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concorso agenzia delle entrate 2015 - 892 posti per funzionari amministrativi

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    Liquidazione e cancellazione della società dal Registro delle Imprese



    L’art. 28, co. 4, del D.Lgs. n. 175/2014 ha stabilito che – ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione di tributi e contributi, sanzioni ed interessi – l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi 5 anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle Imprese. Non è stata, tuttavia, disciplinata l’entrata in vigore della novità normativa: a parere dell’Agenzia delle Entrate, trattandosi di disposizione procedurale in quanto tesa a salvaguardare le azioni di recupero della pretesa erariale, la stessa è applicabile anche alle attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal Registro delle Imprese, o sono state cancellate, prima del 13 dicembre 2014 (C.M. n. 31/E/2014, par. 19.2), nonché per attività di controllo riguardanti periodi d’imposta precedenti a tale data, ovviamente nel rispetto dei termini di decadenza e prescrizione previsti dalla legge (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.1). Gli avvisi di accertamento sono notificati alle società cancellate, secondo le nuove regole, applicabili anche agli atti di accertamento, liquidazione e riscossione – ancorchè interessati da contenzioso – notificati prima del 13 dicembre 2014, e relativi a società cancellate prima di tale data. A questo proposito, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’avviso di accertamento contenente la rettifica della dichiarazione della società cancellata dal Registro delle Imprese sarà emesso nei confronti della società e notificato alla stessa presso la sede dell’ultimo domicilio fiscale, in quanto, a tale fine, l’effetto dell’estinzione si produrrà soltanto dopo il decorso di 5 anni dalla cancellazione (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.4). Fermo restando che la società, precedentemente alla cancellazione, può avvalersi della facoltà di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale, per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano, ai sensi dell’art. 60, co. 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973.
    In merito alla retroattività della novità in commento, sostenuta dall’Amministrazione Finanziaria, si segnala, tuttavia, l’orientamento contrario della giurisprudenza di legittimità, che non ritiene possibile attribuire natura procedimentale a tale norma (Cass. 6743/2015): si tratta, infatti, di una disposizione sostanziale, in quanto incide sulla capacità della società cancellata dal Registro delle Imprese. A questo proposito, si osservi che a favore della tesi dell’irretroattività depongono sia la clausola generale contenuta nell’art. 11 della Preleggi che l’art. 3, co. 1, della Legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente), secondo cui – salva l’interpretazione autentica – le leggi tributarie non sono retroattive: conseguentemente, il predetto differimento quinquennale degli effetti della cancellazione dal Registro delle Imprese è applicabile esclusivamente alle richieste presentate a decorrere dal 13 dicembre 2014, ovvero dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014.
    Nel caso di crediti tributari sorti successivamente alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese, in presenza di presupposti maturati precedentemente alla stessa, la titolarità del diritto al rimborso è riconosciuto, pro quota, direttamente ai soci, che sono legittimati a richiederlo (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.7): ai fini della semplificazione dell’erogazione del rimborso, è possibile delegare alla riscossione uno dei soci oppure un terzo, anche lo stesso liquidatore, previa comunicazione al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate (R.M. n. 77/E/2011).
    L’Amministrazione Finanziaria ha altresì precisato che l’art. 28, co. 4, del D.Lgs. n. 175/2014 è applicabile anche alle società di persone, ferma restando la diversa disciplina della responsabilità dei soci collegata alla differente forma societaria (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.6): tale orientamento si fonda sulla considerazione che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto il principio dell’estinzione della società di capitali a seguito della cancellazione ricorrere anche con riguardo alle società di persone, seppure con le dovute distinzioni in ordine allanatura dichiarativa, anziché costitutiva, della cancellazione e alla diversa misura delle responsabilità dei soci (Cass. nn. 6070, 6071, 6072 del 12 marzo 2013, e nn. 4060, 4061 e 4062 del 22 febbraio 2010).
    L’art. 28, co. 5, del D.Lgs. n. 175/2014 ha, inoltre, riformulato il co. 1 dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, per effetto del quale i liquidatori dei soggetti Ires che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori – comprese le ritenute dei lavoratori dipendenti (C.M. n. 31/E/2014, par. 19.2) – rispondono in proprio del pagamento delle imposte, se non provano, alternativamente, di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci od associati, oppure i crediti di ordine superiore a quelli tributari.
    La novellata norma precisa, inoltre, che “tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”. La formulazione della disposizione pare, pertanto, allinearsi all’orientamento di una parte della giurisprudenza di merito in relazione all’ordine di pagamento dei creditori, secondo cui nella liquidazione ordinaria, non essendo previste specifiche disposizioni in merito, si dovrebbe ritenere applicabile – come sostenuto dalla prevalente giurisprudenza (Cass. n. 3321/1996, Trib. Genova n. 1125/2013 e Trib. Milano n. 14632/2010, contra Cass. n. 792/1970 e 1273/1968, Trib. Udine 26 febbraio 2010) – il generale principio civilistico della “par condicio creditorum” (art. 2741 c.c.). Conseguentemente, il liquidatore, nell’ipotesi di incapienza dell’attivo rispetto all’ammontare dei debiti, dovrebbe rispettare le cause legittime di prelazione (ipoteca, pegno e privilegio) e, quindi, le disposizioni civilistiche in materia, come l’art. 2777 c.c. (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.5).


