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concorso agenzia delle entrate 2015 - 892 posti per funzionari amministrativi

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    Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
    Il credito da compenso amministratore del socio può essere imputato ad aumento del capitale sociale?
    Si, ai sensi dell'art. 2464 c.c. per le srl.
    Si, se è previsto nell'atto costitutivo ai sensi dell'art. 2342 c.c per le spa

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      Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
      Nelle srl è ammesso il socio d'opera?
      Si, ai sensi dell'art. 2464 6° comma c.c.

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        per limavy.....tiè divertiti :-)

        (ne fecero a pacchi.....)
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          Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
          Compensi agli amministratori : compensi non congrui possono essere contestati dall'agenzia delle entrate?
          Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
          NB: se gli amministratori rinunciano ai compensi diventano UTILI NON DISTRIBUITI e non sono deducibili ed inoltre se gli amministratori trascurano i propri crediti verso la società questi sono considerati VERSAMENTI DI SOMME DATE A MUTUO.
          Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
          Il credito da compenso amministratore del socio può essere imputato ad aumento del capitale sociale?
          Originariamente inviato da strelizia Visualizza il messaggio
          Si, ai sensi dell'art. 2464 c.c. per le srl.
          Si, se è previsto nell'atto costitutivo ai sensi dell'art. 2342 c.c per le spa
          Puoi dire se e' giusto?...

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            Originariamente inviato da strelizia Visualizza il messaggio
            Puoi dire se e' giusto?...
            Io rispondo con c.c. alla mano poi bisogna vedere nei casi concreti...

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              http://www.finanzaterritoriale.it/in...o-bancarotta/#


              quando il prestito potrebbe essere assimilato ad un'erogazione a fondo perduto

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                postergazione delle srl estesa anche alle spa a ristretta base azionaria

                http://www.ecnews.it/fisco-lavoro/20...ensive-parte-i

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                  Secondo l’art. 41 bis del D.P.R. 600/1973 i competenti uffici dell'Agenzia delle entrate, senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall'articolo 43, possono riscontrare in sede di attività istruttoria (articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4), D.P.R. 600/73), oppure a seguito di segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell'anagrafe tributaria, elementi che consentono di stabilire l’esistenza di:
                  • un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, il quale avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile;
                  • deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti;
                  • imposte o maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter.

                  L’articolo citato stabilisce che i competenti uffici dell'Agenzia delle entrate possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibile ovvero la maggiore imposta da versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal D.Lgs. 218/1997. La norma pertanto definisce i confini di tale fattispecie accertativa delimitandone il contenuto e circoscrivendone le condizioni per la sua applicazione. L’art. 41 bis del D.P.R. 600/73 o accertamento parziale non rappresenta una tipologia accertativa autonoma, bensì solamente una procedura, basata su elementi non indiziari e nemmeno presunti, ma certi e immediatamente utilizzabili. Sull’immediatezza di tale istituto la circolare 235 del 08/08/1997 precisa che la ratio dello stesso è rispettata quando:
                  • gli Uffici si limitino a trasfondere gli elementi immediatamente utilizzabili che risultino da ogni tipo di segnalazione proveniente dalla Guardia di Finanza, inclusi iverbali di constatazione redatti a seguito di verifica generale;
                  • gli Uffici, sulla base degli elementi istruttori autonomamente acquisibili, provvedano successivamente a demandare una eventuale più approfondita e complessiva valutazione della posizione del contribuente.

