La conclusione raggiunta dai Giudici territoriali non appare per la S.C. conforme ai principi di diritto enunciati in tema di "abuso del diritto”. In particolare, l’ottima situazione economica patrimoniale e finanziaria di una società, non impedisce per ciò stesso alla stessa di attingere al credito al fine di procurarsi liquidità non necessariamente da destinare ad investimenti produttivi ma anche soltanto per riorganizzare la propria esposizione debitoria verso i fornitori e rinegoziare, (come nel caso di specie), le passività verso la banca finanziatrice: la assenza di attuali esigenze di liquidità si risolve dunque in un indizio meramente generico e non espressivo ex se di una "anomala" condotta imprenditoriale. La pattuizione delle condizioni del contratto di sale & lease back, tra cui la previsione di una maxi-rata iniziale, rientra nella libera determinazione negoziale delle parti e nella valutazione della convenienza economica dell’affare in relazione al costo di accesso al finanziamento offerto sul mercato dalle società di leasing: in assenza di prova che la previsione di tale condizione integri un elemento difforme od abnorme rispetto alla attuazione dello schema del contratto di sale & lease back affermatosi nella prassi commerciale, viene meno anche la efficacia indiziaria di tale circostanza.
Ne segue, conclusivamente, che espressione di anomalia od irragionevolezza rispetto alle ordinarie logiche d’impresa può essere rinvenuta negli elementi indiziari sopra indicati, bene essendo rimessa all’esercizio della autonomia privata, di cui la libera iniziativa economica ex art. 41 Cost., è espressione, la ricerca della forma di finanziamento ritenuta più opportuna (accesso al credito bancario nelle diverse forme negoziali previste; investimento in strumenti finanziari; delibera di nuovi conferimenti da parte dei soci; emissione di obbligazioni; stipula di contratti di leasing o di lease back, etc.), assolvendo ad uno specifico e concreto interesse economico della impresa la estinzione di pregressi debiti o passività bancarie mediante l’acquisizione di nuova liquidità a condizioni di finanziamento ritenute convenienti a giudizio della stessa impresa (quanto a tasso di interesse e scadenze previste per la restituzione dei canoni). E tale libertà d’impresa non solo non è - né potrebbe essere - disconosciuta dall’ordinamento tributario, ma trova invece diretto riscontro in quest’ultime, avendo espressamente considerato il Legislatore, accanto alla disciplina ordinaria dell’ammortamento del costo degli immobili strumentali, anche la ipotesi alternativa della deduzione dei costi di finanziamento diretti all’acquisto del bene immobile strumentale ovvero dei canoni di leasing, considerando tendenzialmente equivalente "nel lungo periodo" -avuto riguardo alla natura durevole del bene ed alla sua funzione strumentale- la incidenza sul reddito d’impresa della spesa sostenuta dal proprietario del bene e dall’utilizzatore del bene in leasing.
Da qui, dunque, l’accoglimento del ricorso.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza. Se l’opzione tra l’acquisto in proprietà un bene strumentale e la locazione finanziaria avente ad oggetto il medesimo bene, rientra nel libero esercizio dell’attività economica, non sindacabile sotto il profilo della opportunità ma soltanto sotto il profilo della "manifesta illogicità" od "antieconomicità" della operazione, e se non emergono elementi di "alterazione" della causa concreta del negozio di sale & lease back, ne segue che difetta del tutto l’elemento obiettivo di un uso "distorto" degli strumenti negoziali o di una "anomalia" nella condotta economica del soggetto-contribuente, sintomatici della pratica abusiva.
Ne segue, conclusivamente, che espressione di anomalia od irragionevolezza rispetto alle ordinarie logiche d’impresa può essere rinvenuta negli elementi indiziari sopra indicati, bene essendo rimessa all’esercizio della autonomia privata, di cui la libera iniziativa economica ex art. 41 Cost., è espressione, la ricerca della forma di finanziamento ritenuta più opportuna (accesso al credito bancario nelle diverse forme negoziali previste; investimento in strumenti finanziari; delibera di nuovi conferimenti da parte dei soci; emissione di obbligazioni; stipula di contratti di leasing o di lease back, etc.), assolvendo ad uno specifico e concreto interesse economico della impresa la estinzione di pregressi debiti o passività bancarie mediante l’acquisizione di nuova liquidità a condizioni di finanziamento ritenute convenienti a giudizio della stessa impresa (quanto a tasso di interesse e scadenze previste per la restituzione dei canoni). E tale libertà d’impresa non solo non è - né potrebbe essere - disconosciuta dall’ordinamento tributario, ma trova invece diretto riscontro in quest’ultime, avendo espressamente considerato il Legislatore, accanto alla disciplina ordinaria dell’ammortamento del costo degli immobili strumentali, anche la ipotesi alternativa della deduzione dei costi di finanziamento diretti all’acquisto del bene immobile strumentale ovvero dei canoni di leasing, considerando tendenzialmente equivalente "nel lungo periodo" -avuto riguardo alla natura durevole del bene ed alla sua funzione strumentale- la incidenza sul reddito d’impresa della spesa sostenuta dal proprietario del bene e dall’utilizzatore del bene in leasing.
Da qui, dunque, l’accoglimento del ricorso.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza. Se l’opzione tra l’acquisto in proprietà un bene strumentale e la locazione finanziaria avente ad oggetto il medesimo bene, rientra nel libero esercizio dell’attività economica, non sindacabile sotto il profilo della opportunità ma soltanto sotto il profilo della "manifesta illogicità" od "antieconomicità" della operazione, e se non emergono elementi di "alterazione" della causa concreta del negozio di sale & lease back, ne segue che difetta del tutto l’elemento obiettivo di un uso "distorto" degli strumenti negoziali o di una "anomalia" nella condotta economica del soggetto-contribuente, sintomatici della pratica abusiva.
Commenta