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      super ammortamenti (legge di stabilità 2016)

      La norma prevede che, ai fini delle imposte sui redditi, i soggetti titolari di reddito d’impresa e i soggetti esercenti arti e professioni i quali, dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, effettuano investimenti in beni materiali strumentali nuovi, il costo di acquisizione è maggiorato del 40%, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento fiscalmente deducibili.
      In pratica se il costo d’acquisto di un bene strumentale nuovo è pari a 100, il costo deducibile ai fini dell’ammortamento fiscale sarà pari a 140. Questo maggior ammortamento costituisce in definitiva un bonus fiscale per i contribuenti pari all’11% del costo del bene (il 27,5% di 40).
      Facciamo un esempio
      Ipotizziamo di acquistare un bene a 100, soggetto al 10% di aliquota d’ammortamento.
      Il primo anno l’aliquota si dimezza per cui l’ammortamento sarà pari al 5% (ad eccezione dei professionisti per i quali l’aliquota non si dimezza).
      In contabilità nulla cambia: iscriveremo il bene nell’Attivo al costo di 100, stanzieremo una quota d’ammortamento pari a 5, avremo un Fondo ammortamento pari a 5.
      Sarà solo in sede di Dichiarazione mod. Unico che effettueremo una variazione in diminuzione (superammortamento) pari al 40% di 5, cioè 2, in deroga al principio della previa imputazione a c/economico.
      In totale dedurremo fiscalmente una quota d’ammortamento pari a 7.
      Per gli anni successivi la quota di ammortamento sarà pari a 10, incrementata di ulteriori 4 sotto forma di variazione in diminuzione, per un totale di 14 e fino al termine del processo di ammortamento.

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        Il criterio della consegna

        I superammortamenti al 140% agevoleranno anche gli investimenti avviati prima del 15 ottobre 2015, purché la consegna o la spedizione avvengano a partire da questa data. Quindi ciò che conta è che la consegna del bene sia avvenuta a partire dal 15.10.2015, anche in presenza di acconti anteriori, e a tal fine dovrebbero valere i criteri generali del TUIR e, pertanto, la data di consegna o spedizione oppure, se diversa e successiva, la data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà (o di altro diritto reale).
        Quali sono i beni oggetto dell'agevolazione e quelli esclusi
        Sono agevolati i beni strumentali nuovi (o mai usati) acquisiti anche tramite leasing.
        L’inciso “mai usati” comprende i beni acquistati non dal produttore ma da un terzo, che rimangono agevolati se mai usati prima. Quindi anche l’auto acquistata a Km 0 dovrebbe essere agevolata, trattandosi comunque di un bene mai usato.
        Il beneficio riguarda, oltre naturalmente gli autocarri, anche le autovetture, i motocicli ed i ciclomotori, tenendo tuttavia conto delle limitazioni previste dall’art. 164 Tuir (quota fiscalmente deducibile del 20%, o 70% se affidata a dipendenti, limite di costo fiscalmente ammesso, ecc.).
        Ad esempio, il limite del costo fiscale delle auto (18.076 euro) è incrementato nella stessa misura del 40% e, quindi, è innalzato a 25.306 euro. L’incremento del limite non riguarda le auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti per le quali il limite non esiste.
        Resta invece immutata la percentuale di deducibilità del 20% ovvero del 70% per le imprese e professionisti e dell’80% per agenti e rappresentanti.
        Nel caso di leasing l’agevolazione si applica sulla quota capitale inclusa nel canone.
        Nessuna agevolazione per i noleggi a lungo termine.
        Beni esclusi dall’agevolazione
        L’agevolazione esclude i fabbricati e le costruzioni, gli aerei, i beni con coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5% (silos, serbatoi, ecc.), i beni immateriali e i beni usati.