                  L’esistenza della dizione “elementi certi” si rileva invece nella circolare n. 258 del 4/11/1998. Secondo la citata prassi la certezza degli elementi dovrebbe rendere difficile l’ipotesi di un esame degli stessi nel successivo contraddittorio: “per gli avvisi di accertamento parziale automatizzati, generalmente fondati su elementi certi risultanti dal sistema informativo dell'anagrafe tributaria, è difficilmente ipotizzabile la valutazione, in contraddittorio con il contribuente, degli elementi stessi”.Di visione contraria è la giurisprudenza la quale anche recentemente, con la sentenza della Cassazione n. 21984/2015 ha accolto le pretese dell’Agenzia delle entrate, confermando quanto in altre occasioni già pronunciato, ovvero che:
                  • l’accertamento parziale non è autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600/1973 e neppure in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 54 e 55 del D.P.R. n. 633/1972;
                  • lo stesso non prevede dei limiti all’utilizzo del metodo di accertamento induttivo, consentito, in linea di principio, anche in presenza di contabilità tenuta in modo regolare. L’accertamento parziale si configura pertanto in una modalità procedurale che segue le stesse regole previste per gli accertamenti (sul tema si vedano anche le sentenze della Cassazione numeri: 2761/2009, 27323/2014, 25989/2014);
                  • non vi è circoscrizione all'accertamento del reddito d'impresa o solo a talune delle categorie di redditi di cui all'art. 6 del T.U.I.R. e non è richiesto all'ufficio di fornire la "prova certa" del maggior reddito, prova che può invece essere raggiunta anche con le presunzioni di cui alla fonte legale.

                  Appare chiara, quindi, la considerazione in merito alle presunzioni, le quali sono ritenute come intrinseche alla norma, ribadendo che è sufficiente l’esistenza di elementi, e non già di elementi certi, come da citazioni riportate all’interno della sentenza: “risultino elementi" e "possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili". Alla luce di quanto affermato, gli elementi che il legislatore ha contemplato nella norma e ai quali dottrina e prassi riconoscono possedere delle caratteristiche certe, non sono invece considerati tali dalla giurisprudenza, legittimando quindi l’esistenza di accertamenti parziali e induttivi.

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                    Tra la fase di presentazione dei modelli dichiarativi da parte del contribuente e quella di eventuale controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria si inserisce una fase di liquidazione delle imposte o dei crediti spettanti, che comunemente viene riconosciuta con il termine di “liquidazione automatica”. Tale fase, priva di ogni qualsivoglia forma di valutazione sul merito del contenuto del modello dichiarativo, è svolta in base a tutti i dati a disposizione dell’Amministrazione finanziaria (precedenti modelli dichiarativi, modelli di versamento F24, ecc) e si tratta di un controllo finalizzato a verificare l’esattezza numerica di quanto riportato in dichiarazione nonché l’esattezza dei conseguenti versamenti che dai modelli dichiarativi derivano.Da un punto di vista normativo il controllo automatizzato è previsto rispettivamente
                    • dall’articolo 36-bis D.P.R. 600/1973, per quanto riguarda le imposte dirette, e
                    • dall’articolo 54-bis D.P.R. n. 633/1972, per quanto riguarda l’Iva.

                    In particolare, ai sensi delle citate disposizioni normative, gli Uffici dell'Agenzia delle Entrate procedono, entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta. Tale controllo, in sostanza, riguarda la generalità dei modelli dichiarativi presentati, senza alcuna selezione preventiva in base a specifici parametri di riferimento.Come stabilito dall’articolo 28 L. n. 449/1997, il suddetto termine ha carattere ordinatorio, nel senso che il mancato rispetto dello stesso non comporta alcuna decadenza in capo all’Amministrazione finanziaria (gli avvisi bonari possono quindi essere recapitati al contribuente anche oltre tale termine, senza che, solo per questo, possa esserne contestata la regolarità).Diversa è invece la questione per quanto riguarda la notifica delle cartelle di pagamento derivanti dai controlli di cui all’art. 36-bis D.P.R. n. 600/1973. In base a quanto stabilito dall’art. 25 D.P.R. n. 602/1973, per le somme che risultano dovute a seguito di controlli automatizzati, previsti dal citato art. 36-bis D.P.R. n. 600/1973, il concessionario deputato per la riscossione deve notificare la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato in solido nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Pertanto, se risultano delle somme dovute dal contribuente, risultanti da un avviso bonario, queste devono essergli richieste tramite ruolo entro una determinata scadenza, pena l’impossibilità, oltre tale data, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, di pretenderle.

