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concorso agenzia delle entrate 2015 - 892 posti per funzionari amministrativi

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    Fabbricato strumentale e scorporo del valore dell’area



    La nuova formulazione del principio contabile nazionale Oic 16 ha confermato la generale raccomandazione di scorporo del valore dell’area sul quale insiste un fabbricato strumentale – in quanto i terreni non sono ammortizzabili, salvo che siano soggetti a deperimento, come nel caso di quelli adibiti a cave, discariche, sedime autostradale o ferroviario – eliminando, tuttavia, la deroga che consentiva di non procedere allo scorporo nell’ipotesi di aree il cui costo fosse sostanzialmente assorbito dagli oneri di ripristino o bonifica. In tale circostanza, vi era, pertanto, la presunzione che il valore del compendio immobiliare iscritto in bilancio fosse ascrivibile esclusivamente al fabbricato, in quanto il valore del terreno era azzerato dalle predette spese potenziali: al ricorrere di tale eventualità, l’impresa non ha operato alcuno scorporo, calcolando così gli ammortamenti sull’intero costo. Tale possibilità non è più consentita dall’Oic 16, che – ai fini di una migliore rappresentazione in bilancio – richiede l’esplicitazione dell’importo riferibile al terreno e di quello ascrivibile al fondo di ripristino e bonifica: “se il valore dei fabbricati incorpora anche quello dei terreni sui quali insistono, il valore del fabbricato va scorporato, anche in base a stime, per essere ammortizzato. In particolare, il valore del terreno è determinato come differenza residua dopo aver prima scorporato il valore del fabbricato”. In altri termini, è necessario scorporare il valore del terreno dal relativo fabbricato, stornare il fondo ammortamento per la quota ascrivibile all’area e rilevare un fondo per oneri di ripristino o bonifica.
    Per quanto concerne lo scorporo del valore del terreno, l’Oic 16 fa riferimento all’utilizzo di criteri oggettivi, come possono essere una relazione di stima riferita al momento di acquisto del terreno, oppure il valore individuato dalla delibera comunale ai fini dell’imposizione Ici/Imu: non è, invece, possibile invocare le stime Omi, in quanto non ancora previste con riguardo alle aree edificabili. Il valore così individuato potrebbe, tuttavia, divergere da quello determinato forfetariamente, ai fini fiscali, sulla base del coefficiente del 20% (o, nel caso dei terreni sui quali insiste un fabbricato industriale, del 30%), ai sensi dell’art. 36, co. 7, del D.L. n. 223/2006, generando, quindi, un disallineamento civilistico-fiscale. Si ricorda, inoltre, che il successivo co. 8 stabilisce che il costo complessivo del fabbricato e dell’area sul quale applicare uno dei predetti coefficienti forfetari di scorporo deve essere assunto al netto di eventuali costi incrementativi capitalizzati e di rivalutazioni effettuate, in quanto riferibili esclusivamente al valore del fabbricato, e non anche a quello dell’area (C.M. n. 11/E/2007, par. 9.4).
    A completamento della tematica dello scorporo del costo del terreno, si segnala quanto riportato nella Guida operativa per la transizione ai principi contabili internazionali Ias/Ifrs (ottobre 2005): lo scorporo del valore dell’area non deve essere operato con riferimento a tutte le singole unità facenti parte di un più ampio compendio immobiliare (appartamenti, uffici, ecc.), ma esclusivamente ai fabbricati cielo-terra.Sul punto, si rammenta che questi ultimi sono intesi come i beni che occupano tutto lo spazio edificabile con un’unica unità immobiliare, come nel caso di un capannone industriale (C.M. n. 11/E/2007, par. 9.3.). La ratio della suddetta limitazione è individuabile nella circostanza che vi possono essere porzioni di edifici i cui proprietari non vantino anche il possesso di un terreno sottostante e, quindi, non assoggettabili all’obbligo di scorporo.
    Alla luce dei suddetti principi, si possono verificare dei disallineamenti civilistico-fiscali, costituiti da costi definitivamente indeducibili, rendendo necessario effettuare una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi: è il caso, ad esempio, dell’imputazione a conto economico di quote di ammortamento calcolate sul costo complessivo del fabbricato industriale – e, quindi, senza, scorporare il valore riferimento all’area sottostante – a causa di un mero errore contabile, oppure in quanto trattasi di immobile diverso da “cielo-terra”, entrambi comportamenti non riconosciuti dall’Amministrazione Finanziaria.
    In virtù dello scorporo del valore del terreno, come anticipato, è, poi, necessario – qualora in passato siano stati calcolati gli ammortamenti sull’intero costo del compendio immobiliare (fabbricato più terreno) – operare una riclassificazione di una parte del fondo ammortamento al fondo di ripristino e bonifica, secondo una delle seguenti modalità alternative: giroconto dal fondo ammortamento a quello di ripristino e bonifica; storno della quota parte del fondo ammortamento, imputazione a conto economico di una corrispondente sopravvenienza attiva straordinaria, e appostazione – per il medesimo importo – del fondo di ripristino e bonifica, tramite la rilevazione di una sopravvenienza passiva straordinaria (Fondazione Nazionale dei Commercialisti, 28 febbraio 2015). La soluzione del giroconto patrimoniale dovrebbe ritenersi preferibile, in quanto non si è in presenza di un errore contabile – che avrebbe giustificato la soluzione 2), in ossequio a quanto raccomandato dal principio contabile nazionale Oic 29 – bensì di una sorta di riclassificazione di una voce dello stato patrimoniale dovuta ad un mutamento, ai fini di una migliore informativa, dell’Oic 16.
    A seguito di tale riclassificazione, è, poi, necessario verificare se tale fondo di ripristino e bonifica è congruo, oppure necessita di un adeguamento, ad esempio, in quanto eccessivo: al ricorrere di quest’ultima ipotesi, è necessario stornare la parte di fondo esuberante, con la conseguente emersione di una sopravvenienza attiva ordinaria (Oic 31, par. 34), in quanto le rettifiche che emergono dall’aggiornamento della congruità dei fondi non rappresentano correzioni di precedenti errori, ma costituiscono cambiamenti di stime. A questo proposito, si osserva, tuttavia, quanto precisato dall’Oic 29, par. 40: nei casi in cui un cambiamento di principio contabile comporti, contestualmente, anche un mutamento di stima, la rettifica complessiva – qualora sia difficile distinguere i due effetti – è rilevata come cambiamento di principio contabile, mediante imputazione a conto economico, in questa circostanza come sopravvenienza attiva straordinaria.
    Sotto il profilo tributario, si dovrebbe ritenere che tale componente positivo di reddito sia fiscalmente irrilevante (variazione in diminuzione nel modello Unico 2015) nella misura in cui è espressione degli ammortamenti riferiti al terreno ripresi in aumento, dal periodo d’imposta 2006, nelle relative dichiarazioni dei redditi (art. 88 del Tuir). In senso conforme, si veda anche l’orientamento della dottrina prevalente, secondo cui la non imponibilità di tale sopravvenienza attiva consente di evitare il rischio di una duplicazione d’imposta nel caso di successiva, e solo eventuale, cessione del bene: al ricorrere di tale ipotesi, infatti, il costo fiscale dello stesso sarebbe più basso per effetto degli ammortamenti dedotti sino al 2005, con la conseguenza che l’importo a suo tempo dedotto, e che si vorrebbe recuperare, tornerebbe ad essere soggetto a tassazione sotto forma di maggiore plusvalenza. Altri commentatori ritengono, invece, che si debba attribuire rilevanza fiscale a tale provento, in modo da ristabilire l’originario costo fiscale del terreno: è, pertanto, auspicabile un chiarimento dell’Agenzia delle Entrate. Il comportamento tributario assunto in tale circostanza dovrà, pertanto, essere considerato in caso di successivo realizzo del bene: il costo fiscalmente riconosciuto dovrà, infatti, tenere conto dell’importo della sopravvenienza attiva, derivante dallo storno del fondo, a suo tempo eventualmente assoggettata ad imposizione.
    Alla luce di quanto sopra riportato, sono prospettabili i seguenti casi, a seconda che in bilancio:
    1) non risulti iscritto alcun fondo ammortamento dedotto riferito al terreno. Conseguentemente, il contribuente non è tenuto ad operare variazioni fiscali nel modello Unico 2015;
    2) sia stato iscritto un fondo ammortamento dedotto relativo al terreno, riclassificato in fondo di ripristino e bonifica. Nessuna rettifica deve essere effettuata in sede di dichiarazione dei redditi;
    3) sia stato stornato il fondo ammortamento dedotto, mediante imputazione a conto economico. Gli effetti fiscali sono controversi, ma la dottrina prevalente, come anticipato, propende per la non imponibilità del relativo componente positivo, rendendo necessaria una corrispondente variazione in diminuzione nel modello Unico 2015.


