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concorso agenzia delle entrate 2015 - 892 posti per funzionari amministrativi

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    Come si differenziano ai fini del pagamento della imposta le ipotesi di plusvalenze exlett. a) e quelle ex lett. b)?Altra differenza infine tra le ipotesi ex lett. a) e lett. b) dell’art. 67 Tuir è data dalla tassazioneseparata (art. 17 lett. g -bis Tuir) che è il regime naturale di tassazione della plusvalenza relativaalle cessioni di terreni di cui alla lett. b) dell’art. 67 Tuir ; in tal modo il pagamento è spalmato. Sipaga da subito un acconto del 20% e il resto negli anni successivi.

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      Non tutte le cessioni a titolo oneroso costituiscono ipotesi di trasferimento rilevante ai finidella determinazione della plusvalenza.

      L’eccezione dei 5 anni rileva sempre ?No, l’esenzione da plusvalenza dopo il decorso di 5 anni non si applica alla cessione difabbricato edificato su area lottizzata. L’ipotesi riguarda solo il fabbricato costruito a seguito dilottizzazione ex art. 67 lett. a) Tuir e venduto da un titolare di reddito diverso. In tal caso anche lavendita oltre i 5 anni rileva ai fini della plusvalenza.

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        Fabbricati che per la maggior parte del periodo intercorso tra acquisto e cessione sonostati adibiti a abitazione principale del titolare o dei suoi familiari

        Sono escluse dalla tassazione le plusvalenze derivanti dalla cessione di fabbricati o terreninon edificabili acquisiti per successione. L’eccezione non si applica ai terreni edificabili.

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          COME E SU COSA SI PAGA LA PLUSVALENZA?
          GeneralitàLa plusvalenza imponibile è determinata dalla differenza tra corrispettivo incassato e costodi acquisizione aumentato dei costi inerenti deducibili appositamente documentati.

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            Con la finanziaria per il 2006 fu introdotta l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze immobiliarida applicarsi su opzione del soggetto cedente espressa al notaio rogante al momento della stipuladell’atto. Successive modifiche normative hanno escluso dall’ambito di applicazione dellasostitutiva i terreni edificabili e hanno aumentato l’aliquota al 20 % della plusvalenza stessa.Ora dunque ci si può avvalere dell’imposta sostitutiva solo con riferimento a terreni nonedificabili (agricoli) e ai fabbricati.

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              Originariamente inviato da strelizia Visualizza il messaggio
              Si, ma non posso esercitarmi solo sui trust e i terreni...

              che faccia tosta......perchè abbiamo scritto solo di questo? ( e nu vizio oh )

              NON NECESSARIAMENTE IN QUEST'ORDINE

              contabilità
              contenzioso
              iva
              abuso del diritto
              interpelli
              tutte le categorie reddituali irpef
              ecc ecc ecc.....

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                Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                Immobili e aziende, nessun automatismo tra imposte dirette e registro



                L’art. 5, co. 3, del D.Lgs. n. 147/2015 ha introdotto una norma di carattere interpretativo, riguardante le cessioni di immobili ed aziende: in particolare, è stato stabilito che – ai fini dell’imposizione diretta (Ires ed Irpef) delle plusvalenze e dei ricavi, e della determinazione della base imponibile Irap – l’esistenza di un maggior corrispettivo non può essere presunta soltanto in virtù del valore, anche se dichiarato o accertato con riferimento all’imposta di registro, ipotecaria o catastale.


                Tale disposizione consente, pertanto, di superare l’orientamento giurisprudenziale che ammetteva l’accertamento di una maggior plusvalenza, in caso di cessione di azienda o di diritti reali immobiliari, facendo riferimento al valore accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass. 28 novembre 2014, n. 25290; Cass. 20 luglio 2012, n. 12632; Cass. 28 giugno 2012. n. 11012; Cass. 3 novembre 2011, n. 22869; Cass. 13 agosto 2010, n. 18705).

                A questo proposito, si ricorda che, secondo la Suprema Corte, sebbene l’imposta di registro e le imposte sui redditi definiscano diversamente le proprie ba*si imponibili (il valore di mercato per l’imposta di registro, e il corrispettivo per la determinazione della plusva*lenza), l’esistenza di una presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato legittima l’Amministrazione Finanziaria a procedere in via induttiva all’accertamento di un maggior valore dell’immobile o dell’azienda ceduti, ai fini delle imposte dirette, in presenza di un diverso valore accertato in relazione all’imposta di registro. La giurisprudenza di legittimità riteneva, pertanto, che fosse onere onere del contribuente superare la presunzione di corrispondenza tra corrispettivo e valore, fornendo la prova di aver, concretamente, venduto a prezzo inferiore.