                    A seguito dei controlli automatici, ovvero dei controlli eseguiti dagli Uffici ai sensi degli artt. 36-bis e 54-bis D.P.R. n. 633/1972, come disposto dal co. 2, art. 2, D.Lgs. n. 462/1997,l'iscrizione a ruolo a titolo definitivo non viene eseguita, in tutto o in parte, se il contribuente o il sostituto d'imposta provvede a pagare le somme dovute. In particolare, il pagamento deve avvenire entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai predetti artt. 36-bis D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1972, ovvero dal ricevimento della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d'imposta.Come chiarito dalla C.M. 3.8.2001, n.77/E, il co. 2, art. 2 D.Lgs. n. 462/1997 prevede una duplice disposizione di favore per il contribuente e per il sostituto d'imposta. Viene previsto, infatti, che il termine di 30 giorni per eseguire il pagamento della maggiore imposta liquidata e beneficiare così della riduzione delle sanzioni dovute, oltre che dalla data di ricevimento della comunicazione, possa decorrere anche dalla data della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d'imposta. Quindi:
                    1. se la comunicazione contiene l'espresso e specifico invito, da parte dell'Ufficio, alla presentazione di documenti o chiarimenti, il contribuente aderendo tempestivamente alla richiesta, acquisisce il diritto a ricevere la comunicazione definitiva e, effettuando poi il pagamento entro 30 giorni, usufruisce della riduzione della sanzione, sia che l'imposta dovuta sia stata rideterminata in sede di autotutela, sia che la stessa sia stata confermata. In altre parole, se l'iniziativa è dell'Ufficio, il contribuente viene in ogni caso riammesso nei termini ai fini della riduzione di cui trattasi;
                    2. qualora, invece, l'iniziativa in ordine alla presentazione di documenti o chiarimenti sia assunta autonomamente dal contribuente, la possibilità per lo stesso di pagare entro 30 giorni dalla comunicazione definitiva, mantenendo il diritto alla riduzione della sanzione, sussiste solo se l'imposta viene rideterminata in sede di autotutela.

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                      Correva l’anno 2007 quando, all’interno della legge 244 del 24 dicembre, venne inserito un comma 34 all’articolo 1 ove si affermava che : “Gli ammortamenti, gli accantonamenti e le altre rettifiche di valore imputati al conto economico a partire dall’esercizio dal quale, … , decorre l’eliminazione delle deduzioni extracontabili, possono essere disconosciuti dall’Amministrazione finanziaria se non coerenti con i comportamenti contabili sistematicamente adottati nei precedenti esercizi, salva la possibilità per l’impresa di dimostrare la giustificazione economica di detti componenti in base a corretti princìpi contabili”.Da un lato, dunque, si salutava il famigerato quadro EC che, seppure generava preoccupazioni operative per la complessità della compilazione, rappresentava il vero strumento che consentiva ai contribuenti di non inquinare il bilancio di esercizio per scelte di natura meramente fiscale.Per altro verso, però, si affermava la potestà del Fisco di intromettersi in scelte di natura meramente civilistica, ovviamente al solo fine di disconoscere i vantaggi fiscali derivanti dalle medesime, con un evidente pericolo di valutazione finalizzata al solo recupero contabile.Disconoscere i vantaggi fiscali derivanti da scelte non coerenti con i comportamenti contabili sistematicamente adottati nel passato, significa riuscire a dosare con saggezza i metri di valutazione della coerenza e della sistematicità, esercizio davvero difficile e, probabilmente, non sempre consono al verificatore.Gli scettici, tuttavia, affermarono che si trattava dell’ennesima affermazione di principio cui sarebbe seguito un vuoto assoluto a livello accertativo; insomma, tanto rumore per nulla.Chi scrive, invece, aveva percepito con diffidenza la norma, nella certezza di due concetti: il primo, relativo ai bilanci delle aziende, che non hanno mai brillato certo per coerenza di scelte contabili nel tempo, il secondo, relativo alla ghiotta occasione che poteva presentarsi al verificatore di recuperare ampie sacche di imponibile al ricorrere di particolari accadimenti. In particolar modo, nell’evenienza di performance aziendali al rialzo che seguono esercizi di difficoltà.Tali concetti hanno trovato una brutale materializzazione nella sentenza di Cassazione n. 22016 del 17-10-2014, che si è occupata di una situazione assai frequente, relativa la periodo di imposta 2000 (quindi, antecedente alle modifiche operate nel 2007). Basta riportare queste affermazioni:
                      • i criteri di ripartizione del valore da ammortizzare devono assicurare una razionale e sistematica imputazione del valore dei cespiti durante la stimata vita utile dei medesimi onde eventuali modifiche dei criteri di ammortamento dei coefficienti applicati devono essere giustificate in forza di una valida ragione economica e specificamente motivate nella nota integrativa;
                      • nel caso di specie, la contribuente ha applicato nei periodi d'imposta antecedenti a quello in esame, ai propri beni strumentali, coefficienti di ammortamento pari al 50% di quelli stabiliti dalla normativa fiscale, mentre a far data dall'anno 1999 ha applicato ai medesimi beni i coefficienti stabiliti dalla medesima normativa in misura massima;
                      • la variazione del criterio di imputazione, non risulta fondata su una valida ragione economica e non ha trovato alcuna giustificazione nella nota integrativa al bilancio;
                      • tale omessa indicazione implica una violazione che non è meramente formale, ma direttamente contraria all'obbligo di verità e chiarezza nella redazione del bilancio, e che non si esaurisce con la prima annualità in cui si determina la variazione, ma permane per tutte le annualità in cui si rilevi uno scostamento (nel caso di specie assai sensibile) dal criterio di ammortamento originario.

