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concorso agenzia delle entrate 2015 - 892 posti per funzionari amministrativi

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    Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
    Nell’attesa che Assistente345 descriva il concetto di valore fiscalmente riconosciuto, ecco alcune norme specifiche in merito….


    Quando si parla di plusvalenze un aspetto fondamentale è rappresentato dalla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni, quale parametro di confronto, rispetto al corrispettivo percepito, per determinare il differenziale imponibile; e, a tal proposito, le disposizioni alle quali occorre fare riferimento, per quanto riguarda le partecipazioni in soggetti passivi dell’IRES, non detenute in regime di impresa, sono:
    il comma 6 dell’art. 68, che richiama il costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione;
    l’art. 9, comma 2, nella parte in cui considera corrispettivo del conferimento o degli apporti in società o in altri enti, il valore normale dei beni e dei crediti conferiti;
    l’art. 47, comma 5, che, con riferimento alla ripartizione di riserve di capitale di soggetti IRES, specifica che questa non dà luogo a utili ma determina una riduzione del costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni.

    Per quanto riguarda il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni in società personali, valgono alcune delle regole viste a proposito dei soci di società IRES con l’aggiunta di disposizioni specifiche. In altri termini si applicano:
    il comma 6 dell’art. 68, che richiama il costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione;
    l’art. 9, comma 2, nella parte in cui considera corrispettivo del conferimento o degli apporti in società o in altri enti, il valore normale dei beni e dei crediti conferiti;
    l’art. 68, comma 6, nella parte in cui specifica che per le partecipazioni in società di cui all’art. 5 il costo è inciso dagli utili e dalle perdite attribuite per trasparenza e dagli utili distribuiti.

    Si osserva che mentre l’art. 47, comma 5 specifica che la ripartizione di riserve di capitale di soggetti IRES non dà luogo a utili ma determina una riduzione del costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni, non altrettanto risulta esplicitato l’effetto della distribuzione di riserve di capitale da parte di società di persone ai propri soci.

    Per la determinazione delle plusvalenze patrimoniali, e del connesso, valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni, sono rilevanti:
    l’art. 86, comma 2, che fa riferimento al costo non ammortizzato della partecipazione e che va letto con l’art. 110 che reca norme particolari per la determinazione del costo dei beni di impresa;
    gli artt. 101 e 94 che attengono alle valutazioni di fine esercizio di tali beni e che sono dirette a determinarne il valore fiscalmente riconosciuto.
    Nello specifico, preme rilevare che gli artt. 94, comma 6, e 101, comma 6, sanciscono che l’ammontare dei versamenti a fondo perduto o in conto capitale fatti alla società (sia soggetto passivo dell’IRES, sia società trasparente) determina un aumento del valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione del socio.
    Inoltre, con riferimento alle società per azioni, l’aumento gratuito del capitale sociale determina una riduzione del valore unitario delle azioni del socio ricevente, a norma dell’art. 94, comma 5.
    Il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni detenute in regime di impresa è, infine, soggetto a norme particolari quando il conferimento ha per oggetto partecipazioni di controllo o di collegamento oppure aziende (artt. 175 e 176).

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      Ognuno ha le sue fissazioni...:-)
      Non si possono ricordare tante nozioni senza esercitarsi a ricordare parlandone, facendo quiz...
      La maggior parte dei quiz degli anni scorsi (sino al 2012), parlo di diritto tributario, erano semplici...li ho visti oggi...

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        Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
        In sede di determinazione del reddito d’impresa il valore fiscalmente riconosciuto di un bene strumentale si determina

        a) In base al caso di acquisto o di costruzione al netto degli ammortamenti dedotti in base al valore corrente di mercato
        b) In base al valore corrente di mercato
        c) In base al caso di acquisto o di costruzione al lordo degli ammortamenti dedotti in base al valore corrente di mercato

        In sede di determinazione del reddito d’impresa la plusvalenza coincide in caso di cessione a titolo oneroso, con la differenza tra :

        a) Il corrispettivo ed il costo fiscalmente riconosciuto del bene
        b) Il corrispettivo ed il costo di acquisto del bene al lordo delle quote di ammortamento dedotte
        c) Il corrispettivo ed il valore normale del bene

