermati dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 11158/2013, 22588/2013, 651/2012, con le quali è stata sancita la tassabilità dei canoni di locazione, ad uso abitativo e commerciale, non riscossi per morosità del conduttore fino al momento della risoluzione contrattuale anche non giudiziale.

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      off topic 2

      Analisi a rischio in presenza di “politiche di bilancio”



      In un precedente commento, si è segnalato come l’analista debba preliminarmente accertare l’attendibilità dei dati oggetto di studio, con particolare riguardo ai valori stimati e congetturati, ma non solo. Altri fattori di rischio si possono, infatti, annidare nella modifica dei criteri di valutazione, che comportano la necessità, prima di effettuare l’analisi di bilancio vera e propria, di depurare i dati dall’effetto di tali cambiamenti: è il caso, ad esempio, delle imprese che hanno mutato il criterio di valutazione delle rimanenze di magazzino, dal Lifo al Fifo o costo medio ponderato, a causa del passaggio – per obbligo (D.Lgs. n. 38/2005) o facoltà – dai principi contabili italiani (Oic 13) a quelli internazionali (Ias 2).
      Nel caso di eventi eccezionali, l’analista deve accertare se il bilancio è in grado di esprimere la normalità delle operazioni reddituali e finanziarie, che riguardano dunque la gestione ordinaria dell’impresa. L’analista deve, pertanto, individuare vendite straordinarie di attività immobilizzate, che possono aver provocato ingenti plusvalenze o minusvalenze, ovvero altre operazioni straordinarie, legate a scorpori di rami d’azienda oppure fusioni: gli effetti di tali fatti devono essere eliminati.
      È, inoltre, necessario verificare se l’impresa appartiene ad un gruppo, in quanto al ricorrere di tale ipotesi l’analisi di bilancio potrebbe perdere di efficacia, considerato che i valori dell’azienda rispondono ad una logica di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento, e non a quella della singola impresa. Maggiori sono i rapporti tra le società del gruppo, e minore è l’attendibilità dei valori di bilancio dell’azienda: in questo caso, l’analisi deve essere effettuata sul bilancio consolidato.
      Il principale fattore di rischio per l’analista è, tuttavia, rappresentato dall’adozione di “politiche di bilancio”, tese ad fare emergere una situazione differente da quella reale, come nel caso dell’iscrizione degli oneri pluriennali: è necessario verificare che vi siano i presupposti per l’iscrizione ovvero il mantenimento del valore iscritto. Ad esempio, un livello di fatturato decrescente è il segnale che tali attività devono essere attentamente analizzate: nella prassi, le imprese che presentano significative perdite operative da conto economico sono, infatti, solite capitalizzare, impropriamente, parte di spese dell’esercizio, iscrivendole proprio come oneri pluriennali. Altri importi inattendibili possono essere riscontrati nei crediti, se iscritti in bilancio al valore nominale, anziché – come, invece, prescritto dalla disciplina civilistica (art. 2426, co. 1, n. 8), c.c.) – al valore presumibile di realizzo, in quanto si è “preferito” non procedere alla svalutazione, che avrebbe appesantito ulteriormente il conto economico: lo stesso dicasi per la sopravvalutazione delle rimanenze di magazzino, tesa ad evitare l’imputazione di una svalutazione a conto economico, o addirittura occultare l’effettuazione di operazioni in evasione d’imposta. Non sono, infatti, rari i casi di imprese che iscrivono in bilancio valori fittizi delle rimanenze, la cui incidenza può arrivare ad assumere dimensioni paradossali, se rapportate al capitale investito. In queste circostanze, può essere determinante l’analisi di benchmarking, in quanto consente di individuare attendibili valori medi di settore, molto utili all’analista esterno per operare opportune rettifiche prima di procedere alla riclassificazione dei bilanci. Analogamente, può accadere che, in deroga ai consueti criteri, l’impresa in perdita, ovvero con una redditività esigua, tenda a stanziare minori quote di ammortamento, talvolta particolarmente ridotte.
      Aspetti critici come quelli illustrati devono essere, quindi, opportunamente considerati, al fine di sviluppare correttamente l’analisi di bilancio. Qualora la fase di verifica dell’attendibilità dei valori di bilancio non sia superata con esito positivo, all’analista non rimane che procedere alla revisione completa del bilancio (rielaborazione e riformulazione), oppure astenersi da ogni giudizio sul bilancio stesso. Al di fuori di quest’ultima, drastica, ipotesi, il completamento dell’attività di verifica dell’attendibilità dei dati di bilancio, e di eventuale rettifica dei valori “anomali” o non ricorrenti, illustrato in precedenza, consente all’analista di passare alla fase successiva del procedimento, ovvero la riclassificazione degli schemi obbligatori del rendiconto annuale, al fine di acquisire le informazioni necessarie per affrontare l’analisi strutturale o per margini. In particolare, è possibile procedere alla prima attività riguardante l’analisi di bilancio, costituita dalla riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico, per disporre di dati più significativi, utili allo svolgimento di alcune attività: individuare l’ammontare delle risorse finanziarie impiegate nell’attività operativa dell’impresa (investimenti in capitale fisso e circolante operativo); evidenziare le fonti di finanziamento destinate alla copertura degli investimenti (mezzi propri e di terzi); mostrare l’equilibrio temporale esistente tra impieghi e fonti di risorse finanziarie; indicare il contributo offerto dalla gestione caratteristica, accessoria (quando esistente), finanziaria, straordinaria e fiscale alla redditività complessiva dell’impresa.


