Sulla scomparsa del diario di Borsellino è già stato celebrato a Caltanissetta un processo (concluso con l’assoluzione) a Giovanni Arcangioli, il carabiniere immortalato pochi attimi dopo la strage mentre si muove da via d’Amelio con in mano la borsa del giudice. I filmati dell’epoca mostrano Arcangioli che si dirige lontano da via d’Amelio e cioè verso via Autonomia Siciliana con la borsa in mano. Poco dopo, però la valigia ricompare poi nei pressi dell’automobile di Borsellino. In venticinque anni di inchieste, in pratica, non si è riuscito a stabilire nemmeno l’esatto percorso fatto dalla borsa, passata da più mani, anche a causa di decine di testimonianze che entrano in contraddizione tra loro (come quelle del magistrato Giuseppe Ayala, che ha fornito quattro versioni differenti sul tema)
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L'angolo di ROL
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Mistero anche sulle parole di Franca Castellese, la madre del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino rapito e sciolto nell’acido. La donna è stata ascoltata durante il processo Borsellino Quater per spiegare il contenuto di un’intercettazione del 14 dicembre del 1993. Poche settimane dopo il rapimento del figlio, Castellese è nei locali della Dia per incontrare il marito, Mario Santo Di Matteo, mafioso che si era appena pentito. “Qualcuno che è infiltrato nella mafia. Tu devi pensare alla strage Borsellino, a Borsellino c’è stato qualcuno infiltrato che ha preso…”, dice quel giorno incontrando il marito. Interrogata sul punto, però, oggi ha negato di ricordare quella conversazione. Dalla quale si evince chiaramente come la donna – in quel momento terrorizzata dal rapimento del figlio – dia per scontata praticamente dal nulla la presenza di soggetti infiltrati a Cosa nostra nella strage di via d’Amelio. Personaggi che avrebbero preso qualcosa. Se fosse o meno l’agenda non è ovviamente dato sapere.
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Già dieci anni prima di diventare formalmente un collaboratore di giustizia, infatti, Gaspare Spatuzza aveva raccontato a Piero Grasso che la storia della strage di via D’Amelio raccontata da Scarantino, era una bugia. È il 26 giugno del 1998 e l’allora procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna, va a trovare Spatuzza nel carcere dell’Aquila insieme al suo vice, che era all’epoca Grasso. In gergo si chiamano colloqui investigativi: gli inquirenti incontrano boss mafiosi per sondare una loro disponibilità a collaborare e acquisire informazioni utili alle indagini ma inutilizzabili durante un processo. Non si sa quanti furono gli incontri tra Vigna, Grasso e Spatuzza ma da quel verbale nel carcere dell’Aquila si evince che altri colloqui erano stati già svolti. È già in quell’occasione, però, che il killer di Brancaccio scagiona totalmente Scarantino e gli altri.
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“Scarantino in questa cosa che cosa che c’entra?”, chiede Grasso. “Non esiste completamente“, risponde Spatuzza. “E scusi, com’è che allora le cose che lui ha detto che sa?”, è la replica del pm. “Lui era a Pianosa – spiega Spatuzza – ha ammazzato un cristiano che doveva ammazzare, e ci ficiru diri chiddu ca nu avia adiri (gli hanno fatto dire quello che doveva dire ndr)”. Poi il killer fa un nome: “Toto La Barbera“. Come abbiamo visto i La Barbera coinvolti nell’inchiesta su via d’Amelio sono almeno due: il questore Arnaldo, e il poliziotto Salvatore, indagato e archiviato a Caltanissetta proprio per la gestione del falso pentito. In quell’occasione, però, né Grasso e nemmeno Vigna chiedono a Spatuzza a quale La Barbera si riferisse. Le informazioni raccolte durante quel colloquio investigativo, in pratica, avrebbero potuto neutralizzare in diretta il depistaggio sulla strage Borsellino ma nessuno nel breve periodo fece nulla: non la procura nazionale Antimafia e nemmeno quella di Caltanissetta.
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“Certo a leggere oggi quel verbale qualche rammarico viene. Forse se si fosse battuto più su questa strada alcune cose sarebbero venute fuori tempo fa e la verità su persone innocenti sarebbero emerse prima”, ha commentato l’ex procuratore di Caltanissetta,Sergio Lari. Quel documento infatti è rimasto segreto fino al 2013, quando Il Fatto Quotidiano lo pubblica: essendo un colloquio investigativo non aveva valore processuale ma la procura di Caltanissetta lo ha inserito per errore all’interno del fascicolo del pm, cioè tra le carte accessibili agli avvocati. E infatti Flavio Sinatra, legale di Madonia e Tutino, se ne accorge e chiede l’ammissione del documento agli atti del processo. Richiesta rigettata nel 2013 e autorizzata soltanto quattro anni dopo. Quando sono ormai trascorsi vent’anni da quella volta in cui Spatuzza raccontò la verità su via d’Amelio quasi in diretta. Ma nessuno mosse un dito.
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Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
tu rubi a me (chissà quanto pagava per il mutuo) e rubo anch'io....e nu magna magna....
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Originariamente inviato da strelizia Visualizza il messaggio
Che io sappia i guai più grossi quando si deve restituire un mutuo si hanno quando si è scelto un tasso variabile...ma se stipuli un contratto di mutuo di quel tipo dovresti esserne consapevole...e se non lo sei è colpa tua...altra cosa sono altri tipi di prestiti che stanno mettendo in giro ora in tempi di crisi...ma ugualmente è lo stipulante ad aver sbagliato, a meno che non sia proprio disperato...
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