I soldi secondo l’accusa erano di provenienza illecita perché, seppure movimentati da prestanome, Filippo Bellinghieri, erano in realtà di un altro Bellinghieri, Giuseppe ad oggi detenuto, autore del reato presupposto del riciclaggio: traffico di stupefacenti.
Per l’accusa il vice direttore teneva contatti direttamente con Giuseppe ed era quindi consapevole della provenienza illegittima delle somme movimentate attraverso generiche procure, in modo da non dover richiedere l’adeguata verifica. Ricostruzione che la difesa, tuttavia, contesta.
È il futuro delle “fake news”, delle notizie false fatte per confondersi a quelle vere. Oggi il problema è il testo; domani un mezzo anche più potente: il video.
È il futuro delle “fake news”, delle notizie false fatte per confondersi a quelle vere. Oggi il problema è il testo; domani un mezzo anche più potente: il video.
Già ora, per esempio, un team di ricercatori dell’Università di Washington è in grado di convertire semplici tracce audio in video «realistici, e a labiale sincronizzato» di chi le pronuncia. Per addestrare gli algoritmi oggi servono ore e ore di materiale in alta definizione, e dunque la scelta per il soggetto da manipolare è ricaduta su Barack Obama, di cui ce n’è in abbondanza; domani, tuttavia, basteranno conversazioni su Skype e Messenger, o qualunque contenuto presente in rete.
E invece venticinque anni dopo, della strage di via d’Amelio si sa tutto ma anche niente. Più di venti ergastoli accertati per mandanti ed esecutori mafiosi sono sicuramente un risultato importante ma che rappresentano comunque solo un piccolo tassello di una verità più complessa. Di informazioni sul modo in cui venne assassinato Borsellino sono stracolmi i fascicoli processuali, i verbali dei collaboratori di giustizia, i giornali, i libri usciti a ritmo praticamente continuo. Solo che la metà di quelle informazioni è da considerarsi incompleta, se non completamente falsa.
E invece venticinque anni dopo, della strage di via d’Amelio si sa tutto ma anche niente. Più di venti ergastoli accertati per mandanti ed esecutori mafiosi sono sicuramente un risultato importante ma che rappresentano comunque solo un piccolo tassello di una verità più complessa. Di informazioni sul modo in cui venne assassinato Borsellino sono stracolmi i fascicoli processuali, i verbali dei collaboratori di giustizia, i giornali, i libri usciti a ritmo praticamente continuo. Solo che la metà di quelle informazioni è da considerarsi incompleta, se non completamente falsa.
Falso era sicuramente Vincenzo Scarantino, il protopentito che si autoaccusò della strage sotto la minaccia di sevizie e torture.
Falso era il suo status criminale, elevato per l’occasione da balordo di periferia che rubava gomme di auto scambiandole con dosi di eroina a quello di boss stragista.
Falso era il teatrino di riscontri e testimoni che gli avevano costruito attorno, con pentiti altrettanto posticci come Francesco Andriotta, Salvatore Candura e Calogero Pulci, travestiti da complici reo confessi.
Falsa, infine, era la colpevolezza degli imputati condannati sulla base delle dichiarazioni di Scarantino, che proprio alla vigilia dell’anniversario numero 25 si sono visti assolvere dall’accusa di strage nel processo di revisione: alcuni sono stati scagionati dopo 18 anni passati in regime di carcere duro, altri invece avevano già scontato integralmente la pena per reati minori collegati all’eccidio del magistrato palermitano.
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