        Alcuni esempi pratici di calcolo
        Facciamo qualche esempio riferito alle autovetture, in quanto i calcoli sono più difficili.
        1. Acquisto di un’autovettura generica; costo, compreso il 60% di Iva non detraibile € 20.000. Percentuale di ammortamento 25%.
        Fino a ieri: ammortamento civilistico 25% = € 5.000, fiscale € (18.076 x 25% x 20%) = € 904,00 (arrotondato).
        Oggi: ammortamento civilistico identico; fiscale € (18.076 + 40%)= € 25.306 x 25% x 20% = € 1.265,00.
        Stesso caso ma con auto affidata a dipendente.
        Fino a ieri: ammortamento civilistico 25% = € 5.000, fiscale € 20.000 x 25% x 70%) = € 3.500,00.
        Oggi: ammortamento civilistico identico; fiscale € (20.000 + 40%) = € 28.000 x 25% x 70% = € 4.900,00.

        2. Acquisto di un’autovettura generica; costo, compreso il 60% di Iva non detraibile € 15.000. Percentuale di ammortamento 25%.

        Fino a ieri: ammortamento civilistico 25% = € 3.750, fiscale € (15.000 x 25% x 20%) = € 750.
        Oggi: ammortamento civilistico identico; fiscale € (15.000 + 40%)=€ 21.000 x 25% x 20%= € 1.050.
        Stesso caso ma con auto affidata a dipendente.
        Fino a ieri: ammortamento civilistico 25% = € 3.750, fiscale € 15.000 x 25% x 70%) = € 2.625.
        Oggi: ammortamento civilistico identico; fiscale € (15.000 + 40%)= € 21.000 x 25% x 70%= € 3.675.

        3. Acquisto di un’autovettura generica; costo, compreso il 60% di Iva non detraibile € 30.000. Percentuale di ammortamento 25%.
        Fino a ieri: ammortamento civilistico 25% = € 7.500, fiscale € (18.076 x 25% x 20%) = € 904 (arrotondato).
        Oggi: ammortamento civilistico identico; fiscale € (18.076 + 40%)=€ 25.306 x 25% x 20%= € 1.265.
        Stesso caso ma con auto affidata a dipendente.
        Fino a ieri: ammortamento civilistico 25% = € 7.500, fiscale € 30.000 x 25% x 70%) = € 5.250.
        Oggi: ammortamento civilistico identico; fiscale € (30.000 + 40%)= € 42.000 x 25% x 70%= € 7.350.
        Per agenti e rappresentanti occorre ricordare che il limite di ammortamento auto, escludendo l’Iva che normalmente si deduce al 100%, era di € 25.823, aumentato del 40% passa ad € 36.152 e la quota di ammortamento fiscalmente deducibile è pari all’80%.

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          La vendita anticipata annulla l’agevolazione

          I beni non dovranno essere venduti prima della fine del periodo di ammortamento.
          In caso di cessione del bene prima della conclusione del processo di ammortamento bisogna restituire al Fisco il bonus ricevuto, per cui nel determinare la plusvalenza/minusvalenza, ferme restando le quote di superammortamento già dedotte, occorrera’ operare una rettifica per i maggiori ammortamenti fiscali dedotti come se questo bonus non fosse esistito.
          In pratica si tassano i maggiori ammortamenti dedotti sotto forma di maggiore plusvalenza (o minore minusvalenza).

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            Attenuanti penali per l'omessa dichiarazione

            L’estinzione integrale del debito tributario, comprensivo di sanzioni e interessi, non comporta la punibilità del reato purché il pagamento avvenga a seguito di ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro l’anno successivo, a condizione che, nessuno dei due casi, sia preceduto da una qualsiasi attività di accertamento amministrativo o penale o inizio di accessi, ispezioni e verifiche. La normativa attuale non prevede i benefici della non punibilità nei casi sopra delineati.

