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Trust 2.0

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    diceva che non fregava niente a nessuno.....

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      http://www.gebpartners.it/eng/files/...eri_def_OK.pdf

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        http://www.fiscooggi.it/files/u27/ra...02.2011_05.pdf

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          Da quattro anni gran parte dei Paesi occidentali, sotto l’ombrello dell’Ocse, hanno impugnato le armi (soprattutto quelle della propaganda) per contrastare l’evasione fiscale e il mondo delle piazze finanziare offshore. Di solito dette paradisi fiscali. Ora i numeri ci dicono che la realtà è diversa. L’Unctad, associazione Onu che si occupa di scambi e sviluppo, ha diffuso una serie di dati relativi agli investimenti esteri diretti e liquidi verso una serie di Paesi. Le Isole Vergini britanniche - splendido arcipelago a forma di tartaruga, zeppo di spiagge bianche e di trust - ha attratto nel 2013 denaro per 92 miliardi di dollari posizionandosi al quarto posto nella relativa classifica mondale. Al primo ci sono gli Stati Uniti con 159 miliardi, poi Cina con 127, Russia con 94 miliardi (tutti in gas, petrolio e metalli). In sostanza le ex isole inglesi hanno visto arrivare nei propri confini più denaro che India e Brasile messi assieme. E oltre il 99% dei 92 miliardi sono finiti nei trust e nelle banche che continuano a mantenere quasi totale segretezza per poi fuoriuscire verso altre località. Per rendere l’idea del mare di denaro transitato, basta dividere la somma per il numero di abitanti. Risultato: più di 3 milioni pro capite. Il tutto alla faccia delle liste bianche e grigie varate dopo il famoso G20 messicano in cui Obama dichiarò al mondo la propria volontà di combattere i paradisi fiscali. Gabriel Zucman, della School of Economics and Political Science e UC – Berkeley, lo ha detto chiaro e tondo: «I trattati bilaterali firmati dai principali paradisi fiscali hanno fallito». Sono serviti di fatto a far spostare miliardi di dollari in altri Paesi.

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            Sequestrati beni per 15 milioni di euro

            Comando Provinciale Roma - 23 aprile 2014 ore 9:04

            Beni immobili e mobili, del valore di 15 milioni di euro, sono stati sequestrati a tre imprenditori romani dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma, nell'ambito di un'inchiesta giudiziaria avviata sulla vendita di un albergo di via Veneto a Roma, uno dei simboli negli anni '60 della cd. "dolce vita".
            Le indagini delle Fiamme Gialle del Nucleo Polizia Tributaria hanno consentito di ricostruire in maniera certosina i passaggi della cessione dell'intera proprietà del noto albergo, avvenuta nel 2008, tra una famiglia di imprenditori capitolini ed un importante gruppo alberghiero partenopeo, preordinati, grazie a plurimi, collegati e complessi negozi giuridici, ad occultare al Fisco la sostanziosa plusvalenza (differenza positiva tra il valore delle quote sociali e il prezzo di vendita) realizzata dai cedenti, pari ad oltre 89 milioni di euro.
            Infatti, era stata orchestrata l'interposizione, tra cedente e cessionario, di una società fiduciaria inglese, le cui quote azionarie sono state conferite ad un trust con sede in Nuova Zelanda, paese avente un regime di fiscalità privilegiata (cd. "off-shore"), sul cui conto corrente presso una banca di Ginevra è pervenuto il bonifico relativo al corrispettivo dichiarato della vendita, pari ad oltre 92 milioni di euro.
            La plusvalenza avrebbe dovuto concorrere alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, per ognuno dei tre soggetti, per il 40% dell'ammontare della stessa, per un totale di circa 15 milioni di euro.
            L'istituto del trust, di derivazione anglosassone, è stato utilizzato nel caso di specie con la finalità di interporre un soggetto terzo residente all'estero tra le parti della cessione evitando la tassazione in Italia della plusvalenza in capo ai beneficiari.
            Il provvedimento di sequestro preventivo - emesso dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Roma su richiesta della Procura della Repubblica di Roma - è volto a cautelare l'Erario ai fini della confisca cd. "per equivalente", per le imposte non versate, le pene pecuniarie e gli interessi maturati.
            I tre sono indagati, a diverso titolo, per i reati di omessa presentazione e di dichiarazione infedele dei redditi, avendo superato le soglie di punibilità previste dalla vigente normativa penale-tributaria.