        In sede di determinazione del reddito d’impresa la destinazione a finalità extraimprenditoriali di un bene relativo all’impresa può generare minusvalenze deducibili


        a) No
        b) Si, ove il valore normale del bene risulti inferiore al suo costo fiscalmente riconosciuto
        c) Si

        In sede di determinazione del reddito d’impresa il valore fiscalmente riconosciuto di una partecipazione in una società di capitali:


        a) Aumenta a seguito di versamenti eseguiti dai soci a fondo perduto nella società partecipata
        b) Rimane immutato a seguito di versamenti eseguiti dai soci a fondo perduto nella società partecipata
        c) Diminuisce a seguito di versamenti eseguiti dai soci a fondo perduto nella società partecipata

        In sede di determinazione del reddito d’impresa il trasferimento dell’azienda per causa di morte:

        a) Non determina l’emersione di plusvalenze imponibili
        b) Determina una sopravvenienza attiva
        c) Comporta il realizzo di una plusvalenza pari alla differenza tra il valore normale dell’azienda ed il costo fiscalmente riconosciuto ai beni che lo compongono

        In sede di determinazione del reddito d’impresa nel costo dei beni fiscalmente rilevante si comprendono anche le spese generali?

        a) No
        b) Si
        c) Si, ma solo quelle ragionevolmente imputabile al bene

        In sede di determinazione del reddito d’impresa il costo dei beni fiscalmente rilevante è comprensivo degli oneri accessori di diretta imputazione?

        a) No
        b) Si
        c) Si, ma solo quelle ragionevolmente imputabile al bene



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          Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
          L’articolo 5, comma 3, del Decreto crescita ed internazionalizzazione (D.Lgs. n.147/2015) contiene una norma di interpretazione autentica ai fini delle imposte dirette e dell’Irap secondo cui l’esistenza di un maggior corrispettivo derivante dalla cessione di un immobile, una azienda od un diritto reale sugli stessi beni, non può essere presuntosoltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale.L’obiettivo è quello di dirimere una questione su cui si è acceso un forte contrasto non solo tra l’Agenzia delle entrate e la dottrina ma anche all’interno della stessa Cassazione.L’ambito di applicazione della novella normativa riguarda:
          • le cessioni di immobili (sia fabbricati che terreni, a prescindere che gli stessi siano suscettibili di essere edificate o meno);
          • le cessioni di aziende;
          • la costituzione e il trasferimento di diritti reali su immobili o aziende.

          Essa di fatto rende più difficili le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria in relazione a:
          • specifiche poste del reddito ai fini delle imposte dirette. Il riferimento è agli articoli 58 (plusvalenze per imprenditori e società soggetti Irpef), 68 (plusvalenze nell’ambito dei redditi diversi), 85 (ricavi per imprenditori soggetti Ires) e 86 (plusvalenze patrimoniali per imprenditori soggetti Ires) del Tuir;
          • il valore della produzione ai fini Irap. In questo caso il riferimento è agli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 D.Lgs. 446/1997.

          In particolare, il dettato normativo è il seguente.
          Art.5, comma 3, D.Lgs. n.147/2015 – G.U. n.220 del 22 settembre 2009
          3. Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l'esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 , ovvero ai fini delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347”.
          Occorre precisare che la nuova disposizione si limita ad evitare ogni tipo di automatismo accertativo secondo cui il maggior valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale possa costituire di per sé una prova autosufficiente per la rideterminazione al rialzo del valore del corrispettivo.Pertanto, non sarà più possibile un accertamento fondato unicamente sulla differenza tra valore e corrispettivo.Tuttavia, si deve ancora ritenere legittimo un accertamento fondato, sia sulla differenza tra valore e corrispettivo, sia su altre evidenze quali un chiaro comportamento antieconomico assunto dal cedente oppure un mutuo richiesto da parte dell’acquirente in misura superiore rispetto all’ammontare del corrispettivo.Per quanto riguarda la decorrenza, sembra pacifico ritenere che la novella legislativa abbia valenza retroattiva. Ne deriva che la stessa dovrebbe avere effetto non solo per le transazioni future aventi ad oggetto immobili ed aziende, ma anche per quelle avvenute prima della relativa pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per le quali siano ancora pendenti contestazioni (avvisi di accertamento da impugnare) oppure giudizi tributari. Diversamente, la norma non abbraccia le transazioni per le quali è stata emessa una sentenza sfavorevole passata in giudicato.La tesi che porta a qualificare la norma come norma di interpretazione autentica si basa sulle seguenti considerazioni:
          • l’utilizzo nel testo della formulazione “… si interpretano nel senso che …”;
          • le affermazioni contenute nell’audizione al Senato - del 19 maggio scorso - della Direttrice dell’Agenzia delle entrate, ove si descrive l’intervento come norma di interpretazione autentica;
          • il fatto che il legislatore non abbia stabilito una decorrenza specifica, a differenza di altre norme introdotte dal medesimo decreto legislativo.

