nuova cfc
Gli interventi in tema di controlled foreign companies, susseguitisi a un ritmo quasi frenetico nel corso degli ultimi mesi, meritano un particolare commento con riguardo ai redditi conseguiti da investimenti controllati detenuti in Svizzera da contribuenti residenti in Italia, nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015.
Per inquadrare al meglio la questione, è necessario procedere con ordine. L’art. 167 del TUIR, nella sua declinazione “black”, trova applicazione con riferimento alle società, imprese o enti controllati dal nostro Paese e residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale “privilegiato”: tale qualifica era originariamente riservata alle giurisdizioni con un livello di tassazione “sensibilmente inferiore” a quello italiano o, in alternativa, prive di un adeguato scambio di informazioni con l’Italia, così come individuati dagli artt. 1 e 2 del DM 21 novembre 2001 (la c.d. “black list”).
Passando al caso di specie, la partecipazione di controllo detenuta in una società svizzera poteva ricadere nell’ambito di applicazione della norma in virtù di quanto sancito dall’art. 3 comma 1 del decreto: la disposizione, infatti, ampliava il criterio di tassazione per trasparenza ai redditi delle strutture che, pur non essendo residenti o localizzate in Stati o territori “paradisiaci”, godevano di regimi fiscali agevolati, citando al riguardo, tra le altre, le società svizzere holding, ausiliarie o di domicilio.
Il comma 2, a sua volta, estendeva la disciplina ai redditi degli investimenti che usufruivano di regimi agevolati sostanzialmente analoghi a quelli espressamente citati al comma 1, in ragione di accordi o provvedimenti delle competenti Amministrazioni: proprio tale passaggio aveva portato l’Agenzia delle Entrate, con circolare n.18 del 12 febbraio 2002, a rendere la Confederazione un Paese oltremodo “sensibile”, riservando la qualifica di CFC a ogni società svizzera controllata dall’Italia, nella misura in cui titolare di un trattamento di sostanziale esenzione da imposta municipale e/o cantonale in virtù di un “ruling” con le Autorità locali.
In tempi più recenti, la L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha ridefinito, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, il concetto di tassazione “sensibilmente inferiore” a quella nostrana, alzando l’asticella dal 30% al 50% del livello di imposizione italiano. Il DM 30 marzo 2015 ha quindi modificato la “black list” originaria, al fine di escludere gli Stati o i territori che non avevano più motivo per essere annoverati tra quelli “paradisiaci”, abrogando altresì, si ritiene con identica decorrenza, l’art. 3 del decreto e affidando al Direttore dell’Agenzia delle Entrate il compito di individuare, con un provvedimento ad hoc, i regimi fiscali “speciali”.
Venendo al nocciolo della questione, è plausibile che tale provvedimento non vedrà mai la luce: la L. 208/2015 (legge di stabilità 2016), infatti, oltre ad aver abrogato l’intero DM 21 novembre 2001, sembra aver dispensato l’Agenzia delle Entrate dal compito di predisporre la lista. La decisione assunta si spiega con la volontà di porre alla base della disciplina CFC “black” un unico criterio di identificazione degli investimenti “sensibili”: in particolare, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, si considereranno “privilegiati” tutti i regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori che assicurino un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero dalla Norvegia e dall’Islanda.
Quali conclusioni trarre, a questo punto, con riguardo al quesito di partenza, e quindi in merito ai redditi prodotti da società svizzere controllate dall’Italia nel 2015, in prospettiva CFC “black”?
Chi scrive ritiene verosimile che l’avvicendarsi, quasi caotico, degli interventi qui sintetizzati, con le modifiche recate lo scorso anno alla lista e l’introduzione, a decorrere dal 2016, di un criterio di generale applicazione, non abbia creato alcun “vuoto” temporale: più precisamente, è plausibile che tutte le strutture svizzere debbano essere incluse nell’ambito di applicazione della disciplina CFC “black” già a partire da UNICO 2016, nella misura in cui assoggettate a un livello nominale di tassazione locale inferiore al 50% di quello nostrano.
Tale conclusione si fonda soprattutto sul carattere che doveva avere il provvedimento poi abortito: l’art. 1 comma 680 della L. 190/2014, infatti, citava espressamente il carattere “non tassativo” dell’elencazione speciale la cui stesura era affidata, almeno sino a pochi giorni fa, all’Amministrazione finanziaria, lasciando così intravvedere da subito quell’applicazione “caso per caso” della CFC “black” che ha poi debuttato, in generale, con la legge di stabilità 2016.
Di sicuro interesse sarà peraltro osservare su quali basi verrà calcolato il “nuovo” limite quantitativo: richiamando la relazione al DM 30 marzo 2015, la tassazione italiana assunta a riferimento dovrebbe essere il frutto della somma delle aliquote ordinarie IRES e IRAP, e quindi risultare pari al 31,4%, così da rendere “sensibile” un livello di imposizione locale nominale inferiore al 15,7%.