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      “Prima casa”, allineamento Iva-registro



      L’art. 33 del D.Lgs. n. 175/2014 ha mutato i criteri di individuazione delle unità abitative per le quali è possibile usufruire dell’agevolazione “prima casa” ai fini dell’Iva – e, conseguentemente dell’applicazione dell’aliquota ridotta del 4% – allineando tale disciplina a quella prevista nell’ambito degli atti soggetti ad imposta di registro. In particolare, è stato modificato il n. 21 della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. 633/1972, per effetto della quale, anche ai fini Iva, il riferimento non è più alle unità abitative “non di lusso” identificate secondo i criteri del D.M. 2 agosto 1969, bensì a quelle che non siano accatastate nelle categorie A/1, A/8 e A/9, come previsto per l’imposta di registro, dopo le modifiche – operate dall’art. 26, co. 1, del D.L. n. 104/2013, con effetto dal 1° gennaio 2014 – all’art. 10, co. 1, del D.Lgs. n. 23/2011 e, quindi, all’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986. Il legislatore ha, pertanto, rimediato all’assenza di coordinamento tra la normativa Iva e quella dell’imposta di registro, evidenziata anche dall’Agenzia delle Entrate, con la C.M. n. 2/E/2014, par. 1.3 (“per i trasferimenti soggetti ad Iva, ai fini dell’individuazione delle case di abitazione “non di lusso” cui si applicano le agevolazioni “prima casa”, continuano a rilevare i criteri dettati dal D.M. 2 agosto 1969, a prescindere dalla categoria catastale nella quale l’immobile risulta censito in catasto”).
      Conseguentemente, l’aliquota agevolata Iva del 4% trova applicazione con riguardo ai trasferimenti delle prime case di abitazione diverse da quelle accatastate come A/1, A/8 o A/9: quest’ultime non possono, invece, accedere al beneficio, anche qualora non risultino qualificabili come “non di lusso” ai sensi del D.M. 2 agosto 1969.
      L’esclusiva rilevanza, ai fini dell’accesso all’agevolazione “prima casa”, della categoria catastale dell’unità abitativa comporta, pertanto, l’obbligo dell’indicazione – in sede di stipulazione dell’atto di trasferimento o costituzione del diritto reale sull’abitazione per il quale si intende godere dell’aliquota Iva del 4% – della classificazione (o classificabilità) catastale dell’immobile nelle categorie che possono usufruire del regime di favore (C.M. n. 31/E/2014, par. 24.1).
      Nel caso dell’atto preliminare in cui la classificazione dell’unità abitativa sia stata effettuata in base al D.M. 2 agosto 1969, con assoggettamento degli acconti ad un’aliquota Iva superiore al 4%, è riconosciuta la possibilità di rettificare le relative fatture, mediante una nota di variazione (art. 26 del D.P.R. n. 633/1972), in modo da poter applicare la predetta aliquota ridotta sull’intero corrispettivo dovuto (R.M. n. 187/E/2000).
      Il D.M. 2 agosto 1969 risulta, tuttavia, ancora richiamato ai fini dell’applicazione del n. 127-undecies) della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972, secondo cui si applica l’aliquota Iva del 10% alle “case di abitazione non di lusso secondo i criteri” dettati dal D.M. 2 agosto 1969, a prescindere, quindi, dalla categoria catastale: sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha, però, osservato che il n. 127-undecies della tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972 richiama espressamente il n. 21 della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972, presupponendo, pertanto, che l’oggetto del trasferimento sia un immobile avente la medesima natura o classificazione catastale di quelli che potrebbero potenzialmente fruire dell’agevolazione “prima casa”, in presenza di tutte le altre condizioni previste dalla nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986. Conseguentemente, in base ad un’interpretazione sistematica di tali disposizioni, l’Amministrazione Finanziaria ritiene che – ai fini dell’applicazione dell’aliquota Iva del 10% alle cessioni oppure agli atti di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione diverse dalla “prima casa” – non assuma più alcun rilievo la definizione di “abitazione di lusso” di cui al D.M. 2 agosto 1969, che deve, quindi, ritenersi superata (C.M. n. 31/E/2014, par. 24.2).