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        Crediti cancellati dal bilancio, deducibilità in base al nuovo Oic 15



        L’art. 1, co. 160, lett. b), della Legge n. 147/2013 ha stabilito che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, gli “elementi certi e precisi” rilevanti per la deduzione della perdita su crediti si ritengono automaticamente sussistenti se il credito è cancellato dal bilancio, in base ai principi contabili (art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986). Con riguardo alle imprese che redigono il rendiconto secondo le disposizioni del codice civile, l’attuale standard nazionale Oic 15 (par. D.VII.a) prevede che la cessione pro-soluto del credito – ovvero senza azione di regresso, per la quale il rischio di insolvenza del debito è trasferito al cessionario – comporta la rimozione dello stesso dal bilancio, nonché la rilevazione dell’eventuale utile o perdita, pari alla differenza tra l’importo conseguito mediante la cessione e il valore contabile di iscrizione del credito. La medesima condotta è contemplata dalla bozza del nuovo principio contabile Oic 15, secondo cui la società cancella il credito dal bilancio quando i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono, oppure latitolarità di tali diritti è trasferita e con essa, sostanzialmente, anche tutti i rischi inerenti il credito, tenendo altresì conto delle garanzie fornite, degli obbligo contrattuali – come quello di riacquisito al verificarsi di determinati eventi o condizioni – e delle commissioni, nonché delle penali dovute per il mancato pagamento e delle eventuali franchigie da corrispondere ai soggetti che hanno garantito l’incasso del credito. È il caso, ad esempio, del forfaiting, della datio in solutum, del conferimento o della vendita del credito – compresa l’ipotesi del factoring con cessione pro-soluto, mediante trasferimento sostanziale di tutti i rischi del credito – e cartolarizzazione tramite trasferimento sostanziale di tutti i rischi di credito.
        Nel caso di cancellazione del credito per effetto dell’alienazione pro-soluto, la differenza tra il corrispettivo di cessione e il valore di iscrizione del credito – individuato dal valore nominale dello stesso al netto delle perdite accantonate al fondo svalutazione – al momento della cessione è rilevata come perdita, da imputarsi alla voce B)14) “Oneri diversi di gestione” del conto economico. Il nuovo standard stabilisce, inoltre, che nell’eventualità in cui, a seguito della cessione, siano stati trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito, marimangano in capo al cedente alcuni rischi minimali, potrebbe essere necessario – se ricorrono le condizioni previste dall’Oic 19 – effettuare un apposito accantonamento: in ogni caso, nei conti d’ordine devono essere evidenziati i rischi a cui la società continua ad essere esposta successivamente allo smobilizzo. Conseguentemente, la perdita da cessione pro-soluto del credito è automaticamente deducibile dal reddito d’impresa, in quanto emergente a seguito della cancellazione del credito dal bilancio in ossequio ai principi contabili di riferimento: salvo che sia operata ad un prezzo simbolico (Cass. n. 7555/2002). Resta, infatti, impregiudicato il potere dell’Amministrazione Finanziaria di sindacare la congruità della perdita, sotto il profilo dell’elusività dell’operazione, ai sensi dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973: a questo proposito, la C.M. n. 26/E/2013 segnala come maggiormente a rischio le fattispecie intercorse tra soggetti non indipendenti.
        Alla luce della nuova formulazione dell’Oic 15, la deducibilità della perdite su crediti cancellati in base ai principi contabili non è, invece, invocabile nel caso della cessione pro-solvendo, poiché l’alienante trasferisce il diritto di credito, rimanendo, tuttavia, inciso del rischio di retrocessione ovvero inadempimento del debitore ceduto (Cass. n. 7317/2003): non essendo stati sostanzialmente trasferiti tutti i rischi,il credito rimane iscritto in bilancio, ed è assoggettato alle regole generali di valutazione previste dal suddetto standard nazionale. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi del mandato all’incasso – incluso il factoring compreso soltanto il mandato all’incasso e le ricevute bancarie – e le cambiali girate all’incasso, nonché il pegno di crediti, la cessione a scopo d garanzia, lo sconto, le cessioni pro-solvendo, quelle pro-soluto e le cartolarizzazioni che non trasferiscono sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito.
        La nuova versione dell’Oic 15 non ammette, quindi, più l’ipotesi di cancellazione dal bilancio anche nel caso di crediti ceduti con azione di regresso (pro-solvendo), a differenza della formulazione del principio contabile nazionale sinora applicata. Il nuovo orientamento appare, peraltro, maggiormente coerentemente, sotto il profilo sostanziale, con il concetto di “definitività della perdita”sul quale si fonda l’art. 101, co. 5, del Tuir: sul punto, si rammenta che l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto, prima dell’entrata in vigore delle novità previste dalla Legge n. 147/2013, che rientra tra gli atti idonei a produrre una perdita deducibile ai sensi dell’art. 101, co. 5, del Tuir la “cessione del credito che comporta la fuoriuscita, a titolo definitivo, del credito dalla sfera giuridica, patrimoniale ed economica del creditore” (C.M. n. 26/E/2013).

