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L'angolo di ROL
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Una traccia, o poco più, hanno lasciato i pupari, cioè i registi che hanno ideato e portato avanti il clamoroso depistaggio andato in onda sulle indagini della strage. Il risultato è che a un quarto di secolo da quel 19 luglio del 1992 della strage di via d’Amelio si sa davvero molto poco. E quel poco fino a pochi anni fa non era nemmeno tutto vero.
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Nel 2008 c’è voluta la collaborazione di Gaspare Spatuzza per riscrivere la fase esecutiva dell’eccidio, sbugiardare definitivamente Scarantino (che negli anni si era smentito da solo più volte anche dentro alle aule dei tribunali, senza che alcun pm o giudice lo ascoltasse), scagionare 7 innocenti che da anni erano rinchiusi al 41 bis da stragisti quando invece – è il caso di Gaetano Murana – nella vita erano stati magari solo degli onestissimi operatori ecologici di borgata. Le dichiarazioni di Spatuzza – che per la verità sui falsi pentiti di via d’Amelio aveva parlato anche 10 anni prima – hanno portato al quarto processosulla strage Borsellino, che per comodità gli inquirenti e gli addetti ai lavori hanno ribattezzato semplicemente Borsellino Quater, quasi fosse la quarta stagione di una serie televisiva. La speranza è che non sia l’ultima.
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“Noi dobbiamo pretendere la restituzione di una verità che dia un nome e un cognome a quelle menti raffinatissime che con le loro azioni e omissioni hanno voluto eliminare questi servitori dello stato, quelle menti raffinatissime che hanno permesso il passare infruttuoso delle ore successive all’esplosione, ore fondamentali per l’acquisizione di prove che avrebbero determinato lo sviluppo positivo delle indagini”, ha detto Fiammetta Borsellino, pronunciando parole che hanno un peso specifico non indifferente.
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secondo la lettura dell’accusa, infatti, il depistaggio sarebbe stata opera esclusiva di Scarantino, un seminalfabetabocciato tre volte in terza elementare, imparentato con un mafioso ma considerato un poveraccio persino dai suoi stessi vicini di casa allaGuadagna, una borgata a sud di Palermo.
Poteva un tipo del genere inventarsi da solo un avvelenamento dei pozzi di tale portata, capace di prendere in giro decine di investigatori, magistrati e giudici? Per la pubblica accusa nissena sì, dato che Scarantino nella requisitoria era stato definito un “soggetto criminale” abbastanza “scaltro” da imbastire da solo il copione di bugie sulla ricostruzione della strage.
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In pratica il balordo della Guadagna è stato indotto a fare le sue false accuse. Già ma da chi? I giudici nisseni non lo dicono. Lo faranno probabilmente nelle motivazioni della loro sentenza, con la quale hanno ordinato anche la trasmissione in procura dei verbali dell’udienza. Formula che indica come i magistrati insistano ancora una volta nell’indagare sulla matrice istituzionale del depistaggio. Una pista che fino a questo momento è stata osteggiata da più parti. È come spesso capita in indagini del genere, ha portato a poco. Cristallizzati, però, rimangono alcuni fatti, che comprendono alcune domande mai risolte.
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Il primo quesito lo pongono i giornalisti ai magistrati subito dopo l’arresto di Scarantino ed è abbastanza ovvio: è normale che la mafia si affidi a un balordo per compiere una strage importante come quella di via d’Amelio? “Non ci siamo posti la domanda. I fatti, secondo noi, si sono svolti in un certo modo, Scarantino non è uomo da manovalanza”, risponderà Gianni Tinebra, all’epoca procuratore capo di Caltanissetta.
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“Un’offesa alla nostra intelligenza”, lo definirà più volte l’avvocato Rosalba Di Gregorio. L’infimo livello culturale del balordo della Guadagna era fin troppo evidente già subito dopo l’arresto per fare anche solo ipotizzare che Cosa nostra avesse affidato ad un simile soggetto un incarico tanto importante. La situazione peggiora quando il giovane diventa addirittura un collaboratore di giustizia e inizia a lanciare accuse che fanno scattare arresti a raffica.
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