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        “Rent to buy”: imposte sui redditi e Irap



        Il legislatore per far fronte alle difficoltà del mercato immobiliare ha introdotto una nuova fattispecie contrattuale denominata “rent to buy”, ovvero “affitto con riscatto”, diversa dalla locazione finanziaria, con cui viene concesso in godimento un bene ad una parte (conduttore) in maniera immediata, rinviando al futuro il trasferimento della proprietà del bene. Tale istituto è disciplinato dall’art. 23 del D.L. n. 133/2014. Il trattamento fiscale dell’operazione ha formato oggetto di alcuni chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, contenuti nella C.M. n. 4/E/2015, con particolare riferimento al regime da applicare al canone corrisposto dall’utilizzatore: a tale proposito, è necessario distinguere la quota relativa al godimento del bene (affitto) – soggetta alle regole sulla locazione – da quella costituente un acconto sul prezzo finale di compravendita. Conseguentemente, il concedente che applica le regole previste nell’ambito del reddito d’impresa, durante il periodo di locazione, rileva i canoni di locazione e contabilizza gli acconti sul prezzo come debiti verso il conduttore, mentre solo nella successiva ed eventuale fase di vendita dell’immobile emerge il componente di reddito.
        Tantopremesso, si evidenzia che l’art. 109, co. 2, lett. a), del D.P.R. n. 917/1986 prevede, per i beni immobili, che i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti e le spese di acquisizione si considerano sostenute “alla data della stipulazione dell’atto” di compravendita. Tale disposizione stabilisce, inoltre, che non si deve tenere conto delle clausole di riserva della proprietà, e che la locazione con clausola di trasferimento della proprietà, vincolante per ambedue le parti, è assimilata alla vendita con riserva di proprietà.
 In queste ipotesi, infatti, il verificarsi dell’effetto traslativo, differito a mero scopo di garanzia, è voluto da entrambi i contraenti già al momento della conclusione del negozio: è, quindi, a tale data che occorre fare riferimento per individuare il momento in cui, ai fini fiscali, rileva il trasferimento del bene.
        Nel “rent to buy”, invece, si è in presenza di un negozio giuridico complesso che, oltre al godimento dell’immobile, prevede – in caso di esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore – l’obbligo di cessione del bene da parte del proprietario e l’imputazione in conto prezzo dei soli acconti pagati sino al momento dell’acquisto. Non si rileva alcun vincolo che obblighi entrambe le parti del contratto al trasferimento della proprietà dell’immobile, ma è presente un diritto di acquisto attribuito ad una sola delle parti (il conduttore) che, qualora esercitato, obbliga la controparte (il locatore-proprietario) a cedere l’immobile.
 Lo schema giuridico di tale fattispecie non è, quindi, è riconducibile alla locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti, con l’effetto che non deve ritenersi applicabile il predetto art. 109, co. 2, lett. a), ultimo periodo, del Tuir.
        
Nei periodi precedenti all’esercizio del diritto d’acquisto da parte del conduttore l’unico negozio a cui possa attribuirsi rilievo giuridico è la locazione. Infatti, per tali periodi, il concedente determina il reddito d’impresa secondo le regole che caratterizzano la locazione, attribuendo rilevanza – nel caso di immobili merce o di immobili strumentali per natura – ai canoni pro rata temporis (art. 109, co. 2, lett. b), ultimo periodo, del D.P.R. n. 917/1986): diversamente, nell’ipotesi di immobili patrimonio, è necessario confrontare il canone di locazione e la rendita catastale, ai sensi dell’art. 90 del Tuir.
        Nel periodo della locazione non assume rilevanza reddituale, invece, la parte di canone imputata al corrispettivo del trasferimento, essendo la stessa un acconto versato dal conduttore come anticipo sul prezzo di vendita che per il concedente rappresenta un debito.

        Anche ai fini Irap, nei periodi precedenti all’esercizio del diritto d’acquisto, l’unico negozio a cui possa attribuirsi rilievo giuridico è la locazione: il componente positivo derivante dall’affitto rileva, dunque, per il concedente secondo le regole ordinarie del tributo regionale.

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          Transazione, informativa obbligatoria in bilancio



          Il principio contabile nazionale Oic 6, par. 7 chiarisce che le informazioni relative alle operazioni di ristrutturazione del debito, tra le quali è annoverata anche la transazione, devono consentire ai destinatari del bilancio di avere una chiara percezione della situazione di difficoltà finanziaria in cui versa l’impresa e di comprendere i benefici economici e finanziari che la ridefinizione delle passività è in grado di produrre sull’economia dell’impresa (posizione finanziaria netta, capitale e reddito). In particolare, la nota integrativa del bilancio relativo all’esercizio in cui sono in corso le trattative tra il debitore ed i creditori– sebbene non si sia ancora pervenuti ad un accordo al termine del periodo amministrativo – ed a quello in cui la ristrutturazione diviene efficace tra le parti, deve obbligatoriamente riportare diverse notizie riguardanti la ristrutturazione del debito, a partire dalla sussistenza dei relativi presupposti, mediante la descrizione della situazione di difficoltà finanziaria ed economica dell’impresa debitrice, e le principali motivazioni che l’hanno generata.
          L’informativa riguardante il periodo delle trattative appare, peraltro, coerente con quanto previsto dall’Oic 29, par E.IV, secondo cui l’annuncio o l’avvio di un piano di ristrutturazione rappresenta uno degli eventi successivi alla data di bilancio che è necessario illustrare nella nota integrativa: ciò in quanto si tratta di fatti che, pur non richiedendo variazioni nei valori del bilancio, “influenzano la situazione esistente alla chiusura dell’esercizio (e rappresentata in bilancio) e sono di importanza tale che la loro mancata comunicazionecomprometterebbe la possibilità dei destinatari dell’informazione societaria di fare corrette valutazioni e prendere decisioni appropriate”. Sul punto, il predetto principio contabile nazionale precisa, infatti, che tali eventi vengono frequentemente illustrati nella relazione sulla gestione quali “fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio” (art. 2428, co. 3, n. 5), c.c.): “In tale caso, per completezza dell’informativa di bilancio, è necessario farne menzione anche nella nota integrativa”.
          Per quanto concerne, invece, l’esercizio di perfezionamento dell’accordo, la nota integrativa deve riportare le seguenti notizie:
          · la descrizione degli aspetti principali della ristrutturazione del debito (Oic 6, par 7.3, 7.5 e 7.6), come la tipologia di accordo, la data, le fasi, i debiti interessati ed i relativi valori, le modalità preparatorie ed esecutive, ed il relativo stato di avanzamento. A tale proposito, si rammenta che, in base al predetto principio contabile nazionale, “nell’esercizio in cui sono in corso le trattative tra il debitore e il creditore, nel bilancio del debitore sono fornite informazioni generali sulle trattative in corso tra le parti”;
          · gli effetti contabili degli accordi transattivi di competenza dell’esercizio, in particolare il dettaglio dei debiti ristrutturati e lacomposizione analitica della voce “Utile da ristrutturazione”, da iscriversi nella voce E)20) dell’area straordinaria del conto economico, per l’importo della riduzione concessa dai relativi creditori;
          · i costi sostenuti o maturati in funzione ed esecuzione degli accordi di definizione transattiva del debito (Oic 6, par. 6.3), come le spese di consulenza professionale, per lo svolgimento dell’attività di due diligence, l’assistenza legale, la predisposizione del piano di ristrutturazione e gli altri oneri direttamente correlati agli accordi di definizione transattiva del debito, da imputarsi alla voce E)21) del conto economico.
          La nota integrativa deve, infine, illustrare l’esposizione debitoria dell’impresa alla data della ristrutturazione, precisando l’ammontare delle passività comprese ed escluse dalla ridefinizione. A tale fine, è raccomandata la presentazione di un apposito prospetto, fondato sulla suddivisione dei debiti in base alla natura del creditore.