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              E' morto Emilio Riva, patron dell'Ilva

              camini a mezz'asta....

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                Certi articoli demonizzano....accostare lo strumento ad ogni tipo d'indagine....ma...

                Antonio Giulio Rognoni: 3 milioni di stipendi in 4 anni da manager pubblico | Blitz quotidiano

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                  Harlem Gospel Choir - Amazing Grace (EXCLUSIVE) - YouTube

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                    Le scatole cinesi di lady Armellini Così ha nascosto il suo impero

                    Alessandro Farruggia



                    ROMA




                    QUANDO si è sentita il fiato sul collo ha tentato la strategia del gambero. Dieci operazioni di scudo fiscale nel 2009, rinuncia alla cittadinanza monegasca nel 2010, rientro in Italia a fine 2013 di ben 15 società di diritto lussemburghese.

                    Ma ormai, finita nel mirino della Finanza, era tardi. Eppure, Angiola Armellini, la signora dei palazzi, era stata sino ad allora abile come un camaleonte. Ha arruolato pacchetti di mischia di avvocati ed è uscita indenne dalle imputazioni per frode fiscale (1991) e bancarotta (1996) tutelando se stessa e lo straordinario patrimonio immobiliare che a lei faceva riferimento e che viene valutato 2,1 miliardi di euro. Saggiamente, le sue 1.243 unità immobiliari non erano come il prestigiosissimo palazzo Alberini, disegnato da Raffaello sotto l’influenza del Bramante, per dire, che sorge a un tiro di schioppo da Castel Sant’Angelo. Quello, pur acquisito nel 2007, era lo schermo luccicante, il fumo negli occhi. A far male al fisco era la galassia di appartamenti, ville e interi palazzi, che letteralmente c’era e non c’era e non pagava un euro di tasse. Solo di Ici-Imu si stima una evasione di 17 milioni di euro, complessivamente le tasse mancate sono 190 milioni.

                    SONO state le indagini condotte dal colonnello Paolo Borrelli del secondo gruppo verifiche del nucleo tributario della Guardia di Finanza a svelare la complessa architettura del regno degli specchi. Che è la seguente.


                    Il trust X, un fondo fiduciario, aveva sede alle Bahamas (e dal 2006 in Nuova Zelanda). Sotto aveva cinque holding, la prima delle quali si scomponeva in altre cinque. Il trust Y, un altro fondo fiduciario, era invece sull’isola di Jersey, un paradiso fiscale britannico nel canale della Manica (per poi passare dal 2007 in Nuova Zelanda): sotto aveva una holding Beta divisa in sei sottoholding e una holding Gamma, con due sottoholding.

                    Ogni trust, holding e sottogolding era intestata a un prestanome, e ogni holding o sottoholding era una società di diritto estero con sede legale in Lussemburgo. Un meccanismo complesso, ma non sofisticato.
                    «Apparentemente — osserva la professoressa Livia Salvini, docente di diritto tributario della Luiss — è un meccanismo brutale, nel quale l’evasione di imposta era correlata alla fittizia intestazione all’estero. Le imposte semplicemente non venivano pagate confidando sul fatto che non si riuscisse ad esigerle da società situate in paradisi fiscali». Perché paradossalmente, da evasori fiscali totali è meno facile essere beccati che pagando di meno, quando, fatta la dichiarazione, incappi nei controlli automatici. Ma se non sei nell’elenco, magari ti riprendono, ma con lo schermo della holding puoi sperare di farla franca: 1.243 volte, per anni. Per la signora dei palazzi, un vanto. E la riprova che il fisco è forte con i piccoli e debole con forti.


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                      http://www.dirittobancario.it/sites/...4_n._10105.pdf

                      ovvio.....non vedo perchè non debba essere ovvio anche in campo fiscale....

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                      Sto operando...
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