Gli interventi in tema di controlled foreign companies, susseguitisi a un ritmo quasi frenetico nel corso degli ultimi mesi, meritano un particolare commento con riguardo ai redditi conseguiti da investimenti controllati detenuti in Svizzera da contribuenti residenti in Italia, nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015.
Per inquadrare al meglio la questione, è necessario procedere con ordine. L’art. 167 del TUIR, nella sua declinazione “black”, trova applicazione con riferimento alle società, imprese o enti controllati dal nostro Paese e residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale “privilegiato”: tale qualifica era originariamente riservata alle giurisdizioni con un livello di tassazione “sensibilmente inferiore” a quello italiano o, in alternativa, prive di un adeguato scambio di informazioni con l’Italia, così come individuati dagli artt. 1 e 2 del DM 21 novembre 2001 (la c.d. “black list”).
Passando al caso di specie, la partecipazione di controllo detenuta in una società svizzera poteva ricadere nell’ambito di applicazione della norma in virtù di quanto sancito dall’art. 3 comma 1 del decreto: la disposizione, infatti, ampliava il criterio di tassazione per trasparenza ai redditi delle strutture che, pur non essendo residenti o localizzate in Stati o territori “paradisiaci”, godevano di regimi fiscali agevolati, citando al riguardo, tra le altre, le società svizzere holding, ausiliarie o di domicilio.
Il comma 2, a sua volta, estendeva la disciplina ai redditi degli investimenti che usufruivano di regimi agevolati sostanzialmente analoghi a quelli espressamente citati al comma 1, in ragione di accordi o provvedimenti delle competenti Amministrazioni: proprio tale passaggio aveva portato l’Agenzia delle Entrate, con circolare n.18 del 12 febbraio 2002, a rendere la Confederazione un Paese oltremodo “sensibile”, riservando la qualifica di CFC a ogni società svizzera controllata dall’Italia, nella misura in cui titolare di un trattamento di sostanziale esenzione da imposta municipale e/o cantonale in virtù di un “ruling” con le Autorità locali.
In tempi più recenti, la L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha ridefinito, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, il concetto di tassazione “sensibilmente inferiore” a quella nostrana, alzando l’asticella dal 30% al 50% del livello di imposizione italiano. Il DM 30 marzo 2015 ha quindi modificato la “black list” originaria, al fine di escludere gli Stati o i territori che non avevano più motivo per essere annoverati tra quelli “paradisiaci”, abrogando altresì, si ritiene con identica decorrenza, l’art. 3 del decreto e affidando al Direttore dell’Agenzia delle Entrate il compito di individuare, con un provvedimento ad hoc, i regimi fiscali “speciali”.
Venendo al nocciolo della questione, è plausibile che tale provvedimento non vedrà mai la luce: la L. 208/2015 (legge di stabilità 2016), infatti, oltre ad aver abrogato l’intero DM 21 novembre 2001, sembra aver dispensato l’Agenzia delle Entrate dal compito di predisporre la lista. La decisione assunta si spiega con la volontà di porre alla base della disciplina CFC “black” un unico criterio di identificazione degli investimenti “sensibili”: in particolare, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, si considereranno “privilegiati” tutti i regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori che assicurino un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero dalla Norvegia e dall’Islanda.
Quali conclusioni trarre, a questo punto, con riguardo al quesito di partenza, e quindi in merito ai redditi prodotti da società svizzere controllate dall’Italia nel 2015, in prospettiva CFC “black”?
Chi scrive ritiene verosimile che l’avvicendarsi, quasi caotico, degli interventi qui sintetizzati, con le modifiche recate lo scorso anno alla lista e l’introduzione, a decorrere dal 2016, di un criterio di generale applicazione, non abbia creato alcun “vuoto” temporale: più precisamente, è plausibile che tutte le strutture svizzere debbano essere incluse nell’ambito di applicazione della disciplina CFC “black” già a partire da UNICO 2016, nella misura in cui assoggettate a un livello nominale di tassazione locale inferiore al 50% di quello nostrano.
Tale conclusione si fonda soprattutto sul carattere che doveva avere il provvedimento poi abortito: l’art. 1 comma 680 della L. 190/2014, infatti, citava espressamente il carattere “non tassativo” dell’elencazione speciale la cui stesura era affidata, almeno sino a pochi giorni fa, all’Amministrazione finanziaria, lasciando così intravvedere da subito quell’applicazione “caso per caso” della CFC “black” che ha poi debuttato, in generale, con la legge di stabilità 2016.
Di sicuro interesse sarà peraltro osservare su quali basi verrà calcolato il “nuovo” limite quantitativo: richiamando la relazione al DM 30 marzo 2015, la tassazione italiana assunta a riferimento dovrebbe essere il frutto della somma delle aliquote ordinarie IRES e IRAP, e quindi risultare pari al 31,4%, così da rendere “sensibile” un livello di imposizione locale nominale inferiore al 15,7%.
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