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            Vitto ed alloggio dei professionisti, deducibilità delle spese



            L’art. 10 del D.Lgs. n. 175/2014 ha sostituito il secondo periodo dell’art. 54, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986, stabilendo che “le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista”: è rimasto, invece, invariato il primo periodo della disposizione, per effetto del quale le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75% e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2% dell’ammontare dei compensi percepiti nel corso del periodo d’imposta.
            La novità normativa, in vigore dal 1° gennaio 2015, non richiede, pertanto, più – ai fini della deducibilità del costo, sostenuto direttamente dal committente per conto del professionista – il previo addebito in fattura, da parte del lavoratore autonomo, delle spese di vitto ed alloggio: è stata, quindi, superata la procedura a suo tempo individuata dall’Agenzia delle Entrate, con le CC.MM. nn. 28/E/2006, par. 38, e 11/E/2007, par 7.2. e 7.3.
            La modifica operata dal D.Lgs. n. 175/2014 si riferisce esclusivamente alle “prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande”, senza preoccuparsi di altre tipologie di spese, come quelle relative ai viaggi del professionista pagati dal committente(biglietti di aerei, treni, ecc.): a questo proposito, l’Agenzia delle Entrate ha, infatti, osservato che tale regime non è applicabile alle spese per prestazioni e somministrazioni acquistate dal lavoratore autonomo e analiticamente addebitate in fatture al committente, né a quelle relative a prestazioni diverse (ad esempio, i servizi di trasporto), ancorchè acquistate direttamente dal committente (C.M. n. 31/E/2014, par. 2). In tale sede, è stato altresì precisato che il novellato secondo periodo dell’art. 54, co. 5, del Tuir – non attribuendo carattere di “compensi in natura” ad alcune prestazioni e somministrazioni, se acquistate direttamente dal committente – introduce una deroga al principio generale secondo cui costituisce compenso per il professionista il rimborso delle spese da parte del committente, ovvero il sostenimento delle spese direttamente a cura del committente. Tale deroga comporta, quindi, la completa irrilevanza, in capo alprofessionista, dei valori corrispondenti alle prestazioni e somministrazioni, acquistate dal committente, di cui lo stesso professionista ha beneficiato per rendere la propria prestazione, sia quali compensi in natura che come spese per la produzione del reddito: per ilcommittente, impresa o lavoratore autonomo, la deducibilità del costo sostenuto per il servizio alberghiero o di ristorazione non è più subordinata alla ricezione della parcella del professionista, e dipende dalle regole ordinariamente applicabili alle rispettive categorie reddituali.
            L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, chiarito che la modifica normativa in commento – stabilendo l’irrilevanza quale compenso in natura delle prestazioni delle prestazioni e somministrazioni acquistate dal committente – è diretta a semplificare gli adempimenti in previsti, ma non comporta, per il committente, un trattamento fiscale delle spese alberghiere e per la somministrazione di alimenti e bevande peggiorativo rispetto a quello applicabile prima dell’entrata in vigore della novità legislativa: in altri termini, la funzione del costo deve continuare a ritenersi assorbita dalla prestazione di servizi resa dal professionista beneficiario al committente. Conseguentemente, non opera, in capo a quest’ultimo, il limite di deducibilità del 75% del costo (artt. 54, co. 5, primo periodo, e 109, co. 5, quarto periodo, del D.P.R. n. 917/1986), con riferimento alle spese sostenute per l’acquisto di prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande di cui sono beneficiari i professionisti, nel contesto di una prestazione di servizi resa al committente, imprenditore o lavoratore autonomo (C.M. n. 31/E/2014, par. 2.1). Tale orientamento presuppone, naturalmente, che sia dimostrabile l’inerenza della spesa rispetto all’attività del committente, l’effettività della stessa e che dalla documentazione fiscale risultino gli estremi del professionistache ha usufruito delle prestazioni o somministrazioni.
            La disposizione novellata dal D.Lgs. n. 175/2014 è ritenuta applicabile anche nella determinazione dei redditi diversi derivanti da attività occasionali di cui all’art. 67, co. 1, lett. l), del Tuir, in virtù della sostanziale identità tra la nozione di compenso riferibile all’attività di lavoro autonomo professionale e quella ascrivibile all’attività di lavoro autonomo non abituale (C.M. nn. 58/E/2001 e 1/E/1973, R.M. nn. 49/E/2013, 69/E/2003 e 20/E/1998). Conseguentemente, gli importi relativi alle prestazioni alberghiere e di somministrazioni di alimenti e bevande, acquistate direttamente dal committente, non costituiscono compensi in natura, e non sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo non abituale: ciò anche nel caso, diverso da quello oggetto della R.M. n. 49/E/2013, in cui l’attività di lavoro autonomo occasionale non sia sostanzialmente gratuita, in quanto è previsto un compenso di importo eccedente le spese sostenute (C.M. n. 31/E/2014, par. 2.2.).

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              importanti novità per l’ammortamento dei beni materiali documento OIC 16, oggetto di revisione definitiva avvenuta nel mese di agosto 2014, contiene delle particolari indicazioni di cui i redattori del bilancio (organo amministrativo) e i soggetti deputati al controllo (collegio sindacale e revisore) devono tener conto.

