Notaio della 'ndrangheta trovato impiccato a Lugano. "Non fu suicidio, ma omicidio" - Il Fatto Quotidiano
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TRUST PER SCHERMARE I SOLDI
I PROFESSIONISTI DELLE COSCHE
Torniamo allora alle ultime parole di Daniele Borelli. A quel mondo di violenza, relazioni, interessi e soldi sporchi. A partire dal 2010 su di lui indagano i magistrati di Milano e Reggio Calabria. Al centro gli interessi della ‘ndrangheta: da un lato la cosca Gallico di Palmi, dall’altro la famiglia Valle-Lampada che i magistrati ritengono essere la propaggine lombarda della potente famiglia Condello. A tenere insieme le inchieste ci sono l’avvocato calabrese con residenza comasca Vincenzo Minasi e il notaio Borelli. I due professionisti, ragionano i pm, lavorano assieme per costruire trust societari blindatissimi. Obiettivo: occultare il denaro dei clan. Milano, però, pur chiedendo informazioni alle autorità svizzere decide di tenere un basso profilo sulla figura di Borelli. Reggio Calabria, invece, esce allo scoperto iscrivendo il notaio nel decreto di fermo. Il legale svizzero è accusato di intestazione fittizia di beni aggravata dal fatto di aver agevolato la ‘ndrangheta. E’ lui, infatti, il titolare della Zenas con sede nel Delaware (Stati Uniti) che acquisterà da una testa di legno dei Gallico terreni per oltre 100mila euro. I magistrati sono convinti: Borelli sapeva con chi aveva a che fare. Il 30 novembre 2011 scattano gli arresti. Il professionista svizzero viene fermato. Casa e ufficio perquisiti. Poche ore dopo, mentre Minasi sarà portato in galera con l’accusa ben più grave di concorso esterno, lui rientra nel suo appartamento di Lugano in via Baroffio 4. Poi, il 5 dicembre, la morte. Il caso viene subito blindato dalla polizia federale. Nulla, se non il dato di cronaca, trapela sui giornali. Strano, visto che fin da subito la morte di Borelli viene catalogata come suicidio.
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