                Tale filone giurisprudenziale era, inoltre, giunto a legittimare l’accertamento induttivo della maggior plusvalenza utilizzando il valore definito ai fini dell’imposta di registro nell’ambito di un accertamento con adesione (Cass. 13 dicembre 2012, n. 23001).
                Per effetto della previsione dell’art. 5, co. 3, del D.Lgs. n. 147/2015, è, pertanto, venuto meno il predetto automatismo, nella trasposizione dei valori di immobili e aziende dall’imposta di registro alle imposte dirette: per legittimare l’accertamento di una maggiore plusvalenza è necessario fornire elementi di prova ulteriori, oltre allo scostamento dal valore accertato ai fini del registro; il maggior valore accertato, dichiarato o definito ai fini delle imposte di registro o ipotecaria e catastale, da solo non è sufficiente a presumere un maggior corrispettivo ai fini delle imposte dirette. La novità normativa è, pertanto, coerente con la norma di comportamento AIDC n. 171, secondo cui, in caso di cessione d’azienda, la definizione di un maggior valore ai fini dell’imposta di registro non assume automatica efficacia ai fini delle imposte dirette: “L’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento analitico del reddito d’impresa, può procedere alla rettifica del corrispettivo di cessione dell’azienda contabilizzato solamente in presenza di fatti certi o di ulteriori presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, che siano aggiuntive rispetto ad un accertamento definito ai fini del registro e che provino che l’effettivo corrispettivo è superiore a quanto contabilizzato”.
                La predetta norma ha natura dichiaratamente interpretativa e, quindi, efficacia retroattiva: in altri termini, è suscettibile di incidere sui contenziosi in corso.

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                  Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                  Perdite su crediti, nuovi criteri di deducibilità dal 2015



                  La disciplina della deducibilità, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, delle perdite su crediti è stabilita dall’art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986, così come modificato dall’art. 13, co. 1, lett. c), del D.Lgs. n. 147/2015, applicabile a partire dal periodo d’imposta in corso al 7.10.2015, ovvero dall’anno 2015 nel caso dei contribuenti aventi l’esercizio coincidente con l’anno solare. Rimane confermato che le perdite su crediti costituiscono un componente negativo fiscalmente rilevante se risultano da elementi certi e precisi, salvi alcuni casi specifici (parte dei quali individuati appunto dal predetto Decreto). Si tratta delle perdite su crediti di importo modesto e la cui scadenza sia decorsa da almeno sei mesi, oppure per i quali è prescritto il diritto alla riscossione: la medesima deroga è riconosciuta, nell’ipotesi di cancellazione dei crediti iscritti in bilancio a causa di eventi estintivi. Al di fuori di tali fattispecie, è co*mun*que ammessa ladeducibilità im*me*dia*ta, ovvero senza fornire ulteriori pro*ve, se il debitore si trova in una delle seguenti situazioni:
                  · è assoggettato ad una procedura concorsuale italiana (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento e procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore);
                  · ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942;
                  · ha adottato un piano attestato di risanamento di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L. fall., iscritto presso il registro delle imprese (novità dall’art. 13, co. 1, lett. c), del D.Lgs. n. 147/2015, applicabile dal periodo d’imposta in corso al 7.10.2015);
                  · è assoggettato ad una procedura estera equivalente prevista in Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni (novità dall’art. 13, co. 1, lett. c), del D.Lgs. n. 147/2015, applicabile dal periodo d’imposta in corso al 7.10.2015).
                  Alla luce del suddetto ordine, così come riportato nell’art. 101, co. 5, del TUIR, si deve ritenere che il concetto di “equivalenza estera” non sia riferito esclusivamente alle procedure concorsuali italiane, ma anche all’accordo di ristrutturazione dei debiti e al piano attestato di risanamento. Per quanto concerne, invece, la nozione di “Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni”, si potrebbe fare riferimento al D.M. 27.4.2015, emanato a norma dell’art. 1, co. 678, della Legge n. 190/2014.
                  L’art. 13, co. 1, lett. d), del D.Lgs. n. 147/2015 ha, inoltre, aggiunto il co. 5-bis dell’art. 101 del D.P.R. n. 917/1986, stabilendo una specifica regola di deducibilità applicabile ai crediti di modesta entità oppure a quelli vantati nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali italiane, o estere equivalenti, o che hanno concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o pubblicato, presso il registro delle imprese, un piano attestato di risanamento: la deduzione della perdita sui crediti è ammessa, ai sensi del co. 5, nel periodo di imputazione in bilancio, anche qualora tale iscrizione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, ai sensi del predetto comma, sussistono gli elementi certi e precisi o il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, sempre ché l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio.