              Cespiti temporaneamente non utilizzati
              Nella precedente versione del documento OIC 16 era prevista la possibilità di sospendere l’ammortamento per i cespiti non utilizzati per lungo tempo. Tuttavia, tenendo conto che anche il cespite non utilizzato è soggetto ad obsolescenza tecnica ed economica, l’ammortamento va comunque eseguito anche per tali beni.

              Fabbricati civili
              Il paragrafo 54 del documento 16 prevede la possibilità di escludere l’ammortamento per alcuni fabbricati civili e per i cespiti la cui utilità non si esaurisce nel tempo (ad esempio, i terreni). La motivazione sottostante al mancato ammortamento dei fabbricati civili è la considerazione che rappresentano un investimento di mezzi finanziari effettuato dalla società. Al contrario, se tali fabbricati sonoaccessori a quelli strumentali (ad esempio, la casa del custode), gli stessi sono considerati strumentali e come tali ammortizzati. La possibilità di escludere l’ammortamento per i fabbricati civili “investimento” è criticabile, in quanto trattasi di beni che comunque sono destinati ad usurarsi al passare del tempi al pari degli altri cespiti.

              Interruzione ammortamento
              Il paragrafo 56 del documento 16 prevede che “l’ammortamento cessa quando il valore residuo stimato è pari o superiore al valore netto contabile”. Si deve, quindi, stimare il valore residuo al termine della vita utile, e se quest’ultimo è pari o maggiore al valore netto contabile l’ammortamento deve essere interrotto. Il valore residuo deve essere aggiornato periodicamente, tenendo conto del prezzo ottenibile sul mercato attraverso la cessione di immobilizzazioni simili, dopo essere stato inizialmente stimato al momento della redazione del piano di ammortamento: il valore residuo deve essere decurtato di eventuali costi di rimozione
              Tale novità, che tuttavia era già desumibile anche nella precedente versione del documento OIC 16, risulta particolarmente utile con riguardo agli immobili per i quali il valore residuo presumibile al termine della vita utile può essere più facilmente stimato.

              Component approach
              Si tratta di cespiti con componenti aventi vita utile diversa rispetto al bene principale. Il documento OIC 16 prevede che se l’immobilizzazione materiale comprende componenti, pertinenze ed accessori aventi vita utile diversa dal cespite principale, l’ammortamento di tali componenti deve essere calcolato separatamente rispetto al bene principale, salvi i casi in ciò non sia praticabile o non sia significativo. Posto che tale possibilità era di fatto già prevista nella precedente versione dell’OIC 16, le novità del documento revisionato sono le seguenti: la vita utile dell’elemento ricompreso nel cespite principale deve essere differente, e non più solamente inferiore quale condizione per procedere all’ammortamento distinto, e l’ammortamento separato va effettuato quando possibile e significativo.
              Un esempio di applicazione di tale regole potrebbe rinvenirsi negli impianti fotovoltaici qualificati come beni immobili (vedi C.M. n. 36/E/2013), per i quali sono individuabili due soluzioni contabili, la prima delle quali è rappresentata dall’incremento del costo dell’immobile cui si riferisce, con applicazione dell’aliquota di ammortamento propria dell’immobile (preferibile, se l’energia prodotta dall’impianto è destinata alla produzione e non alla vendita). La seconda ipotesi contabile è, invece, costituita dall’ammortamento autonomo, in base al component approach, laddove l’energia prodotta sia anche venduta all’esterno. Tale ultima soluzione può portare ad un disallineamento con le regole fiscali, posto che la C.M. n. 36/E/2013 prevede l’applicazione dell’aliquota del 4%, mentre civilisticamente si applica l’aliquota del 5% se si considera una vita utile di 20 anni (durata tariffa incentivante), con conseguente ripresa a tassazione nel modello Unico della differenza e stanziamento della relativa fiscalità anticipata.

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                Analisi di bilancio, l’importanza del rendiconto finanziario



                Nella prassi professionale, capita sovente che l’impresa cliente ponga un quesito del seguente tenore: a fronte di un bilancio che chiude in utile, come è possibile che le disponibilità liquide (cassa, conti correnti attivi, depositi postali, ecc.) siano diminuite? La risposta all’interrogativo deve essere ricercata considerando che il bilancio d’esercizio costituisce esclusivamente il punto di partenza per l’analisi delle condizioni economiche e finanziarie dell’impresa. Molto spesso, infatti, si è indotti a confondere il risultato reddituale della gestione con quello finanziario, ovvero si è portati ad attribuire valenza finanziaria al risultato economico. A tale proposito, occorre avere ben presente che, mentre il risultato economico (utile o perdita) di un esercizio rispecchia la rappresentazione in bilancio dei ricavi conseguiti e dei costi sostenuti in ottemperanza al principio di competenza, il risultato finanziario è determinato in base al principio di cassa. Affinché il primo (risultato economico) si trasformi nel secondo (risultato finanziario), è necessario che ogni costo e ricavo venga analizzato, rispettivamente, come un’uscita ed un’entrata monetaria.
                Un primissimo aiuto viene offerto dalla comparazione di due stati patrimoniali consecutivi, calcolando le differenze fra le singole voci dell'attivo e del passivo, considerando il valori dell’esercizio di riferimento ed il precedente. Così facendo, è possibile trasformare lo stato patrimoniale in una sorta di “prospetto degli impieghi e delle fonti”, soggetto ad una regola fondamentale: gli incrementi di elementi dell’attivo e la riduzione delle passività rappresentato degli impieghi di liquidità, mentre le fonti di finanziamento sono rappresentate dalla diminuzione di attività (incasso di crediti, vendita del magazzino, ecc.) e dall’aumento dei debiti. Tale prospetto potrebbe, inoltre, rendere necessarie delle rettifiche, integrando o eliminando quelle differenze contabili che non hanno avuto risvolti monetari: si pensi, ad esempio, alla rivalutazione dei beni aziendali.
                Il successivo passo da compiere consiste nell’analisi delle movimentazioni subite da ogni voce di bilancio, effettuabile sulla base delle tabelle di dettaglio riportate nella nota integrativa al bilancio (immobilizzazioni, debiti, trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato, ecc.).
                Anche il risultato economico è composto dalla sommatoria delle risultanze delle diverse aree aziendali: corrente, finanziaria, straordinaria e fiscale. Sotto il primo profilo, può essere utile considerare il tasso di rotazione dei crediti e debiti (tempi medi di incasso dei crediti e di pagamento dei debiti), il cui andamento e confronto consente di sviluppare opportune riflessioni sulla liquidità.
                In conclusione, dopo aver condotto tutte le analisi alla luce delle considerazioni appena svolte, la somma algebrica di ogni flusso aziendale determinerà il fabbisogno monetario, che troverà la necessaria copertura con l’utilizzo di eventuali eccessi di liquidità, l’assunzione di maggiori debiti verso i finanziatori dell’impresa oppure gli apporti di mezzi propri da parte dei soci.

