annuncio

Comprimi
Ancora nessun annuncio.

L'angolo di ROL

Comprimi
X
 
  • Filtro
  • Ora
  • Visualizza
Elimina tutto
nuovi messaggi

    Il tema dell’inerenza si salda anche a quello dell’antieconomicità: questo era in realtà in origine riferito ad una questione di evasione legata ad occultamenti e simulazioni/dissimulazioni; l’antieconomicità è infatti stata in origine utilizzata dalla Cassazione come argomento per contestare, di fronte a situazioni inverosimili come quella del trasporto via camion di un solo paio di scarpe

    Commenta


      Il profilo dell’antieconomicità è stato successivamente utilizzato per sindacare l’inerenza dei costi, ma qui vi è il forte rischio di un sindacato del merito imprenditoriale, di una nuova valutazione, fatta necessariamente a posteriori, delle scelte compiute dall’impresa. Su questo versante si potrebbe allora sempre affermare che, col senno di poi, la spesa si è rivelata improduttiva, controproducente, eccessiva, e così via, rispetto ai risultati concretamente ottenuti. L’antieconomicità dovrebbe essere valutata in un’ottica ex ante, cioè essere una antieconomicità fin dall’origine: in tal caso, laddove l’AF dimostri l’irragionevolezza e appunto il carattere antieconomico di una scelta, sarebbe onere del contribuente dimostrare invece puntualmente le ragioni di inerenza del costo all’attività.

      Commenta


        Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
        Data la consustanzialità dell’inerenza al concetto di reddito, la stessa non necessita a rigore di affermazioni espresse. Probabilmente, è questa la situazione che connota l’attuale testo unico delle imposte sui redditi, in cui l’art. 109 del Tuir sulla determinazione dell’Ires, nonostante le apparenze, non sembra riferirsi all’inerenza, quanto al problema della deducibilità dei costi in presenza di proventi esenti. Nel sancire che “le spese… sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi” , la norma citata sembra appunto richiamare una diversa esigenza, cioè quella di evitare che l’eventuale presenza di costi afferenti proventi esenti finisca, laddove ne sia ammessa la deducibilità dal reddito di impresa, per abbattere la tassazione dei proventi imponibili. Vedremo peraltro in seguito l’influenza di questa norma, che menziona gli interessi passivi, onde escluderli dal calcolo di deducibilità, sull’opinione anche giurisprudenziale secondo cui il giudizio di inerenza non si applicherebbe agli interessi passivi.
        In tema di interessi passivi, vi è un cospicuo orientamento che li esclude dal giudizio di inerenza, per effetto della loro menzione nell’art. 109 Tuir: vedi ad es. Cass. n. 14702/2001; 22034/2006 e Cass. 1465/2007, secondo cui “gli interessi passivi hanno un trattamento differenziato rispetto ai vari componenti negativi del reddito nel senso che – salva la misura e la modalità di calcolo – il diritto di deducibilità è riconosciuto in via generale”, anche per la impossibilità di riferire gli interessi passivi alla produzione di specifici ricavi. Per Cass. 1465/2007: “gli interessi passivi sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo”. Sull’inapplicabilità del giudizio di inerenza agli interessi passivi si veda anche Cass., 2114/2004. Se tuttavia si riferisce l’art. 109 al diverso tema della deducibilità dei costi in presenza di proventi esenti, la deducibilità degli interessi passivi potrebbe essere messa in discussione, ed uno spunto in tal senso si rinviene nell’art. 61 sul reddito delle imprese individuali, ladove si stabilisce che “gli interessi passivi inerenti all’esercizio d’impresa sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto…”

        Commenta


          All’interno del testo unico delle imposte sui redditi, diverse norme precisano il concetto di inerenza in relazione a specifiche fattispecie; si tratta sovente di norme che hanno l’obiettivo di “forfettizzare” l’inerenza di determinati costi, limitandone in vario modo la deducibilità. In sostanza, anziché rimettere la valutazione sull’inerenza ad un giudizio caso per caso, per quei costi che per loro natura sono particolarmente suscettibili di un utilizzo extraimprenditoriale e privato (si pensi alle spese per l’utilizzo di autovetture o telefoni cellulari), la legge predetermina in un certo qual senso la “misura” dell’inerenza, in tal modo forfettizzandola ed evitando così il proliferare di controversie tra amministrazione e contribuente. Tra queste norme può essere annoverata anche quella che si occupa delle spese di pubblicità e delle spese di rappresentanza (art. 108 comma 2 Tuir).

          Commenta


            Ora, le spese di pubblicità – se realmente tali - devono certamente considerarsi inerenti, secondo la logica in base alla quale sono deducibili anche quelle spese sostenute in chiave prospettica, nella prospettiva di uno sperato incremento dei ricavi di vendita. Al contrario, per le spese di rappresentanza il giudizio di inerenza è in astratto più sfumato, poiché il concetto di “rappresentanza” sottende delle spese aventi degli specifici “beneficiari”. I

            Commenta


              La distinzione tra pubblicità e rappresentanza non è dunque, come a volte affermato in giurisprudenza, legata all’“oggetto” della promozione (un prodotto piuttosto che l’immagine dell’impresa), ma all’esistenza o meno di un’utilità e un vantaggio per il destinatario del messaggio.

              Commenta


                In passato la legge poneva un tetto alla deducibilità delle spese di rappresentanza, stabilendo che soltanto una quota delle stesse (1/3) fosse deducibile, in cinque esercizi, e ciò indipendentemente dall’entità della spesa, dalla sua relazione con le dimensioni e il tipo di attività dell’impresa, e così via. Oggi, invece, più correttamente tali spese sono “deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa”, con l’avvertenza che “sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50”

                Commenta


                  Dopo tutta sta pippa....ritorniamo al quesito....

                  Commenta


                    Può l'a.e utilizzare i parametri (di congruità) previsti da DM per le spese di rappresentanza per dichiarare non congrue le spese di pubblicità?

                    Commenta


                      Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                      Può l'a.e utilizzare i parametri (di congruità) previsti da DM per le spese di rappresentanza per dichiarare non congrue le spese di pubblicità?
                      http://www.ecnews.it/nuova-deducibil...anza-dal-2016/

                      Commenta

                      Sto operando...
                      X