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L'angolo di ROL

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    Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
    le trascrizioni sono micidiali...basta cambiare/errare una parolina....
    Sì, mi è capitato di sbobinare...

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      Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio

      “La mafia a Roma non esiste, come andiamo dicendo da 30 mesi, è stato certificato che Mafia capitale non esiste, sono riconosciute due associazioni una del benzinaro (ovvero la stazione la stazione di servizio a Corso Francia dove gravitavano i personaggi della malavita legati all’associazione, ndr) e un’altra legata al mondo delle cooperative”, dice Giosuè Naso, l’avvocato del Cecato. “Non so se ci sono dei vincitori ma certamente lo sconfitto è Pignatone”, dice sempre il legale prima di accennare una protesta per le alte condanne emesse. “La presa d’atto della inesistenzadell’associazione mafiosa – dice – ha provocato una severità assurda e insolita. Mai visto che a nessuno di 46 imputati non venissero date attenuanti. Sono pene date per compensare loschiaffo morale dato alla procura”.
      Il fatto che non ci sia associazione mafiosa non rende il reato meno grave...
      Ultima modifica di strelizia; 21-07-2017, 07:13.

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        Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
        Anche se aprire un’azienda a Londra è un’operazione rapida che si può fare online, è chiaro che risulta di maggiore garanzia rivolgersi a studi di esperti che seguano il processo di registrazione.

        ahahahahahah
        Maggiore garanzia per gli evasori, ne hanno diritto loro che investono a destra e a manca...
        Ultima modifica di strelizia; 21-07-2017, 15:18.

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          [QUOTE=strelizia;n1441064]

          Il fatto che non ci sia associazione mafiosa non rende il reato meno grave...[/QUOTE

          a me basterebbe che non finisca in prescrizione questo processo..

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            Diciamo che qualcuno dovrebbe rileggersi Leonardo Sciascia. Se si ricorda chi sia. Denunciava già nel 1961 questa tendenza italica, quella di non sapere o volere adattare alla modernità la criminalità organizzata che cambia metodi e modi con maggiore velocità rispetto al codice penale: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… ». A distanza di mezzo secolo da questa profezia, il tribunale infligge pene severissime ai criminali che avevano messo le mani su Roma, ma non cancella la parola “Forse” dalla più celebre citazione de “Il Giorno della Civetta”.

            E la mafia certamente ha ascoltato dalle sue lorde tane e dalle sue latitanze. Perché può stare certa che in un Paese come il nostro, invischiato in decine di scandali e omicidi, attovagliato spesso con loschi figuri, affermare in nome del popolo italiano che non solo non siamo riusciti a sconfiggere le mafie storiche, ma siamo stati capaci di farne crescere una nuova, nel cuore di Roma, già graziata ai tempi della Banda della Magliana, è roba troppo grossa per il nostro Stato. Lo sappiamo da anni.

            http://espresso.repubblica.it/opinio...?ref=HEF_RULLO

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              Trama

              Salvatore Colasberna, presidente di una piccola impresa edilizia chiamata Santa Fara, viene ucciso nella piazza Garibaldi, mentre sale sul pullman per Palermo.

              All'arrivo dei carabinieri, i passeggeri si allontanano alla chetichella, l'autobus resta vuoto e rimangono soltanto l'autista e il bigliettaio, che comunque di fronte alla divisa non riconoscono il morto e non si ricordano chi fossero i passeggeri. Il venditore di panelle, rimasto a terra al momento del delitto, è scomparso. Un carabiniere lo trova all'ingresso della scuola elementare, dove come al solito vende i suoi prodotti, e lo accompagna dal maresciallo Arturo Ferlisi. Ma neanche lui sa nulla e, anzi, dice di non essersi nemmeno accorto dello sparo. Dopo due ore di interrogatorio il panellaro ricorda che, all'angolo tra via Cavour e piazza Garibaldi, verso le sei, ha sentito due spari provenire da un sacco di carbone situato vicino al cantone della chiesa.