            Inoltre se il debito tributario è invia di estinzione, anche mediante la rateizzazione, ipotesi quest’ultima non prevista dall’attuale normativa, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, scatta la causa di non punibilità. Nel caso del rateizzo, anche ai fini dell’applicazione della norma sulla circostanza del reato di nuova introduzione, è previsto un termine di 3 mesi, prorogabile dal giudice per una sola volta per altri 3 mesi, per il pagamento del debito residuo e la sospensione della prescrizione.

            Il nuovo art. 13-bis del D.Lgs. 74/2000 prevede pene ridotte alla metà, con esclusione delle pene accessorie, per i reati diversi da quelli di dichiarazione infedele o omessa, omesso versamento di ritenute o dell'Iva e indebite compensazioni, specificati nell'art. 13 del medesimo decreto. I reati poc'anzi menzionati, sono esclusi dalla punibilità per effetto dell'integrale pagamento del debito, comprensivo di sanzioni e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito di conciliazione, accertamento con adesione o ravvedimento operoso.

            Per i reati diversi da quelli di cui all'art. 13 delD.Lgs. 74/2000 è prevista, invece, nonostante l'integrale pagamento del debito,comprensivo di sanzioni e interessi, anche a seguito di conciliazione o accertamento con adesione ma non ravvedimento operoso, una riduzione di pena fino alla metà con esclusione delle pene accessorie.

            Si osserva che il nuovo art. 13-bis co. 1 del D.Lgs. 74/2000, che tratta le ipotesi di reato soggette comunque a pena, anche se ridotta per il verificarsi di alcune circostanze, non cita il ravvedimento operoso come modalità di pagamento del debito tributario.La richiesta di patteggiamento per tutti i reati di cui al D.Lgs. 74/2000 è condizionata alla circostanza che sia stato totalmente pagato il debito tributario prima dell’apertura del dibattimento o sia stato esperito il ravvedimento operoso previsto per i casi di omesso versamento di ritenute o Iva e indebite compensazioni e omessa o infedele dichiarazione

            Dal patteggiamento sono esclusi i casi in cui l’autore dei reati di cui ai commi 1 e 2 dell'art.13 del D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione infedele o omessa, omesso versamento delle ritenute o dell'Iva e indebite compensazioni), abbia avuto formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale o di un’attività di controllo.

            Un confronto tra il nuovo dettato normativo dell'art. 13-bis del D.Lgs. 74/2000e l'ex art. 13 del medesimo decreto evidenzia che entrambi condizionano il patteggiamento della pena al pagamento integrale del debito, comprensivo di sanzioni e interessi (per gli interessi la precedente normativa li escludeva),prima della dichiarazione del dibattimento di primo grado, ma solo il novellato articolo cita il ravvedimento operoso.

            La possibilità offerta al contribuentedi presentare la dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo e prima di controlli e/o accertamenti, esclude comunque la possibilità del ravvedimento sotto il profilo amministrativo, mentre avrebbe rilevanza sotto l’aspetto della non punibilità penale.

            In effetti, la nuova ipotesi di ravvedimento prevista per il pagamento integrale del debito tributario attiene alla causa di non punibilità visto anche il suo inserimento normativo nell’ambito del D.Lgs. 74/2000 che si occupa, appunto, dei reati tributari, e non invece nel D.Lgs. 472/1997 che, nel disciplinare all’art. 13 l’istituto del ravvedimento operoso, si occupa di sanare le omissioni, gli errori e il caso della dichiarazione tardiva entro i 90 giorni dal termine ordinario.

            La dichiarazione omessa è comunque titolo valido per la riscossione delle imposte che ne derivano, ma il contribuente non può ricorrere al ravvedimento della stessa sotto il profilo amministrativo ma solo delle imposte non versate nei termini ordinari e sempre ché non abbia ricevuto avviso di liquidazione o accertamento o siano iniziati i controlli fiscali. In tale caso il contribuente riceverà l’atto d’irrogazione della sanzione dall’Agenzia delle Entrate.