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            Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
            Nel caso di ricezione di una cartella di pagamento le domande più ricorrenti: perché l’Agente per la riscossione chiede il pagamento di queste somme? dove ho sbagliato? Tali interrogativi, in alcune circostanze, rappresentano un vero e proprio enigma, soprattutto se a sfogliare la cartella di pagamento è un contribuente poco “allenato” a tali letture, in quanto leggendo tale documento è difficile capire l’eventuale errore commesso dall’ente impositore e se la pretesa avanzata è corretta.Con riferimento alla forma e al contenuto della cartella di pagamento, si ricorda che tali elementi devono uniformarsi alle disposizioni elencate nell'articolo 25 D.P.R. n. 602/73 e ai modelli approvati con decreto del Ministro delle Finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. I commi 2 e 2-bis della citata disposizione normativa definiscono rispettivamente, il contenuto della cartella di pagamento, secondo cui:
            • essa deve essere redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle Finanze;
            • deve contenere “l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata” (comma 2);
            • deve anche contenere “l'indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo” (comma 2-bis).

            Oltre a tali elementi, la cartella di pagamento deve contenere, altresì, a pena di nullitàl'indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e l'indicazione del responsabile del procedimento di emissione e di notificazione della stessa cartella, aspetti facilmente individuabili nella lettura della cartella di pagamento. L’elemento che, invece, desta sempre le perplessità maggiori è la motivazione, ossia la risposta ai quesiti di cui sopra.Una delle ipotesi di dubbio maggiori è rappresentata dalle cartelle di pagamento emesse a seguito di controlli automatizzati. In tale circostanza, la motivazione della cartella di pagamento, quale elemento fondamentale di tale documento, acquista una rilevanza maggiore, posto che la pretesa è avanzata tramite la cartella stessa e non mediante un atto notificato in precedenza, quale l’avviso di accertamento.Un orientamento della Corte di Cassazione ritiene che la motivazione, anche nel caso delle liquidazioni automatiche, non debba essere particolarmente corposa, in quanto il ruolo è formato in base a dati indicati dal contribuente nella dichiarazione (su tale questione si veda le sentenze della Corte di Cassazione 6.5.2011 n. 10033 e Corte di Cassazione 31.3.2011 n. 7401).La sentenza della Corte di Cassazione n. 8934 del 17.4.2014 tuttavia ha mutato il precedente indirizzo, stabilendo che è illegittima la cartella che si limiti ad una motivazione “incomprensibile” quando non è stata preceduta da un atto prodromico. La questione presa in esame dai giudici della Corte di Cassazione riguardava una cartella di pagamento emessa in seguito al controllo automatizzato previsto dall’articolo 36-bis D.P.R. n. 600/73, con un richiamo in tale cartella allo stesso ruolo, ma senza alcuna informazione aggiuntiva o di completamento.I giudici di legittimità, rilevato che la pretesa riguardava il recupero di un credito di imposta, hanno stabilito che tale condizione di per sé avrebbe obbligato l’ufficio a precisare se le somme dovute derivassero dall’erronea contabilizzazione ovverodall’inesistenza dei presupposti per la spettanza, informazioni del tutto assenti nella cartella di pagamento oggetto di impugnazione. Sulla base di tali considerazioni, quindi, la citata sentenza della Corte di Cassazione a sostegno della propria decisione ha richiamato:
            1. la precedente pronuncia, la sent. n. 26330 del 16.12.2009, secondo cui la cartella esattoriale che non sia stata preceduta da un avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile;
            2. i principi di carattere generale indicati dalla L. 241/90 e recepiti in materia tributariadall’articolo 7 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente), nella parte riferita alla motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria.