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                    Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                    Benefici prima casa, chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate



                    L’Amministrazione Finanziari, con la R.M. n. 49/E/2015, ha rivisto la propria posizione in merito alla permanenza dell’agevolazione prima casa, nell’ipotesi di vendita prima del decorso del quinquennio ed acquisto, entro l’anno successivo alla data di alienazione, di un immobile a titolo gratuito, fornendo alcuni utili chiarimenti. Nel caso di specie, la vendita dell’immobile acquistato con l’agevolazione prima casa, entro 5 anni dall'acquisto, e l’acquisto di un altro fabbricato a titolo gratuito non comporta la decadenza dall'agevolazione, purchè avvenga entro un anno dall’alienazione, ed abbia ad oggetto un immobile destinato ad essere adibito ad abitazione principale. Su tale concetto, infatti, si è più volte pronunciata la giurisprudenza di legittimità, per la quale il semplice riferimento all’acquisto non fornisce alcuna informazione idonea ad escludere gli acquisti gratuiti. Quindi, anche l’acquisizione tramite donazione di un immobile abitativo da adibire a dimora abituale è idoneo ed escludere la decadenza dal beneficio goduto.
                    Quando si decade dal beneficio dell’agevolazione? IlD.P.R. n. 131/1986, in tema di agevolazione prima casa, precisa che la decadenza dall’agevolazione fruita in sede di acquisto di un’unità immobiliare abitativa si ravvisa laddove, prima del decorso di 5 anni dalla data dell’atto, l’acquirente trasferisca l’immobile agevolato. Malgrado ciò, la perdita del beneficio non opera qualora il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile agevolato (effettuata prima del decorso dei 5 anni) procede all’acquisto di un altro immobile da adibire a propria abitazione principale. La decadenza, dunque, si realizza in caso di alienazione, sia a titolo gratuito che oneroso, dell’immobile agevolato, ma è possibile evitare tale decadenza acquistando, entro 1 anno dall’alienazione, un altro immobile, per il quale non è necessario che ricorrano le condizioni per l’applicazione dell’agevolazione prima casa, essendo sufficiente – a differenza dei requisiti richiesti per il precedente acquisto – che l’immobile acquistato sia destinato a dimora abituale e, quindi, ad abitazione principale. Per quanto attiene la natura dell’acquisto da effettuare entro un anno, l’Agenzia delle Entrate ha sempre adottato una posizione riduttiva, secondo cui solo il acquisto a titolo oneroso avrebbe potuto escludere la decadenza. In senso avverso, si è più volte espressa la giurisprudenza di legittimità: si veda, ad esempio la Cass. n. 16077/2013, secondo cui la norma riconosce l’agevolazione sia ai trasferimenti onerosi che a quelli gratuiti, stabilendo che per il mantenimento dell’agevolazione si debba procedere all’acquisto di un altro immobile da adibire a propria abitazione principale, senza richiedere che ciò debba necessariamente avvenire a titolo oneroso.
                    L’art. 7 della Legge n. 448/1998 riconosce un credito d’imposta in caso di trasferimento nel quinquennio con successivo acquisto, anche a titolo gratuito, entro l’anno, ed ha senso soltanto se il beneficio prima casa può mantenersi pure nell’ipotesi in cui l'acquisto della nuova abitazione, entro un anno dall'alienazione della prima, possa essere gratuito. Ciò che rileva, ai fini del mantenimento dell’agevolazione, è, dunque, che il contribuente ponga in essere rapidamente un atto, sia a titolo oneroso o gratuito, cui consegua un nuovo acquisto di altra abitazione Alla luce dei principi sostenuti dalla giurisprudenza di legittimità, la R.M. n. 49/E/2015, come anticipato, ha cambiato orientamento rispetto al passato, affermando che – in caso di rivendita dell’immobile acquistato con i benefici prima casa – il riacquisto a titolo gratuito di altro immobile è idoneo ad evitare la decadenza dal beneficio, se avviene entro 1 anno dall’alienazione, e purchè abbia ad oggetto un immobile idoneo a essere adibito ad abitazione principale del contribuente.