            In ossequio al principio del favor rei risulta che destinatari delle nuove norme saranno i procedimenti da attivare e pendenti per omessa presentazione della dichiarazione se l’imposta evasa non supera€ 50.000. In maniera analoga, l’inasprimento delle pene riguarderà solo le omissioni poste in essere dopo l’entrata in vigore delle nuove norme e non anche quelle passate. Quanto detto vale anche per le omissioni risultanti dall’Unico 2015.

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              Agevolazioni per l'acquisto della prima casa in leasing

              La legge di Stabilità 2016 regola unanuova modalità di acquisto della casa daadibire ad abitazione principale disciplinando le normecivilistiche e fiscali da applicare.
              - Le banche o gli intermediarifinanziari acquistano o fanno costruire la casa e la mettono adisposizione dell’utilizzatore dietropagamento di un canone dilocazione e con facolta’di riscattoaltermine del periodo prestabilito.
              - L’utilizzatore con etàinferiore a 35 anni, e con un reddito non superiore a 55mila euro, puo’beneficiare delladetrazione del 19% sui canoni e i relativi oneri accessori, per un importo non superiore a 8.000 euro, e sul prezzo di riscatto per unimporto non superiore a 20.000euro.
              Se invece l’età dell’utilizzatoresupera i 35 anni la detrazione è ridotta a metà.
              Rispetto all’attuale limitedi detrazione degli interessi passividi 4000 euro, per i giovani di età inferiore a 35 anni ilvantaggio è evidente; la detrazioneoltre ad essere di ammontare doppio rispetto all’attuale, riguarda tuttol’ammontare dei canoni e non solo degli interessi, ed è ammessa anche sulprezzo di riscatto.
              - L’utilizzatore si assume tutti irischi dell’utilizzo del bene, e puo’ al verificarsi di determinate condizionichiedere la sospensione del pagamento dei canoni.
              Se l’utilizzatore non paga i canoni ilcontratto viene risolto e la banca o l’intermediario finanziario realizzacon la vendita o altro mezzo, il valore del bene per ristorarsi deicanoni non riscossi, di quelli ancora da scadere attualizzati e delprezzo di riscatto. L’eventuali improbabile eccedenza spetta all’utilizzatore.
              La norma prevede inoltre le condizioni allequali l’utilizzatore puo’ richiedere la ripresa del pagamento dei canoni, larinegoziazione delle condizioni del contratto e con riguardo al concedente leazioni che puo’ intraprendere per ottenere il rilascio dell’immobile.
              Altre agevolazioni per l’acquisto dell’abitazione in leasing

              Vengono previste agevolazioni anche perle imposte indirette, ipotecarie e catastali per l’acquisto dell’abitazione inleasing:
              -Imposta di registro nella misurafissa dell’1,5% pergli atti di trasferimento in favore delle banche, nel caso l’abitazionerispetti le condizioni per essere considerata prima casa, imposte ipotecarie ecatastali in misura fissa. Se invece l’acquisto da parte della banca èeffettuato da una impresa costruttrice e quindi soggetto a iva le impostedi registro, ipotecarie e catastali sono applicate in misura fissa.
              Anche per l’utilizzatore vengonopreviste agevolazioni sempre dello stesso tipo: applicazione delleimposte in misura fissa all'atto del riscatto e imposta di registrodell'1,5% nel caso di cessione del contratto di locazione quando vi sono lecondizioni per la prima casa.
              Quando non si verificano lecondizioni per la prima casa l'imposta di registro passa al 9%:
              La norma prevede anche un limitetemporale di applicazione dal 1 gennaio 2016 fino al 31 dicembre 2020.
              Chi vivrà vedrà cosa succederà nel 2020!!!

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                off topic

                Premessa – Con la legge di stabilità 2016 (comma 10), il legislatore sottrae all’autonomia comunale la possibilità di assimilazione ad abitazione principale (ai fini IMU) dell’immobile concesso in comodato tra genitori e figli.

                Si ricorda, infatti, che in base alla disciplina IMU in vigore fino a tutto il 2015, era lasciata all’autonomia comunale la possibilità di considerare direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare concessa in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che la utilizzassero come abitazione principale, a condizione che:
                1. la delibera comunale IMU lo prevedesse espressamente e nel prevederlo occorreva stabilirne anche la condizione (ovvero che l'agevolazione operasse limitatamente alla quota di rendita risultante in catasto non eccedente il valore di euro 500 euro oppure che il nucleo familiare del comodatario avesse un valore ISEE non superiore ai 15.000 annui);
                2. l’assimilazione era da applicarsi limitatamente ad una sola unità immobiliare.