              Le indagini vengono affidate al capitano Bellodi, comandante della compagnia di C., emiliano di Parma, ex partigiano, destinato a diventare avvocato, ma rimasto in servizio nell'arma in nome di alti ideali, non condividendo, peraltro, il clima di omertà che caratterizza la Sicilia e i suoi abitanti. Intanto, in un bar di Roma, un'importante persona politica chiede ad un onorevole del suo partito (che si intuisce essere la Democrazia Cristiana) di far trasferire Bellodi, a causa dei problemi che sta creando, designando l'omicidio di Colasberna come omicidio mafioso. Bellodi intanto interroga un proprio confidente, doppiogiochista noto alla mafia: Calogero Dibella detto Parrinieddu. Il capitano ascoltando le menzogne che l'informatore riferisce, riesce comunque, con quelle sue gentili maniere da "continentale", a sapere il nome di Rosario Pizzuco, il possibile mandante.

              Il capitano, o meglio il brigadiere, riceve il nome del presunto omicida, Diego Marchica detto Zicchinetta, dalla moglie di Paolo Nicolosi, un potatore scomparso e certamente ucciso per aver riconosciuto l'assassino, viste le coincidenze che accompagnano la sua scomparsa. Bellodi scopre nel fascicolo investigativo del Marchica che è un noto sicario, processato e condannato per molti reati, ma scagionato per altrettanti, causa insufficienza di prove. Nota inoltre, una fotografia che lo ritrae insieme con don Calogero Guicciardo e all'onorevole Livigni.

              Nel frattempo Parrinieddu viene assassinato e Bellodi ottiene, grazie ad un'inquietante testimonianza scritta prima di morire, che Marchica, Pizzuco e il padrino don Mariano Arena, vengano fermati, ma l'interrogatorio si risolverà in un nulla di fatto. Nell'incontro con Bellodi, Sciascia fa pronunciare a don Mariano la frase contenente l'espressione idiomatica "quaquaraquà", destinata a divenire celeberrima e collegata nella cultura popolare al mondo mafioso e ai concetti che lo governano:
              « Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliain**** e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliain****, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo… »
              (don Mariano Arena al capitano Bellodi)
              I giornali fanno molto clamore e pubblicano le foto di Arena insieme al ministro Mancuso; questo dimostra le persone vicine che lo sostengono. Il fatto porta a un dibattito in Parlamento al quale partecipano anche due anonimi mafiosi e alcuni parlamentari. Anche il capitano Bellodi è presente assieme ad un compagno.

              Bellodi, che intanto era rimasto a Parma, dopo aver preso una licenza di un mese, legge sui giornali spediti da un carabiniere dalla Sicilia, che il castello probatorio è stato smantellato grazie ad un alibi di ferro costruito da rispettosissimi personaggi per il Marchica, opera, naturalmente, di uomini politici interessati a tutelare la propria posizione.

              L'omicidio del Nicolosi viene attribuito all'amante della moglie e don Mariano viene scarcerato.

              Con i suoi pensieri e con la sua ultima affermazione, Bellodi chiude il romanzo:
              « [...] si sentiva come un convalescente: sensibilissimo, tenero, affamato. «Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto». Rincasò verso mezzanotte, attraversando tutta la città a piedi. Parma era incantata di neve, silenziosa, deserta. "In Sicilia le nevicate sono rare" pensò: e che forse il carattere delle civiltà era dato dalla neve o dal sole, secondo che neve o sole prevalessero. Si sentiva un po' confuso. Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia e che ci sarebbe tornato. «Mi ci romperò la testa» disse a voce alta. »

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                SENTENZA DEL 16/06/2017 N. 1932/14 - COMM. TRIB. REG. PER L'EMILIA-ROMAGNA

                Obbligo di contraddittorio anche per le verifiche “a tavolino”