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                      Contratti di leasing, triplice gestione fiscale



                      La gestione contabile e fiscale dei contratti di locazione finanziaria, aventi ad oggetto sia beni mobili che immobili, costituisce da sempre un aspetto di particolare rilievo nella chiusura dei bilanci di esercizio e nella determinazione del reddito d’impresa. In tale contesto, è necessario tener conto che negli ultimi anni sono intervenute importanti modifiche normative: dapprima l’art. 4-bis del D.L. n. 16/2012, con decorrenza dai contratti stipulati dal 29 aprile 2012, ha stabilito che la deducibilità – sia dal reddito di lavoro autonomo (art. 54, co. 2 del D.P.R. n. 917/1986) che d’impresa (art. 102, co. 7, del Tuir) – dei canoni di locazione finanziaria non è più subordinata alla durata minima del contratto di leasing, se inferiore a quella minima fiscale, con la conseguenza che tali componenti negativi restano deducibili in base al previgente criterio temporale di competenza fiscale, a prescindere dal periodo di efficacia civilistica dell’atto. Infine, l’art. 1, co. 162, della Legge n. 147/2013, mediante il quale – pur confermando la “libertà” di durata civilistica del contratto di leasing – è stato modificato, con esclusivo riguardo ai contratti sottoscritti dal 1° gennaio 2014, il periodo di deduzione fiscale del contratto di locazione finanziaria, variabile in funzione della tipologia di bene (immobile, mobile o autoveicoli a deduzione limitata).
                      Nel caso dei contratti sottoscritti fino al 28 aprile 2012, si rendono applicabili le vecchie regole previste dalla previgente – rispetto all’entrata in vigore del D.L. n. 16/2012 – formulazione dell’art. 102 del Tuir, sino alla scadenza del contratto, la cui rilevanza fiscale è subordinata alla pre-condizione della “durata minima del contratto”.

                      Contratti stipulati dal 29 aprile 2012 al 31 dicembre 2013
                      L’applicazione dell’art. 4-bis del D.L. n. 16/2012, riguardante i contratti stipulati dal 29 aprile 2012 e prima dell’entrata in vigore della Legge n. 147/2013, comporta la gestione di un “doppio binario”, in quanto la durata civilistica del contratto di locazione finanziaria dipende dall’accordo concluso tra le parti, senza alcuna necessità di rispettare una durata minima:la deduzione fiscale dei canoni dal reddito d’impresa, al contrario, deve avvenire in un arco temporale predeterminato, e variabile, in funzione della tipologia del bene oggetto del contratto. Conseguentemente, se la durata effettiva del contratto è inferiore al periodo di deduzione fiscale sancito dall’art. 102, co. 7, del Tuir, in ciascun esercizio è necessario effettuare una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi, nonché valutare la necessità di rilevare le corrispondenti imposte anticipate, in presenza dei requisiti indicati dal principio contabile Oic 25. Diversamente, qualora la durata effettiva del contratto sia pari al periodo di deduzione fiscale stabilito dall’art. 102, co. 7, del D.P.R. n. 917/1986, non si verifica alcun disallineamento, con l’effetto che i canoni imputati a conto economico trovano un pieno riconoscimento anche nella determinazione del reddito d’impresa (fatte salve, ovviamente, le variazioni richieste per la quota interessi ai sensi dell’art. 96 del Tuir, e lo scorporo della quota terreno): se, invece, la durata effettiva del contratto è superiore al periodo di deduzione fiscale stabilito dall’art. 102, co. 7, del D.P.R. n. 917/1986, si ritiene che la deduzione fiscale debba avvenire comunque lungo la durata effettiva del contratto, in quanto la deduzione più breve sarebbe carente del requisito della previa imputazione a conto economico prevista dall’art. 109, co. 4, del Tuir.
                      Si segnala, inoltre, che – a norma dell’art. 36, co. 7 e 7-bis, del D.L. n. 223/2006 – non rileva il costo relativo all’area su cui insiste il fabbricato, o di cui ne costituisce pertinenza: secondo l’Agenzia delle Entrate, anche per quanto riguarda lo scorporo del terreno (parte della quota capitale indeducibile) si rende applicabile il principio di prevalenza della durata fiscale nel caso leasing immobiliare (C.M. n. 1/E/2007), ai fini del calcolo della parte di indeducibile del canone riferibile al terreno sul quale insiste il fabbricato strumentale.
                      I predetti criteri di deduzione riguardano, tuttavia, esclusivamente la quota capitale: il riferimento all’art. 96 del D.P.R. n. 917/1986 – operato dall’art. 102, co. 7, del Tuir – comporta che gli interessi passivi impliciti dei canoni di leasing partecipino, unitamente a tutti gli altri oneri finanziari, al procedimento di verifica della loro rilevanza tributaria, ai fini della determinazione del reddito imponibile Ires: sono, pertanto, integralmente deducibili sino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati, mentre l’eccedenza rileva nel limite nel limite del 30% del Risultato Operativo Lordo della gestione caratteristica (ROL), individuato sulla base della differenza A) – B) del conto economico civilistico, ovvero tra il valore ed i costi della produzione, senza considerare i canoni di locazione finanziaria dei beni strumentali, gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali ed immateriali. Lo scorporo della quota interessi, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, deve essere effettuato sulla base del periodo di deduzione fiscale prevista dall’art. 102, co. 7, del Tuir (C.M. n. 17/E/2013).