            Sulla base di tali considerazioni, quindi, è utile affermare che il contribuente che riceve una cartella di pagamento deve disporre di sufficienti elementi per comprendere la posizione dell’ufficio in ordine alla somma richiesta, in caso contrario, è illegittima (in tal senso si veda anche la sentenza della Corte di Cassazione 8.2.2013 n. 3116). In conclusione, nel caso di controllo automatico, la cartella deve “contenere tutti gli elementi e la motivazione, necessari per far comprendere al contribuente le ragioni della pretesa e quindi per poter esercitare una efficace difesa” (in tal senso si veda la sentenza della Corte di Cassazione del 10.12.2012 n. 22500).A mero titolo esemplificativo si riportano di seguito alcune sentenze favorevoli a tale impostazione, in quanto:
            • mancava la data di consegna del ruolo (CTP di Napoli 16.11.2006 n. 517);
            • vi era la semplice indicazione degli importi da versare per omessi o carenti versamenti dovuti a seguito di controllo automatico, senza ulteriori spiegazioni (CTP di Treviso 22.12.2008 n. 111, CTP di Lecce 15.3.2010 n. 206 e CTP di Asti 12.4.2010 n. 44);
            • mancava l’indicazione del tasso di interesse e la determinazione delle sanzioni (CTP di Treviso 17.12.2008 n. 135 e CTP di Genova 7.11.2013 n. 229).

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              L’esercizio del potere di autotutela, disciplinato dalla L. 241/1990, rappresenta quella generale capacità della Pubblica Amministrazione di risolvere in maniera autonoma eventuali “conflitti” conseguenti l’emissione di provvedimenti, nel tentativo di realizzare quell’interesse pubblico che la stessa ha il dovere di tutelare, assicurando al tempo stesso equità e trasparenza nella propria azione.
              In ambito tributario si riscontra parimenti un generale potere di annullamento d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di auto accertamento - introdotto con il D.M. 37/1997 -esercitabile sia spontaneamente che su istanza del contribuente, anche in pendenza di giudizio o nei casi di non impugnabilità dell’atto, fin tanto che non intervenga una sentenza passata in giudicato in favore dell’Amministrazione Finanziaria. Accanto a tale potere di autotutela, per così dire “negativa”, è possibile individuare altre due forme di esercizio di correzione di errori e/o omissioni in cui possa essere incorsa l’A.F.:
              • quello di autotutela c.d. “sostitutiva”;
              • quello di autotutela “integrativa”.