                Inoltre, molti comuni, potevano subordinare l’assimilazione all’ulteriore condizione che il contratto di comodato fosse regolarmente registrato presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

                Nessuna previsione era disposta in tal senso ai fini della TASI.


                La nuova previsione normativae casi possibili – Con il comma 10 della legge di stabilità 2016, invece, è stabilito che, sia ai fini IMU sia ai fini TASI, a decorrere dal 2016, la base imponibile per il calcolo dell’imposta è ridotta del 50% per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale a condizione che:

                1. il contratto sia registrato;
                2. il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato.


                Il beneficio si applica altresì nel caso in cui il comodante oltre all’immobile concesso in comodato possieda nello stesso comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

                Dunque, il genitore che possiede nello stesso comune due appartamenti di cui uno è la propria abitazione principale (non di lusso), può concedere l’altro immobile (non di lusso) in comodato al figlio (questi deve adibire l’immobile a propria abitazione principale). In questo modo il genitore liquiderà, sull’immobile concesso in comodato al figlio, IMU e TASI 2016 con un risparmio del 50% sull’imposta (l’aliquota da applicare per il genitore comodante non è quella per abitazione principale ma quella prevista per le seconde case).
                Il genitore, non potrebbe, invece, ottenere l’agevolazione qualora, ad esempio, risieda in un appartamento di proprietà nel comune di Caserta ed è proprietario di altro immobile a Napoli concesso in comodato al figlio.
                Così come non potrebbe ottenere l’agevolazione, il genitore proprietario nello stesso comune di due appartamenti (di cui uno abitazione principale per se stesso e l’altro concesso in comodato al figlio) e altresì proprietario di altro appartamento in altro comune.
                Ma quanto conviene? – Dunque, a decorrere dal 1° gennaio 2016, i genitori e figli sono chiamati a valutare la convenienza della concessione in comodato del secondo appartamento, così da ottenere un risparmio dell’imposizione fiscale sul mattone.
                Per chi ha già un contratto di comodato in essere registrato e rispetta le altre condizioni previste dal comma 10 della manovra 2016, di certo la misura in esame ha dei risvolti positivi in termini di risparmio.
                Ma per i genitori che non hanno optato in passato per tale soluzione, quanto conviene muoversi in tale direzione?
                Infatti, se da un lato è vero che il legislatore, dal 2016, riconosce una riduzione alla metà della base imponibile per il calcolo del tributo (IMU e TASI) dovuto sull’immobile, dall’altro occorre fare i conti, comunque, con i costi necessari per la registrazione del contratto di comodato (imposta di registro in misura fisso di 200 euro e le marche da bollo da 16 euro per ogni copia registrata).
                Proviamo a fare un esempio, con la tabella in fondo alla pagina (si considerino un’aliquota IMU dell’8,6 per mille e un’aliquota TASI dell’1,5 per mille).
                Dunque, optando per la concessione in comodato, per l’anno 2016, sul sub 2 il genitore avrà un risparmio IMU e TASI per complessivi 192,20. Il risparmio potrebbe aumentare nel 2017, poiché non ci saranno i costi di registrazione del comodato (tuttavia occorre considerare eventuali aumenti di aliquote rispetto al 2016).
                L’uso del condizionale è d’obbligo, poiché occorre fare i conti con una normativa che tutto ispira al di fuori che “certezza” con il rischio che quanto stabilito con la manovra 2016 potrebbe cambiare e non essere più vero con la manovra 2017.

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                  Le novità del Decreto SemplificazioniIn passato, il cedente del bene ossia il prestatore del servizio era obbligato ad effettuare una comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate prima dell’effettuazione dell’operazione.

                  Tuttavia, a decorrere dal 01.01.2015, con l’introduzione del D.lgs. n. 175/2014, c.d. “Decreto Semplificazioni”, l’esportatore abituale ha l’obbligo di comunicare i dati delle dichiarazioni d’intento.In particolare, gli esportatori abituali che vogliono acquistare o importare beni senza l’applicazione dell’imposta devono inviare:

                  - all’Agenzia delle Entrate i dati e le notizie delle dichiarazioni d’intento emesse;
                  - al fornitore ed alla Dogana gli estremi delle dichiarazioni d’intento unitamente alla ricevuta di avvenuta presentazione delle stesse rilasciata da parte dell’Agenzia delle Entrate.