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          Riduzione dei debiti, effetti contabili



          La riduzione dei debiti può derivare da un atto unilaterale del creditore, oppure da un accordo perfezionato con il debitore: nel primo caso, si rientra nell’istituto giuridico della remissione, disciplinato dall’art. 1236 c.c., che produce effetti contabili differenti, in base alla qualificazione del creditore rinunciante. In particolare, se costui è socio del debitore, non si produce alcun effetto sul conto economico della partecipata, bensì una mera permutazione patrimoniale: la riduzione della voce D)3) dello stato patrimoniale passivo, rubricata ai “Debiti verso soci per finanziamenti”, ed il contestuale incremento di un componente dei mezzi propri, la voce A)VII) “Altre riserve” (Oic 28, par. B), p. 9). I principi contabili risultano, pertanto, allineanti con la disciplina fiscale – dettata dall’art. 88, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986 – secondo cui non costituisce sopravvenienza attiva la rinuncia del socio ai propri crediti verso la partecipata: a questo proposito, si segnala, tuttavia, che nel caso in cui la remissione provenga da un socio componente dell’organo di gestione della partecipata, ed abbia ad oggetto i compensi a lui spettanti come amministratore non ancora percepiti, si configura il c.d. incasso giuridico, che comporta l’imponibilità dello stesso (C.M. n. 73/E/1994, par. 3.20).
          Diversamente, nel caso in cui l’atto di rinuncia sia formalizzato da un creditore non socio, emerge una sopravvenienza attiva da imputare a conto economico, nell’area ordinaria, alla voce A)5) “Altri ricavi e proventi”, a prescindere dalla consistenza del relativo importo, in virtù della natura ricorrente di tale componente reddituale. In senso conforme, sembrerebbero deporre gli stessi principi contabili, come l’Oic 29 (pure nella nuova versione in corso di aggiornamento), secondo cui non devono essere considerati eventi od operazioni straordinari le perdite su crediti – anche se di rilevante entità (per insolvenza del creditore) – e la definizione di controversie, qualora di natura ricorrente o pertinenti all’ordinaria gestione dell’impresa. Si consideri, inoltre, quanto precisato dal documento interpretativo n. 1 dell’Oic 12, secondo cui “devono essere, invece, iscritte alla voce B)14) le perdite realizzate su crediti e quindi non derivanti da valutazioni, come ad esempio le perdite conseguenti a riconoscimento giudiziale di un minor importo rispetto a quello iscritto; le perdite conseguenti a cessioni di crediti; le riduzioni di crediti iscritti in bilancio a seguito di transazioni”: è altresì sottolineato che per i costi iscrivibili nella voce B)14) “Oneri diversi di gestione” – ad esempio, le perdite che il creditore subisce per effetto della riduzione delle passività del debitore – può essere utilizzata una classificazione analoga a quella effettuata per la voce A)5) “Altri ricavi e proventi”.
          I predetti principi potrebbero, tuttavia, essere derogati, in base ad un altro principio contabile nazionale, l’Oic 6, riguardante la risutruturazione dei debiti e l’informativa di bilancio: tale standard, applicabile alle sole imprese in continuità aziendale che ridefiniscono le proprie passività (piani di risanamento o concordato preventivo, moratorie o rinegoziazioni), stabilisce che gli effetti reddituali derivanti dalla riduzione dei debiti devono essere imputati nella voce E)20), tra i proventi straordinari, inserendo nel conto economico – se di importo rilevante – un apposito “di cui utili derivanti dalla ristrutturazione”, e ricostruendo il relativo ammontare in nota integrativa.

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              non hanno ancora capito......

              Tutte le volte che un imprenditore vuole aiutare un partito politico ha bisogno di accreditare i soldi su un conto che non deve essere dichiarato.....

              Il partito che ne beneficia ha bisogno di nascondere quei soldi in un posto al di fuori del proprio paese...

              Gli alti dirigenti di Banca (e i loro controllori) non possono andare in prigione per queste truffe perchè verrebbe messo in pericolo questo sistema......

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                ora ci sono i piccoli risparmiatori di mezzo e va bene...ma sarebbe più proficuo per l'intera collettività se si controllasse tutto quello che avviene tra i passaggi interni..(banche/intermediari)...quello che succede nelle operazioni di compensazione tra i vari istituti......

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                  mi piacerebbe sapere ad esempio se viene tracciato il tutto delle migliaia di operazioni che avvengono durante il giorno oppure solo la compensazione finale ad esempio......

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                    Http
                    ://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/25/frode-fiscale-negli-usa-27-anni-in-cella-in-italia-impunita-per-legge/1980899/
                    In America succede diversamente...perche'?

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                      http://www.ilfattoquotidiano.it/2015...legge/1980899/

                      In America succede diversamente...perche'?

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                      Sto operando...
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