              Identificare le differenze tra le suddette forme di rettifica degli atti emessi dagli Uffici può risultare di non poca importanza in sede di difesa del contribuente, in quanto può capitare di registrarne un utilizzo lesivo del diritto di difesa.
              Attraverso l’esercizio del potere di autotutela sostitutiva, infatti, l’Ufficio non fa altro che ritirare un atto affetto da carenze formali (e non sostanziali), provvedendo alla correzione dei vizi determinanti il ritiro, per poi procedere all’emanazione di un nuovo atto che dovrà tassativamente riprodurre gli elementi sostanziali contenuti nel precedente. Diversamente,il potere di integrare un avviso di accertamento già emanato - in ossequio a quanto disposto dall’art. 43, comma 4, del D.P.R. 600/1973 in materia di II.DD. e dall’art. 57, comma 4, del D.P.R. 633/1972 in materia IVA - si basa sull’assunto che il nuovo avviso debba contenere elementi non solo rinvenuti in epoca successiva al primo accertamento, ma altresì che siano tali da modificare, nella sostanza, l’oggettività del presupposto d’imposta. A pena di nullità, quindi, i fatti su cui deve basarsi l’integrazione possono essere considerati “nuovi” solo e soltanto se, al momento dell’emissione del primo accertamento, non erano conosciuti né conoscibili in base all’attività istruttoria svolta.
              L’unica caratteristica che accomuna le due fattispecie di autotutela è dato dal rispetto dei termini decadenziali per l’accertamento, in quanto nessuna delle due tipologie di atto (né quello “sostitutivo” né quello “integrativo”) può consentire una riapertura di termini già spirati ai sensi dell’art. 43, commi 1-3, del D.P.R. 600/1973.
              Proprio con riguardo al rapporto tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo, è possibile in questa sede citare un passaggio della Sentenza n. 4372/2011, in occasione della quale la Suprema Corte ebbe modo di affermare che “…il potere di accertamento integrativo ha per presupposto un atto (l’avviso di accertamento originariamente adottato) che continua ad esistere e non viene sostituito dal nuovo avviso accertamento, il quale, nella ricorrenza del presupposto della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’ufficio, integra e modifica l’oggetto ed il contenuto del primitivo atto cooperando all’integrale determinazione progressiva dello’oggetto dell’imposta, conservando ciascun atto la propria autonoma esistenza ed efficacia… L’atto di autotutela (che noi abbiamo definito “sostitutiva”), al contrario, assume ad oggetto un precedente atto di accertamento che è illegittimo, ed al quale si sostituisce con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell’atto…”.
              Ecco che allora in sede di difesa potranno contestarsi, nel caso:
              • l’emissione di un nuovo atto sostitutivo di quello originario, ma nel quale siano state inserite modifiche sostanziali e/o vi sia una diversa valutazione del medesimo materiale probatorio;
              • l’integrazione di accertamento attraverso un secondo atto che non si fondi su elementi nuovi o non conosciuti/conoscibili al momento del precedente accertamento;
              • l’illegittima riapertura dei termini per l’accertamento tramite tali atti sostitutivi o integrativi.


              Tutto questo, come sancito dai giudici della CTP Lecce con la Sentenza n. 145del 29/01/2013, anche e soprattutto nel tentativo di ribadire la necessità di “…salvaguardare la concentrazione delle attività di verifica e accertamento, scongiurando uno stillicidio di iniziative inquisitorie…”.

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                FINANZIAMENTO SOCI E VERSAMENTI SOCI

                NB:

                I finanziamenti soci non influenzano il costo delle partecipazioni

                (45 comma 2..; collocazione in bilancio; discorso postergazione srl e spa; rinuncia dei soci(novità)


                La restituzione dei versamenti soci
                non è. invece, fiscalmente irrilevante. in quanto riduce il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Inoltre, le somme restituite che eccedono il costo fiscalmente riconosciuto costituiscono sopravvenienze attive per le imprese o capital gain per le persone fisiche.
                (art 46..” si presumo dati a mutuo, a meno che dai bilanci allegati..(dunque rileva la collocazione in bilancio)

                i versamenti soci a fondo perduto e versamenti in conto capitale
                possono essere distribuiti ai soci liberamente mentre i versamenti in conto aumento di capitale e i versamenti in conto futuro aumento di capitale se non si verifica l’aumento di capitale.)

                NB. La restituzione ai soci dei versamenti effettuati in conto capitale non configura distribuzione di dividendi

                Scaletta….(.47 comma 1)

                A prescindere dalla decisione assembleare, si presumono prioritariamente distribuiti

                1) L’utile dell’esercizio
                2) Le riserve di utili liberamente distribuibili (quali sono?)
                3) Le altre riserve accantonate in sospensione d’imposta (cosa sono?)
                4) Le riserve di capitale (quali sono?)

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                  Il discrimine tra l'accertamento con metodo ed, analitico-induttivo o misto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e quello con metodo c.d. induttivo puro o extracontabile (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d) in materia di imposte dirette, va rinvenuto, rispettivamente, nella "parziale" o "assoluta" inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili.

                  Nell'accertamento c.d. analitico-induttivo, la "incompletezza, falsità od inesattezza" degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, le cui lacune possono essere colmate dall'Ufficio accertatore, utilizzando anche presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, ex art. 2729 c.c., per dimostrare l'esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, ovvero l'inesistenza di componenti negativi dichiarati.

                  Nell'ipotesi di un accertamento induttivo puro, "le omissioni o le false od inesatte indicazioni" inficiano più radicalmente l'attendibilità degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che l'Amministrazione finanziaria può "prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti" ed è legittimata a determinare l'imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 codice civile (Cass.n.°17952/2013).