                  Dal canto suo, il fornitore potrà emettere la fattura senza applicazione dell’IVA solo dopo aver seguito un preciso iter procedurale, ovvero solo dopo aver:

                  - ricevuto le dichiarazioni d’intento e le ricevute di presentazione all’Agenzia delle Entrate;
                  - riscontrato l’avvenuta presentazione delle suddette dichiarazioni d’intento presso Agenzia delle Entrate da parte dell’esportatore abituale.

                  In estrema sintesi, le ulteriori novità ed incombenze introdotte dal Decreto Semplificazioni possono essere così riassunte:- utilizzo obbligatorio, dal 12 febbraio 2015 del nuovo modello “Mod.DI”, necessario per la presentazione telematica della dichiarazione di intento;- indicazione nel predetto “Mod. DI” della tipologia di plafond utilizzato e di informazioni relative alla costituzione dello stesso;- introduzione di nuove modalità con cui il fornitore potrà riscontrare, nel sito internet dell’Agenzia delle Entrate, la correttezza delle dichiarazioni di intento ricevute;- utilizzo di una procedura alternativa di verifica della correttezza della dichiarazione di intento mediante utilizzo del cassetto fiscale per i soggetti abilitati (servizi telematici Entratel o Fisconline );- utilizzo di una stessa dichiarazione d'intento per una serie di operazioni doganali d'importazione, fino a concorrenza di un determinato ammontare da utilizzarsi nell'anno di riferimento;- adozione della nuova disciplina sanzionatoria prevista per le violazioni alla normativa introdotta dal 1° gennaio 2015 (art. 7, comma 4-bis, D.lgs. n. 471/97, dal 100% al 200% dell’imposta qualora “il cedente o prestatore effettui operazioni nei confronti dell’esportatore abituale prima di aver ricevuto da parte di questi la dichiarazione d’intento ed averne riscontrato l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle Entrate”).

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                    Nei casi in cui il debitore dell’imposta sia individuato dalla legge nel cessionario o committente, le modalità di adempimento degli obblighi tributari da parte dello stesso originano fattispecie che spesso, da parte degli operatori, vengono assimilate: l’autofattura, il reverse charge e l’integrazione della fattura.

                    Il reverse charge, strumento utilizzato dal legislatore prevalentemente al fine di contrastare fenomeni di evasione, consiste in un’inversione contabile attraverso la quale l’obbligazione tributaria corrispondente al versamento dell’imposta è posta in capo al destinatario della cessione o prestazione, in luogo del cedente o prestatore.Si impedisce al cedente (che emette fattura nei confronti di un soggetto passivo non applicando l’imposta) di addebitare l’Iva e obbliga il cessionario (che deve integrare con il tributo il documento ricevuto e registrare lo stesso nel registro vendite e acquisti) al versamento totale dell’imposta. In tal modo, si evita che il cessionario/committente porti in detrazione il tributo che il cedente/prestatore non ha mai versato perché “scomparso” (c.d. frodi carosello).

                    Mentre nel procedimento di auto fatturazione (ad esempio, per acquisto di servizi di cui all’art. 7 ter del D.P.R. n. 633/1972 effettuato da prestatore extra Ue)il documento che assume rilevanza è quello emesso dall’acquirente, nell’ipotesi di reverse charge l’obbligo di emissione del documento - senza addebito dell’imposta - è a carico del cedente o prestatore, cioè del soggetto che pone in essere l’operazione imponibile. Il cessionario o committente, nei casi di reverse charge, deve integrare la fattura con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta, annotando il documento integrato, sia nel registro degli acquisti, sia in quello delle vendite (diventando, in tal modo, il debitore del tributo verso il Fisco).