                      Contratti stipulati dal 1° gennaio 2014
                      L’assetto normativo descritto, come anticipato, è stato nuovamente oggetto di modifiche ad opera della Legge n. 147/2013, con effetto per i contratti sottoscritti a partire dall’entrata in vigore della Legge stessa, ossia dal 1° gennaio 2014 (pur mantenendo diversi elementi introdotti per i contratti stipulati dal 29 aprile 2012, la cui disciplina è stata descritta nei precedenti paragrafi). In particolare, l’art. 1, co. 162, della Legge n. 147/2013 è intervenuto sull’art. 102, co. 7, del Tuir, applicabile a titolari di reddito d’impresa, riducendo, in primo luogo, il periodo di deducibilità fiscale dei canoni di leasing dei beni mobili strumentali, dai due terzi alla metà del periodo di ammortamento fiscale, qualora il contratto abbia ad oggetto beni mobili (compresi i veicoli commerciali ed industriali, nonché le autovetture esclusivamente strumentali e quelle assegnate in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta). In caso di beni immobili, la norma prevede che la deduzione dei canoni di leasing sia ammessa per un periodo non inferiore a dodici anni.
                      Restano, invece, confermati l’assenza di un vincolo di durata minima contrattuale, quale condizione di deducibilità dei canoni, così come il regime di rilevanza fiscale delle autovetture aziendali, ovvero quelle non esclusivamente non strumentali, che continuano a dedursi in quattro anni, quale periodo di ammortamento fiscale.
                      Si pongono, naturalmente, le medesime problematiche operative, in termini di scorporo della quota terreno (leasing immobiliari) e di quella relativa agli interessi passivi, ampiamente illustrate con riferimento alla disciplina introdotta dal D.L. n. 16/2012, rispetto alla quale l’Agenzia delle Entrate si è già espressa con la C.M. n. 17/E/2013.

                      Disciplina Irap
                      La base imponibile del tributo regionale delle società di capitali, ovvero i soggetti interessati dalla pubblicazione dell’approvato bilancio d’esercizio, è determinata in virtù del principio di derivazione, partendo dalla differenza tra il valore e i costi della produzione, così come risultante dal conto economico civilistico, escludendo alcuni componenti reddituali espressamente individuati dall’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997, tra i quali la quota interessi della locazione finanziaria desunta dal contratto. Conseguentemente, le quota capitale dei canoni di leasing di competenza è deducibile, ai fini Irap, nella misura desumibile dal contratto, così come imputata a conto economico. In altri termini, ai fini della determinazione della base imponibile dei soggetti Ires (ed Irpef “ordinari” per opzione), rilevano i principi contrattuali e non quelli fiscali di cui all’art. 102, co. 7, del Tuir, applicabili, invece, per gli altri soggetti. Ciò influisce anche sul quantum degli interessi impliciti dei canoni di leasing che gli artt. 5, co. 3, del D.Lgs. n. 446/1997 definiscono indeducibili – a prescindere dalla tipologia di contribuente – per la quota “desunta del contratto”: a questo proposito, si rammenta, tuttavia, che la C.M. n. 19/E/2009, aveva riconosciuto alle imprese Oic – ovvero soggette all’applicazione, in sede di redazione del bilancio, dei principi contabili nazionali – la possibilità di continuare ad utilizzare il metodo forfettario di cui all’art. 1 del D.M. 24 aprile 1998. In merito al trattamento Irap, la C.M. n. 17/E/2013 ha affermato la prevalenza della durata contrattuale per i soggetti Ires (art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997), sia per la deduzione della quota capitale dei canoni di leasing che per lo scorporo della quota “terreno” ed interessi indeducibile.



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