                  In sostanza, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 scatta sol quando, dal raffronto tra la contabilità regolare e quella rinvenuta dai verificatori "in nero", emerga uno scostamento, qualitativo e quantitativo rilevante, tale da rendere la contabilità dell'impresa, nel suo complesso, del tutto inattendibile.(Cass. sentenza n.° 16251 del 31 luglio 2015)

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                    Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                    Riscossione- liquidazione della dichiarazione ex art. 36/bis del d.p.r.600/1973- contraddittorio endoprocedimentale

                    La legge 212/2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente ) non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere all’iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 36/bis del d.p.r. 600/1973, ma soltanto allorquando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione oggetto dell’iscrizione a ruolo.

                    Invero l’art. 36/bis presuppone un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati nella dichiarazione dei redditi, senza margini di tipo interpretativo: qualora ciò non fosse, e quindi sussistessero incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, allora soltanto in questo caso - di solito non molto frequente - in forza di quanto espressamente statuito dall’art. 6 comma 5 della legge 212/2000 necessita l’instaurarsi del contraddittorio.
                    ( Cass. sentenza n.° 1306 del 4 dicembre 2014 dep. 26 gennaio 2015)

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                      Con l'accertamento extracontabile l'Amministrazione finanziaria si avvale di un regime probatorio che la esonera dalla dimostrazione analitica dell'infedeltà delle risultanze delle scritture contabili alla luce della particolare natura e gravità dei presupposti che ne legittimano l'adozione. Spetta al contribuente, pertanto, l'onere di provare la legittimità del proprio operato sulla base di elementi, dati e fatti tali da far ritenere non corretta il risultato della ricostruzione extra-contabile nonché la legittimità della procedura extracontabile adoperata dall'ufficio.
                      Anche il materiale extracontabile reperito presso terzi può costituire idonea prova presuntiva contro il contribuente accertato e, quindi, può essere sufficiente a legittimare la pretesa impositiva. A tal fine occorre, però, che il materiale probatorio sia tale da far emergere una presunzione qualificata, e l'onere di ciò grava direttamente sull'Amministrazione finanziaria (cfr Cassazione, n. 11694/1997, n. 9100/2001, n. 6311/2008).

                      L'attività di accertamento extracontabile (induttivo puro) pur dovendo svolgersi nel rispetto dei diritti del contribuente, non è retta dal principio del contraddittorio. Ciò significa che non vi è l'obbligo da parte dell'Amministrazione finanziaria di invitare il contribuente a fornire dati, notizie e chiarimenti.
                      Ciò in quanto l'accertamento tributario, per la sua natura e per la funzione che lo connota, non costituisce una decisione su contrastanti interpretazioni di fatti e di norme giuridiche, da adottarsi col rispetto del contraddittorio, né esprime un apprezzamento critico in ordine a dati noti a entrambe le parti, ma si esaurisce in un provvedimento autoritativo con il quale l'Amministrazione finanziaria fa valere la propria pretesa tributaria, esternandone il titolo e le ragioni giustificative al solo fine di consentire al contribuente l'opportunità di esperire impugnazione giudiziale, instaurando così un procedimento nell'ambito del quale la parte creditrice sarà tenuta a passare dall'allegazione della propria pretesa, alla prova del credito tributario vantato nei confronti del ricorrente, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio diritto (cfr. Cassazione, n. 6232/2003 e n. 3128/2001).

                      L'Amministrazione finanziaria, sia pure con maggiore libertà in ordine ai mezzi probatori e con la riconosciuta possibilità di utilizzare i dati e le notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, deve procedere alla ricostruzione del presupposto con la massima accuratezza consentita dagli elementi a disposizione.L'operato dell'Amministrazione deve, pertanto, tendere alla ricostruzione motivata del reddito complessivo del contribuente nella massima analiticità possibile consentita dalle circostanze (cfr circolare n. 7/1496 del 1977). Ciò significa che in sede di accertamento extra-contabile l'Amministrazione finanziaria è tenuta a prendere in considerazione l'eventuale - anche minimo - valore probatorio delle scritture contabili al fine di riconoscere, in favore del contribuente, l'esistenza di componenti negativi o spese.


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