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                  Analisi reddituale, valore aggiunto e Mol



                  In sede di analisi di bilancio, una delle riclassificazioni del conto economico maggiormente diffuse è quella a “valore aggiunto e margine operativo lordo”, in quanto fornisce molte informazioni utili: in particolare, consente di evidenziare la creazione di ricchezza da parte dell’azienda, il valore aggiunto, nonché collegare gli aspetti economici con quelli finanziari del conto economico. La riclassificazione a valore aggiunto presenta, inoltre, un notevole vantaggio se rapportata ad altre metodologie, perché utilizzabile anche dall’analista esterno, non richiedendo ulteriori informazioni di dettaglio rispetto a quelle già desumibili dal bilancio pubblicato presso il registro delle imprese.
                  Sotto il profilo strettamente operativo, i ricavi ed i costi dell’esercizio sono separati in funzione delle differenti aree gestionali cui si riferiscono: caratteristica, accessoria, finanziaria, straordinaria e fiscale.
                  Il valore aggiunto, come anticipato, rappresenta la ricchezza creata dall’impresa, al netto degli acquisti e dei servizi acquisiti all’esterno: quindi, è pari al valore della produzione, dedotti i consumi e gli altri costi di gestione esterni (costi per acquisti di materie prime, servizi, godimento beni di terzi, oneri diversi della gestione caratteristica, variazione delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci). Può fornire informazioni particolarmente interessanti, in ordine al grado di integrazione verticale dell’impresa, alle caratteristiche del settore in cui opera ed alle politiche di produzione adottate.
                  Il margine operativo lordo (Mol o Ebitda) indica la ricchezza che residua dopo aver sottratto dal valore aggiunto i costi del personale (salari e stipendi, oneri sociali, accantonamento al trattamento di fine rapporto ed altri costi), ed assume un duplice significato, come grandezza: “economica”, in quanto esprime il margine disponibile per la copertura del capitale fisico consumato nella produzione (ammortamenti) e di eventuali svalutazioni di attività operative dell’attivo circolante (crediti), la remunerazione dei mezzi di terzi (oneri finanziari), il versamento delle imposte e la remunerazione dei mezzi propri (reddito netto); “flusso”, poiché indica le risorse finanziarie che l’impresa è in grado di generare attraverso la gestione corrente, essendo sostanzialmente composto da ricavi e costi cui sottostanno potenziali flussi di cassa in entrata ed uscita: ricavi delle vendite, costi di acquisto di materiali e di servizi, costo del personale, ecc.).
                  Il margine operativo lordo costituisce il risultato economico operativo espresso in termini finanziari e, quindi, sostanzialmente, l’autofinanziamento della gestione caratteristica. Si tratta, infatti, di una configurazione reddituale particolarmente considerata dagli istituti di credito, in quanto consente di individuare la capacità dell’impresa di rimborsare regolarmente i capitali presi a prestito. La rilevanza del Mol risiede nel fatto che non è influenzato dalle politiche di bilancio connesse agli ammortamenti ovvero ad altri accantonamenti. Con l’effetto che l’unico rischio relativo alle politiche di bilancio è rappresentato dalla valutazione delle rimanenze di magazzino.
                  Il reddito operativo, ovvero la differenza civilistica tra valore e costi della produzione, si ottiene deducendo dal Mol gli ammortamenti, le svalutazioni e gli altri accantonamenti della gestione caratteristica: evidenzia la capacità dell’impresa sia di produrre reddito nell’ambito della gestione caratteristica (risultando, in tal caso, non considerata la struttura finanziaria di cui dispone), sia di remunerare le fonti di finanziamento (i mezzi di terzi e, dopo il pagamento delle imposte, i mezzi propri).
                  Le predette configurazioni di risultato intermedio – valore aggiunto, Mol e reddito operativo, oltre a quelle civilistiche di risultato della gestione finanziaria e straordinaria, reddito prima delle imposte ed utile netto – consentono di individuare gli interventi che possono essere adottati dai dirigenti aziendali, al fine di risolvere i problemi evidenziati dal bilancio.
                  La situazione peggiore è riscontrabile quando tutti i margini siano negativi, in quanto se non è possibile incrementare i ricavi o ridurre i costi dei fattori produttivi, non vi sono soluzioni, non resta che cessare l’attività. Il miglioramento della redditività, in questo caso, è subordinato all’intervento su alcune leve gestionali, come il prodotto, che deve essere reso appetibile ai clienti, oppure il mercato – che va analizzato, al fine di garantire un collocamento idoneo a migliorare la redditività – e la tecnologia, per migliorare i processi produttivi e ridurre i costi. Diversamente, se il valore aggiunto è positivo, ed i successivi risultati intermedi sono negativi, è necessario migliorare la redditività e, quindi, il valore aggiunto, nonché ridurre il costo del personale, in quanto determina un margine operativo lordo negativo.
                  Qualora siano positivi sia il valore aggiunto che il margine operativo lordo, fermo restando il deficit dei successivi risultati intermedi, significa che gli ammortamenti incidono eccessivamente: è, pertanto, opportuno eliminare le immobilizzazioni non necessarie, ricorrendo al leasing, ed esternalizzando a terzi le produzioni che non risultano svolte razionalmente all’interno dell’azienda (c.d. ristrutturazione aziendale). La situazione può, inoltre, essere migliorata incrementando i volumi di vendita, al fine di assorbire meglio i costi fissi e, quindi, riducendo i costi unitari pieni dei prodotti. Nell’ipotesi in cui sia, invece, positivo anche il reddito operativo, l’impresa potrebbe essere caratterizzata da eccessivi oneri finanziari: è, quindi, raccomandabile privilegiare un ricorso ai mezzi propri, riducendo l’indebitamento, sul quale maturano interessi passivi consistenti. Altre strategie adeguate potrebbero essere la razionalizzazione del magazzino ed un miglioramento della politica d’incasso dei crediti.
                  In conclusione, si segnala che se è positivo pure il risultato ordinario prima delle imposte, il valore negativo assunto dal reddito netto potrebbe essere causa dal consistente effetto negativo di operazioni di natura straordinaria, oppure da un’onerosa imposizione fiscale. In queste circostanze, è anche possibile non intervenire, considerata la positiva redditività ordinaria dell’impresa, ferma restando la possibilità comunque di migliorarla, riducendo, ad esempio, il costo per oneri finanziari oppure l’incidenza degli ammortamenti.

