Il reddito complessivo di un ente non commerciale soggetto a IRES è sempre considerato reddito di impresa?
a) No, perché per gli enti non commerciali residenti il reddito complessivo è formato da diverse categorie di redditi
b) Dipende dalla natura, pubblica o privata, dell'ente
c) Sì, in ogni caso
novità....(non credo vi sarà chiesto......sempre sul PRINCIPIO DI ATTRAZIONE)
Le modifiche apportate agli 151 E 152 DEL TUIR ad opera dell’ARTICOLO 7 del D.LGS 147/2015 (c.d. Decreto internazionalizzazione)
Prima gli enti esteri con stabile organizzazione in Italia venivano assoggettati ad imposta sul reddito nello Stato italiano sulla base di un concetto unitario ed onnicomprensivo di “reddito complessivo imponibile” regolato secondo la disciplina del reddito d’impresa. Si parlava allora di una forza di attrazione della stabile organizzazione, la cui sola presenza in Italia fungeva da collettore di tutti i redditi ivi prodotti dalla casa madre estera, anche se di diversa fonte e natura.
ora invece...
“trattamento isolato dei redditi” prodotti dalla casa madre senza l’intervento della sua stabile organizzazione in Italia.
La stabile organizzazione, venuta meno la sua forza di attrazione, viene quindi vista come una entità fiscale separata dalla sua casa madre, funzionale solo a determinare il reddito d’impresa prodotto nello Stato italiano, quale singolo elemento di reddito dell’ente non residente determinato secondo le stesse regole applicabili alle società di capitali italiane; il soggetto estero, perciò, pur in presenza di una stabile organizzazione in Italia, ben potrà realizzare altri redditi in Italia i quali andranno determinati secondo le rispettive regolediverse da quelle che disciplinano il reddito d’impresa.
Le cosiddette società “di comodo” vengono costituite non per svolgere un'attività economica produttiva (requisito essenziale del contratto di società ai sensi dell'art. 2247 C.C.), bensì per fungere da intestatarie di determinati beni (es: immobili, imbarcazioni, partecipazioni) i cui effettivi proprietari sono in realtà i soci, che ne hanno la disponibilità e li utilizzano nella propria sfera privata.
In questo modo i soci celano il proprio patrimonio personale dietro lo schermo societario (evitando così possibili accertamenti di natura sintetica) e si avvalgono inoltre di un regime fiscale spesso più favorevole (aliquota progressiva, deduzione dei costi e detrazione dell'Iva) di quello a cui sarebbero assoggettati se intestassero i beni a se stessi.
Le cosiddette società “di comodo” vengono costituite non per svolgere un'attività economica produttiva (requisito essenziale del contratto di società ai sensi dell'art. 2247 C.C.), bensì per fungere da intestatarie di determinati beni (es: immobili, imbarcazioni, partecipazioni) i cui effettivi proprietari sono in realtà i soci, che ne hanno la disponibilità e li utilizzano nella propria sfera privata.
In questo modo i soci celano il proprio patrimonio personale dietro lo schermo societario (evitando così possibili accertamenti di natura sintetica) e si avvalgono inoltre di un regime fiscale spesso più favorevole (aliquota progressiva, deduzione dei costi e detrazione dell'Iva) di quello a cui sarebbero assoggettati se intestassero i beni a se stessi.
L'art. 30, comma 1 della legge n. 724/1994 ha introdotto una presunzione legale relativa in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati in conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società (cosiddetto test di operatività dei ricavi).
In altre parole, se i beni posseduti dalla società non contribuiscono a generare un volume minimo di ricavi, si suppone che essi non vengano impiegati nello svolgimento di un'attività imprenditoriale, ma siano intestati alla società nell'esclusivo interesse dei soci, che li utilizzano a scopi privati.
D.L. n. 138/2011, che considera “non operative” anche le società che, pur avendo superato il test di operatività dei ricavi:
sono in perdita fiscale da tre periodi d'imposta consecutivi (art. 2 comma 36-decies);
nell'arco di un triennio sono state in perdita fiscale in due periodi su tre e nel restante periodo hanno dichiarato un reddito inferiore al reddito minimo presunto (art.2 comma 36 undecies).
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