                      Quindi, pur nel rispetto del limite massimo delle tabelle del DM del 31.12.1988 parte degli ammortamenti viene disconosciuta.Gli scettici del 2007, sono divenuti più prudenti nel 2014 ma, sull’adagio che una rondine non fa primavera, hanno giustamente rammentato che una sola pronuncia non costituisce un orientamento consolidato.Poco dopo, in particolare il 14 gennaio 2015, la Cassazione torna a pronunciarsi con la sentenza n. 451 al riguardo di un contribuente che, perduta l’esenzione decennale, aveva incrementato le aliquote di ammortamento. Qui si afferma che “… nel caso di specie; è incontestato che nessuna nota integrativa conteneva la benché minima motivazione circa la radicale modifica dei coefficienti di ammortamento intervenuta a far tempo dall'esercizio 1999, dunque proprio in concomitanza con la cessazione del regime decennale di esenzione territoriale Irpeg, che ne ha comportato una sorta di "prolungamento", nella misura in cui l'improvviso (ed apparentemente ingiustificato) raddoppio dei componenti negativi ha determinato un abbattimento dei redditi, nel momento in cui essi erano divenuti nuovamente imponibili. Né, si sottolinea, alcuna giustificazione al riguardo è stata mai successivamente fornita dalla contribuente, nemmeno nel corso del giudizio”.Così, se è vero che una rondine non fa primavera, appare altrettanto vero che non c’è due senza il tre.Eccoci allora alla sentenza di Cassazione n. 20678 del 14.10.2015 ove si ha modo di leggere che “l'ammortamento deve essere necessariamente improntato a criterio di sistematicità e le quote di ammortamento, dovendo essere rapportate in modo tendenzialmente uniforme alla durata normale di utilizzazione dei beni strumentali, non possono, in assenza di adeguata esposizione della relativa giustificazione economica nella nota integrativa di bilancio, variare in relazione alle diverse annualità”.Quindi, il Fisco, secondo il suddetto orientamento (che ormai pare consolidato) puòsindacare le scelte contabili non coerenti del contribuente, forse anche a prescindere dalla modifica normativa del 2007 e, dopo la medesima, a maggior ragione.Il tutto vale per apporci un memo di natura operativa: la variazione delle misure dell’ammortamento (quando le medesime crescono rispetto al passato) deve accompagnarsi con una adeguata giustificazione nella nota integrativa. Così, sarà migliore il bilancio e sarà assai più difficile (per non dire impossibile) per il Fisco sindacare la scelta del contribuente ritenendola non coerente con i comportamenti del passato.

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