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                    Accertamento dello stato di crisi con l’analisi patrimoniale



                    L’analisi dello stato patrimoniale di bilancio, ancorchè meno diffusa di quella per indici e flussi (sebbene costituisca la base di partenza delle stesse), presenta il pregio di fornire immediatamente diverse informazioni rilevanti, generalmente idonee, di per sé, ad accertare l’emergere della crisi dell’impresa. È, infatti, sufficiente esaminare pochi margini per comprendere i principali punti di forza e debolezza aziendale, in particolare, il margine di struttura e il capitale circolante netto.
                    Il margine di struttura può assumere due configurazioni, tra le quali quella di primo grado, pari alla differenza tra i mezzi propri ed il valore netto delle immobilizzazioni: se assume un valore positivo, significa che l’impresa è in grado di finanziare gli investimenti in capitale fisso con i soli mezzi propri, ovvero una parte dell’attivo corrente è finanziata da debiti a medio-termine. Si tratta, pertanto, di unasituazione ottimale, segnaletica della presenza di un miglioramento dell’equilibrio finanziario. Diversamente, se il margine di struttura ènegativo, una parte delle immobilizzazioni è finanziata con debiti: quindi, prima di formulare un giudizio, è necessario determinare un ulteriore margine di struttura, quello di secondo grado che, a differenza di quello di primo grado, considera anche le passività consolidate nel concorso al finanziamento dell’attivo fisso netto. Il margine di struttura di secondo grado è, dunque, pari alla sommatoria dei mezzi propri e dei debiti a medio-lungo termine, dedotto l’attivo fisso netto: se è positivo, la solidità patrimoniale dell’impresa è accettabile, mentre se è anch’esso negativo, deve necessariamente essere valutato come un fattore di debolezza, ovvero una rilevante causa di limitazione dei processi di espansione, perché di fatto gli investimenti durevoli sono parzialmente finanziati con fonti a breve termine.
                    Il capitale circolante netto contrappone, invece, le altre componenti dello stato patrimoniale, ovvero le attività correnti e le passività a breve termine, al fine di accertare la capacità dell’impresa di adempiere regolarmente le obbligazioni scadenti entro l’esercizio successivo: se positivo, è valutato favorevolmente, quale indice di una situazione di solvibilità, perché sottende un finanziamento delle attività correnti non soltanto con le passività a breve, ma anche mediante il ricorso a quelle consolidate. È, tuttavia, necessario fareattenzione alla composizione del capitale circolante netto, in particolare all’incidenza degli elementi non monetari, quali le rimanenze di magazzino ed i crediti verso i clienti, soprattutto a parità di fatturato: valori eccessivamente elevati potrebbero, infatti, rappresentare evidenti difficoltà nella gestione del ciclo attivo, quali gli incassi delle vendite ovvero la gestione del magazzino. La situazione in parola determinerebbe inevitabili ripercussioni sia sull’equilibrio finanziario di breve periodo – incapacità di smobilizzare attività a breve per soddisfare passività a breve – che in termini di potenziale deterioramento della situazione finanziaria dell’impresa, poiché elevati crediti verso clienti e rimanenze di magazzino comportano fabbisogni finanziari che devono trovare adeguate coperture a livello di fonti di finanziamento.
                    Un capitale circolante netto negativo indica, invece, che l’impresa sta finanziando con fonti a breve termine attività immobilizzate, esponendosi così a rilevanti rischi di natura finanziaria: conseguentemente, il margine di struttura di secondo grado è negativo. Un capitale circolante netto negativo è, pertanto, sempre sintomo di mancanza di equilibrio nella situazione patrimoniale finanziaria, mentre non è sempre vero l’esatto opposto: se positivo, come anticipato, deve essere valutato attentamente, unitamente agli altri margini. Escludendo da tale configurazione le rimanenze di magazzino, è altresì possibile pervenire a quella di margine di tesoreria, pari alla differenza tra le liquidità (immediate e differite) e le passività correnti, ovvero il capitale circolante netto diminuito delle giacenza. Esprime la capacità dell’impresa di estinguere le passività a breve con la sola liquidità (saldo attivo dei conti correnti bancari e postali, crediti correnti, ecc.): se negativo, l’impresa si trova in una situazione di rischio finanziario, in quanto – nell’ipotesi di una richiesta di immediato rimborso dei debiti correnti – non avrebbe i mezzi necessari per farvi fronte. È comunque considerato accettabile un margine di tesoreria lievemente negativo. Una corretta valutazione del margine di tesoreria presuppone una correlata analisi con il margine di struttura: unasituazione ottimale si raggiunge in corrispondenza di valori positivi per entrambi i margini, in quanto esprimono la presenza di adeguati livelli di copertura e gestione della liquidità, elevata dimensione del capitale di credito e buon margine per l’utilizzo della liquidità eccedente. Volendo estendere l’analisi integrata anche al capitale circolante netto, si possono evidenziare alcuni casi critici:
                    · margine di struttura e capitale circolante netto positivi, margine di tesoreria negativo: siccome il capitale circolante netto ed il margine di tesoreria si distinguono soltanto per il valore del magazzino, se il margine di tesoreria è negativo ed il capitale circolante netto è positivo, significa che l’azienda presenta rimanenze troppo elevate, che devono, pertanto, essere tenute sotto attento controllo;
                    · margine di tesoreria e capitale circolante netto positivi, margine di struttura negativo: non vi è equilibrio tra le fonti durevoli, in quanto coprono abbondantemente il fabbisogno durevole, ma quelle proprie sono esigue, come desumibile dal valore negativo del margine di struttura di primo grado;
                    · capitale circolante netto positivo, margine di struttura e tesoreria negativi: il patrimonio netto è troppo esiguo, sia rispetto alle immobilizzazioni che alle altre fonti durevoli, e l’impresa ha rimanenze troppo elevate, giustificando appunto il margine di tesoreria negativo ed il capitale circolante positivo;
                    · capitale circolante netto, margine di struttura e tesoreria sono tutti negativi: l’impresa non ha equilibrio tra investimenti durevoli e finanziamenti durevoli, le fonti sono a loro volta squilibrate, sia tra mezzi propri e debiti, che tra passività correnti e passività consolidate. In altri termini, per recuperare equilibrio, la società deve incrementare i mezzi propri e consolidare parte dei debiti, al fine di evitare problemi di liquidità.