                    Secondo quanto disposto dagli artt. 47 e seguenti del D.L. n. 331/1993, negli acquisiti intracomunitari, il soggetto passivo dell’imposta è il cessionario. Infatti, quest’ultimo, dopo aver eseguito la numerazione della fattura del cedente comunitario, è tenuto a integrarla, con l’indicazione dei dati necessari alla determinazione della base imponibile e dell’imposta o del titolo di inapplicabilità della stessa, se trattasi di operazioni non soggette, non imponibili o esenti.
                    Si può dire che il sistema escogitato dal legislatore per la fatturazione e documentazione in ambito intracomunitario si basa, sostanzialmente, sul reverse charge (infatti, il cedente comunitario emette fattura senza indicazione dell’imposta e l’acquirente nazionale, soggetto passivo, integra la fattura con l’indicazione dell’aliquota e dell’imposta e procede alla sua annotazione sia nel registro delle vendite sia nel registro degli acquisti). Anche in tal caso, il documento rilevante risulta essere quello di fonte estera.


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                      VIES iscrizione immediata -

                      Con l’art. 22 del Decreto semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014), è stato riscritto l’art. 35 del D.P.R. 633/1972, prevedendo che con l’esercizio dell’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES, o al
                      momento di presentazione della Dichiarazione di inizio attività o in un momento successivo, il soggetto viene automaticamente incluso nell’archivio VIES e può iniziare da subito a effettuare operazioni intracomunitarie (senza attendere 30 giorni).

                      Nella previgente normativa, l’iscrizione all’archivio VIES poteva avvenire o al momento di presentazione della Dichiarazione di inizio attività o in un momento successivo. Tale iscrizione diveniva efficace decorsi 30 giorni dalla presentazione della richiesta, tranne il caso in cui nel medesimo termine l’Amministrazione Finanziaria emanasse un provvedimento motivato di diniego, che precludeva l’inserimento nel Vies.

                      Ciò che si vuole evidenziare è che la soggettività attiva e passiva all’effettuazione di operazioni intracomunitarie era sospesa nel periodo di 30 giorni dall’effettuazione della richiesta, ovvero dopo la notifica del diniego.

                      In seguito alla modifica normativa in commento, il soggetto passivo – diversamente da quanto precedentemente disposto – ottiene l’iscrizione nella banca dati VIES già al momento della attribuzione della partita IVA o, se la volontà di effettuare operazioni intracomunitarie è manifestata successivamente, al momento in cui manifesta tale volontà.

                      Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 159941 del 15.12.2014 sono state definite le modalità per l’inclusione immediata nell’archivio VIES (Vat information exchange system) per chi apre una partita Iva o anche successivamente, senza più dover attendere 30 giorni di tempo, con la possibilità, dunque, di effettuare fin da subito operazioni con gli altri Paesi UE .

                      Gli effetti della mancata iscrizione al VIES – Abbiamo già evidenziato la mancata previsione di una norma ad hoc per le operazioni intracomunitarie poste in essere con controparti non iscritte al VIES.
                      Va preliminarmente osservato che l’assenza dall’archivio VIES, secondo l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate nella C.M. 39/E/2011, determina il venire meno della possibilità di effettuare operazioni intracomunitarie e di applicare il regime fiscale loro proprio, in quanto il soggetto non può essere considerato come soggetto passivo IVA italiano ai fini dell’effettuazione di operazioni intracomunitarie. In altre parole, eventuali operazioni realizzate in mancanza d’iscrizione vanno comprese nel regime ordinario Iva.
                      Tale interpretazione è stata più volte oggetto d’analisi dei giudici della Suprema Corte, che il più delle volte l’hanno ritenuta non condivisibile.

                      Ad esempio, sia i giudici comunitari che quelli nazionali hanno affermato che il possesso dei requisiti sostanziali da parte del cessionario comunitario sia condizione sufficiente per applicare il regime di non imponibilità, mentre il possesso dei requisiti formali (iscrizione al VIES) non rappresenta condizione necessaria e sufficiente per l’applicazione del regime di non imponibilità proprio delle operazioni intracomunitarie. In altre parole, il regime di non imponibilità può essere applicato se il contribuente riesce a dimostrare che la controparte agisce in qualità di soggetto economico.
                      Può capitare ad esempio che la controparte non sia presente negli archivi VIE; ma si riesca a provare la regolarità delle cessioni intracomunitarie attraverso il certificato di attribuzione della partita Iva del cessionario rilasciato dalle autorità competenti unitamente a visura camerale, dichiarazioni fiscali presentate e modelli Intrastat (CTR Lombardia 2495/2015) oppure al caso in cui sono stati presentati tutti i documenti che attestano l’avvio dell’iter di attribuzione della stessa (CTR Lombardia 2112/2015).

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