                Il principio del contraddittorio deve trovare applicazione sempre, anche nei casi in cui la legge lo esclude; spetta al giudice, in ultima istanza, disapplicare la legge in quanto contrastante con il diritto comunitario (art. 41della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea; art. 6, comma 1, del trattato UE; sentenze del 3 luglio 2014 nn. 129 e 130/13 della Corte di Giustizia Europea). La CTR emiliana, in base a tale principio, ha riformato la sentenza dei primi giudici che non avevano tenuto conto della mancata instaurazione del contraddittorio antecedente all’emissione degli avvisi di accertamento. Secondo i giudici emiliani l’attivazione del contraddittorio, come affermato anche dalla Consulta (sentenza 132/2015), costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento che rende tale forma di tutela obbligatoria anche in riferimento alle verifiche svolte a “tavolino” dai vari uffici, non risultando sufficiente, come nel caso di specie, il semplice invio di questionari e/o verbali di constatazione.

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                  SENTENZA DEL 06/06/2017 N. 5198/18 - COMM. TRIB. REG. PER LA CAMPANIA

                  Valore presuntivo dei prelevamenti bancari ai fini dell’accertamento


                  “In tema di imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari non è riferibile ai soli titolari del reddito d'impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti. Tuttavia, all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti contribuenti, i quali possono contrastarne l'efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti” (Cass. n. 1519/2017). La CTR campana, riprendendo tale recente principio enunciato dalla Suprema Corte respinge l’appello del contribuente che aveva presentato ricorso avverso un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione maggiori compensi professionali derivanti dalla somma dei prelevamenti e dei versamenti risultanti dai conti correnti bancari, escludendo dai suddetti compensi i prelevamenti.

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                    SENTENZA DEL 11/04/2017 N. 1685/2 - COMM. TRIB. REG. PER LA LOMBARDIA

                    La residenza estera è fittizia quando il centro degli affari e degli interessi non solo economici è in Italia


                    L'individuazione del domicilio fiscale deve basarsi sull'effettivo centro degli affari e degli interessi, non solo economici, ma anche morali e familiari, desumibile dal fattore dirimente della reale permanenza del soggetto nel territorio nazionale.
                    I giudici lombardi hanno ribaltato la sentenza di primo grado e ritenuto fittizia la residenza estera di due contribuenti italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferite in uno Stato avente un regime fiscale privilegiato.
                    Nel caso di specie i giudici hanno fondato la propria decisione su una serie di indizi molto articolati che vanno dall'elevato numero di giorni trascorsi in Italia, alle documentate partecipazioni ad assemblee o riunioni del Consiglio di amministrazione di società italiane direttamente o indirettamente partecipate, alla frequentazione di circoli privati, eventi mondani e sociali nel territorio nazionale, ai cospicui movimenti di capitale e bonifici esteri accreditati su istituti di credito italiani, fino allo sviluppo di rapporti affettivi con soggetti residenti in Italia.

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                      SENTENZA DEL 22/03/2017 N. 192/6 - COMM. TRIB. REG. PER LE MARCHE

                      Illegittimità del “prelevometro” per i lavoratori autonomi


                      La presunzione di cui all'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 - secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi se il contribuente non ne dimostra l'inclusione nella base imponibile oppure l'estraneità alla produzione del reddito - si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi. In questo modo si sono espressi i giudici anconetani facendo leva sulla pronuncia n. 228/2014 della Corte Costituzionale che ha cancellato l'equiparazione dell'attività di lavoro autonomo a quella d'impresa per quanto riguarda la presunzione relativa all'assoggettabilità a tassazione delle somme prelevate dal conto corrente. Inoltre, la successiva giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare a più riprese la non riferibilità della presunzione di cui all'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 non solo ai prelievi ma anche ai versamenti effettuati dai lavoratori autonomi (sentt. nn. 12779/2016 e 16440/2016).

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