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                      Analisi di bilancio, presupposti di applicazione da verificare



                      Le analisi di bilancio possono essere condotte secondo due diversi profili: temporale e spaziale. Nella prassi aziendale, si è soliti soffermarsi soprattutto sull’analisi dei dati storici dei rendiconti della sola impresa considerata, la c.d. analisi temporale, sulla base di un numero più o meno vasto di esercizi passati (generalmente, 3-5 se la società presenta dati attendibili ed omogenei), che richiede, però, la sussistenza di alcuni presupposti:
                      · non devono essere intervenute modifiche radicali nella gestione dell’impresa, per effetto di scorpori, fusioni, abbandono di produzioni, oppure apertura di nuovi mercati. Al ricorrere delle suddette ipotesi, i dati devono essere depurati prima di procedere all’analisi;
                      · non devono essersi verificati eventi eccezionali che abbiano influito sul risultato di uno o più esercizi. I confronti devono, quindi, essere eseguiti sulla gestione ordinaria, eliminando gli effetti delle operazioni straordinarie o non ricorrenti;
                      · la durata del periodo amministrativo deve essere sempre la stessa, ed i criteri di contabilizzazione, rappresentazione e valutazione non devono essere mutati nel tempo.
                      L’esclusivo ricorso alla sola analisi dei dati dell’impresa considerata incontra, tuttavia, dei limiti oggettivi, costituiti da una visione ristretta del contesto di riferimento. Infatti, l’analisi temporale può risultare incompleta se non integrata con un’adeguata analisi dello spazio in cui opera l’impresa, esaminando, ad esempio, i bilanci dei principali concorrenti, effettuando una c.d. analisi di benchmarking. Così facendo, è possibile individuare agevolmente i punti di forza e debolezza dell’impresa, nonché individuare gli elementi sui quali fondare un’efficace politica di risanamento, ove possibile.
                      L’analisi nello spazio, tra più aziende, richiede, però, la soddisfazione di alcune preventive condizioni: le aziende confrontate non soltanto operano nello stesso settore, ma presentano anche simili condizioni strutturali, organizzative, produttive e gestionali; le aziende devono applicare i medesimi criteri di contabilizzazione, rappresentazione e valutazione delle varie voci di bilancio; non devono essere intervenuti processi inflattivi di una certa rilevanza, leggi di rivalutazione che lasciano troppa discrezione al redattore del bilancio, ovverooperazioni straordinarie, perché non consentirebbero un confronto tra dati omogenei, ottenendo, quindi, risultati poco significativi e talvolta fuorvianti.
                      La mancanza di uno dei suddetti requisiti impedisce di sviluppare un’adeguata analisi competitiva, in quanto presumibilmente fondata su dati non omogenei, con il rischio di indurre l’analista a formulare giudizi privi di adeguata significatività, in alcuni casi addirittura distorsivi dell’effettiva realtà aziendale.
                      L’analisi temporale e quella spaziale sono accomunate da una medesima procedura preliminare, costituita essenzialmente dallavalutazione del grado di attendibilità del bilancio e dall’eventuale necessità di rettificare alcuni valori. Il bilancio è attendibile se possiede le seguenti caratteristiche: rispecchia la realtà operativa dell’azienda; i criteri di contabilizzazione, rappresentazione e valutazione sono applicati con costanza; è in grado di evidenziare il risultato della gestione caratteristica; i dati non sono influenzati dall’inflazione ovvero da suoi correttivi parziali; l’azienda è indipendente; il bilancio non è inficiato da regole diverse da quelle civilistiche, ad esempio le politiche fiscali.
                      La verifica verte su alcuni aspetti fondamentali, quali la presenza di valori stimati (perdite su crediti, fatture da emettere o ricevere, ecc.) o congetturati, come le quote di ammortamento: al ricorrere di tale ipotesi, l’analista è tenuto, in primo luogo, ad accertare se sono state compiute manovre fraudolente ovvero irregolarità per alterare i valori oggettivi di bilancio. Qualora ciò sia avvenuto, i dati di bilancio devono essere modificati oppure – nei casi più gravi, ove non sia determinabile nella sua entità – l’analista deve astenersi dall’impiego di tali dati. Le manovre fraudolente possono consistere nella rilevazione di fatti non avvenuti, nell’omissione di fatti effettivamente avvenuti, nell’alterazione degli importi. Tutte queste irregolarità devono essere evidenziate tramite un processo di revisione, possibile per il consulente interno, a differenza dell’analista esterno, costretto ad affidarsi alle risultanze del lavoro svolto da altri (organo di controllo o revisione legale dei conti). L’analista deve, inoltre, verificare la correttezza delle stime e delle ipotesi assunte dal redattore del bilancio, in sede di determinazione dei valori stimati o congetturati, appurando altresì se sono state usate in via strumentale le valutazioni di bilancio, adottando politiche di bilancio. Anche in questo caso, l’analista deve opportunamente rettificare i valori di bilancio, prima di procedere alla riclassificazione degli schemi di bilancio.
                      Il bilancio può, inoltre, essere inficiato da operazioni illegittime, meglio conosciute come window dressing operations, in quanto tendono ad alterare temporaneamente i dati di bilancio, al fine di far apparire una realtà diversa da quella effettiva: fatturazione di merci non spedite, con rilevazione anticipata dell’utile sulle vendite e miglioramento dell’immagine finanziaria dell’azienda, in quanto al valore del magazzino, a costo, si sostituisce quello dei crediti, a ricavo; esclusione dagli acquisti e dal magazzino di materiali già ricevuti, poiché la mancata rilevazione delle fatture dei fornitori evidenzia una situazione finanziaria migliore di quella effettiva; vendita di immobilizzazioni a prezzo elevato (o ridotto) al termine dell’esercizio, al fine di rilevare plusvalenze (o minusvalenze), con il riacquisto all’inizio dell’esercizio successivo; vendita del magazzino a fine esercizio, con riacquisto dello stesso all’inizio del seguente periodo amministrativo, al fine di rilevare la riduzione delle perdite.
                      Altri elementi suscettibili di alterare l’attendibilità dei dati oggetto di analisi possono essere la modifica dei criteri di valutazione, l’incidenza delle componenti straordinarie rispetto a quelle ordinarie, l’appartenenza dell’impresa ad un gruppo oppure l’adozione dipolitiche di bilancio e le relative interferenze fiscali.

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