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    http://www.askanews.it/top-10/matteo..._711737836.htm

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      http://www.panorama.it/economia/azie...iscale-cayman/

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        L'impostazione basata sull'imputazione al socio (ireg) prevedeva la tassazione delle plusvalenze e la detassazione delle minusvalenze derivante dalla cessione delle partecipazioni. In tal modo se la società aveva un utile il socio era penalizzato in caso di cessione della partecipazione perchè subiva una doppia tassazione. I furbetti del quartierino aggiravano l'ostacolo con fittizie holding all'estero in paesi in cui era prevista l'esenzione delle plusvalenze (a loro non bastava la tassazione agevolata che ogni volta lo stato metteva a loro disposizione - imposta sostitutiva-

        Poi arrivò tremonti e con l'obiettivo (fallito) di far rientrare le holding fittizie introdusse anche in Italia le PEX...(esclusione tassazione dividendi -non totale- e l'esenzione-non totale- sulle plusvalenze pex.
        Ultima modifica di ROL; 17-02-2016, 17:19.

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          (NB: in materia irpeg il credito d'imposta evitava la doppia imposizione dei redditi societari ma non la doppia tassazione in fase di cessione delle partecipazioni e realizzo delle plusvalenze)

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            DIVIDENDI--> sono la parte di utili di cui l'assemblea dei soci delibera la distribuzione

            PLUSVALENZE (o CAPITAL GAIN) --> sono il maggior valore acquisito dalle partecipazioni per effetto di favorevoli condizioni di mercato, avviamento ecc, manovre speculative, utili prodotti...

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              Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
              probabile domanda...novità

              Rinunce a crediti


              contabile

              La società debitrice, dopo aver contabilizzato la rinuncia da parte del socio nelle poste patrimoniali (senza transito da conto economico) non dovrà procedere ad effettuare alcuna variazione in aumento nella dichiarazione dei redditi
              La rinuncia al diritto di restituzione trasforma dunque il debito della società in una posta di patrimonio netto avente natura di riserva di capitale.

              In ambito fiscale (disciplina del reddito di impresa)

              Laddove il valore fiscale del credito coincida con il valore nominale ,salvo l’obbligo di comunicazione del valore fiscale,(Che scatta anche in presenza di rinunce a crediti aventi valore fiscale coincidente con l’importo nominale) la rinuncia al credito non ha alcuna rilevanza fiscale per il debitore. In questi casi, non possono sorgere salti di imposta, in quanto, a fronte della irrilevanza della sopravvenienza attiva della debitrice, non si avranno deduzioni fiscali per i creditori .

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              NB : Nessun salto di imposta nasce anche qualora il socio ceda successivamente la partecipazione (il cui costo è stato aumentato per effetto della rinuncia) e questa non goda della Pex mancando alcuno dei requisiti di cui all’art. 87 del Tuir. È vero infatti che l’operazione (rinuncia al credito e cessione) produrrà una minusvalenza deducibile (o una minor plusvalenza tassabile), ma a fronte di quest’ultima, si avrà un minor costo fiscale delle quote o delle azioni in capo al cessionario, con corrispondenti ripercussioni sulle successive vicende della partecipazione.
              ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

              In presenza invece di crediti che,
              in capo al socio creditore, hanno un costo fiscale inferiore al valore nominale, la rinuncia produrrà l’emersione di un reddito imponibile pari alla differenza tra il valore nominale del credito (che corrisponde all’incremento patrimoniale della debitrice) e costo fiscale dello stesso



              finisce sta ammuina....

              http://www.altalex.com/documents/new...cia-al-credito

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                La motivazione è da ricercare nei casi di abuso degli strumenti normativi a disposizione per sottrarre materia imponibile ai fini delle imposte sul reddito. Le imprese hanno usufruito dello strumento dell’acquisto di un credito da terzi verso una società del gruppo, con successiva rinuncia al credito, con comportamenti opportunistici, finalizzati a ottenere forti riduzioni del debito pregresso sottratte a imposizione fiscale. La ratio della nuova normativa è quella di fare in modo che la rinuncia a un credito, acquisito dal socio a sconto da soggetti terzi, riceva un trattamento fiscale pienamente simmetrico fra i soggetti coinvolti.

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                  Si pensi ad esempio al caso di una società capogruppo (“holding A”) che acquista con clausola pro soluto, presso una banca o un fornitore, eventualmente facente parte del medesimo gruppo di imprese, (“fornitore F”), un credito verso una società partecipata (“controllata B”), di valore pari a 100, per un corrispettivo di 10. Il creditore, cedente “fornitore F” rileva nella propria contabilità una perdita deducibile di 90 a seguito della cancellazione del credito, iscritto per 100. La “controllata B”, a seguito della rinuncia (operata da “holding A”) storna il debito, rilevando l’importo in una riserva di patrimonio netto (versamenti soci) per 100, senza alcun tassazione nel modello Unico. “holding A”, dopo aver iscritto in contabilità il credito acquistato per il costo di 100, imputa quest’ultimo importo, all’atto della rinuncia (pari all’intero importo di 100), ad incremento del costo della partecipazione, senza che assuma alcuna rilevanza reddituale (immediata) la differenza di 90 evidenziatasi come maggior patrimonio netto della partecipata (differenza tra incremento della partecipazione pari a 10 e incremento patrimoniale della partecipata pari a 100). Nell’esempio descritto, il sistema è stato dunque interessato da una deduzione fiscale di 90 in capo al creditore originario “fornitore F”, senza alcuna tassazione corrispondente sul debitore “controllata B” o sul socio “holding A”.
                  Ultima modifica di ROL; 17-02-2016, 20:24.

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                    Riprendendo l’esempio precedente, il socio “holding A”, nel rilasciare la dichiarazione di rinuncia al credito, comunicherà alla società “controllata B” che il valore fiscale dello stesso è pari a 10. La società “controllata B” contabilizzerà la rinuncia ad aumento del patrimonio netto per 100 ed effettuerà nella dichiarazione dei redditi una variazione in aumento per sopravvenienze attive di 900 (ottenuta dalla differenza tra l’aumento del patrimonio netto di “controllata B” per 100 e l’incremento della partecipazione detenuta da “holding A”, per 10). Il socio “holding A”, come in passato, incrementerà il costo della partecipazione di 10, senza alcun impatto reddituale.

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                      Cessioni fittizie di crediti.

                      Se un’impresa vanta un credito di 100 nei confronti di un proprio cliente e lo cede, adesempio, a 10, consegue una perdita pari alla differenza tra tali due ammontari, che puòessere dedotta ai fini della determinazione del reddito tassato.
                      Se il prezzo di cessione delcredito è realmente 10, la deduzione di una perdita di 90, pari alla differenza tra 100 e 10 è del tutto legittima.

                      Tuttavia qualche volta l’impresa che cede il credito si accorda con ilsoggetto che lo acquista, stabilendo che quest’ultimo gliene deve restituire “sottobanco”una parte, ad esempio 40. E’ evidente che in questo caso la deduzione fiscale di una perditadi 90 è illecita perché nella sostanza il credito è stato ceduto non per 10 ma per 50.

                      E’possibile affermare quindi, in generale, che le perdite derivanti da cessioni dei crediti sonosospette quando i relativi prezzi sono inferiori alle somme che l’impresa creditrice avrebbepotuto recuperare, in assenza di cessione del credito, attraverso le azioni di recuperoesperibili in via ordinaria.

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