…”la situazione più imbarazzante per il Governo è quella originata dal comportamento dell’Agenzia delle
Entrate, quale denunciato l’1 luglio 2015 in sede di interrogazione parlamentare da oltre 200 deputati di tutti i
maggiori partiti di governo e di opposizione, unanimemente schieratisi a difesa del pubblico interesse (vedi
http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0451&tipo=atti_indirizzo_controllo&pa g=allegatob#si.4-09629); evento
molto raro, che attesta l’esistenza di una compatta consapevolezza politica e civile dell’esigenza di risolvere il
problema denunciato.
In tale interrogazione si premette che nel contratto di servizio a suo tempo stipulato tra lo Stato e l’Agenzia era
previsto:
a) che l’Agenzia, nel caso di ricorsi alla giustizia tributaria avverso l’esercizio della sua potestà impositiva,
dovesse assicurare almeno il 59% di sentenze favorevoli: ciò evidentemente per dimostrare al Governo e ai
cittadini di avere esercitato con correttezza la propria potestà;
b) che se tale minimo di sentenze favorevoli non fosse stato raggiunto l’Agenzia non avrebbe potuto corrispondere
il premio annuale di risultato, che per i dirigenti generali è di 100.000 euro e per i dirigenti di seconda fascia è di
30.000 euro;
c) che, ai fini dei singoli premi, dovesse tenersi conto della quantità dei maggiori accertamenti effettuati e non della
loro qualità e del loro importo.
Ma tali previsioni non sarebbero state rispettate, dal momento che:
- quanto meno nel 2013 e 2014, l’Agenzia ha bensì dichiarato al Governo esiti favorevoli in numero tale da
superare il prescritto minimo del 59% e da poter corrispondere i premi al personale; ma confrontando i dati forniti
dall’Agenzia con quelli ufficiali pubblicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in tema di
contenzioso tributario è risultato che in realtà tali esiti erano rimasto largamente al di sotto del 59%;
- la circostanza che dovesse tenersi conto del numero e non dell’importo ha fatto sì che il 90% degli accertamenti
si sia concentrato sulle fasce più deboli (e cioè sul reddito fisso), per le quali l’accertamento è più semplice e più
scarsa la capacità di opposizione, mentre sulle fasce più forti (banche, Trust, Holding internazionali ecc.) gli
accertamenti siano stati solo l’1%;
- un sottosegretario del Ministero dell’Economia e Finanze aveva in precedenza già chiesto chiarimenti al riguardo
all’Agenzia, ottenendone dati che il richiedente ha definito di mero marketing, e cioè di mera e non condivisibile
autopubblicità.
Alle considerazioni formulate dagli onorevoli interroganti potrebbe aggiungersi che il sistema a suo tempo
concordato tra Stato e Agenzia è risultato essere un inconsapevole ma palese esempio di diseducazione fiscale e
di mancata tutela dell’interesse erariale. Infatti, collegando i premi di risultato ad un numero fisso minimo di
accertamenti effettuati e non all’importo complessivo degli stessi, e cioè creando una logica premiale in cui due
accertamenti di un euro ciascuno valgono più – ai fini del conseguimento del premio di risultato - di un
accertamento di un milione di euro, sia il Ministero che l’Agenzia (parti contraenti dell’accordo di servizio a suo
tempo stipulato) non hanno evidentemente tenuto conto:
- che è presumibile che l’accertatore capace e di buona volontà, una volta raggiunto il minimo fisso, possa
rallentare il ritmo, e possa addirittura essere indotto, in caso di superamento del limite (per lui inutile, ai fini del
premio), ad accreditarsi il surplus l’anno successivo;
- che è presumibile che l’accertatore meno capace e di minor buona volontà, che sia arrivato vicino al limite, in
mancanza di meglio possa fare qualche accertamento pretestuoso, per lo più di minima o di addirittura irrisoria
entità, contando sul fatto che:
a) per somme di scarsa entità nessun contribuente – salvo chi, avendo tempo e denaro da perdere, tiene a fare la
questione di principio - si sobbarcherebbe l’onere di un ricorso che sarebbe palesemente antieconomico, pur con
l’amara consapevolezza di un comportamento impositivo preordinato a mettere – di fatto - il contribuente in
condizione di non poter far valere i propri diritti;
b) in caso di annullamento dell’accertamento in sede giurisdizionale o in sede di autotutela, gli accertamenti
dichiarati infondati né vengono scomputati ex post dal monte utile per ottenere il premio (che resta comunque un
diritto acquisito) né sono oggetto di eventuale responsabilità disciplinare;
- che la mancanza dei un limite minimo di accertamento favorevole all’erario ha determinato la notifica di cartelle
esattoriali di un centesimo, e di fermo auto (per di più senza informare l’interessato) per meno di venti centesimi
(vedi www.equitalia.uncentesimo);
- che se tutti gli accertamenti infondati e non impugnati venissero invece impugnati e quindi accolti la media dei
ricorsi definiti favorevolmente per l’Agenzia subirebbe una significativa riduzione;
- che è presumibile che l’accertatore, dovendo lavorare sul numero, tenda a dedicarsi prevalentemente a casi
semplici e di rapida soluzione (che però, di norma, sono i meno fruttuosi per l’erario);
- che è presumibile che l’accertatore, trovato il primo sia pur minimo recupero, abbia un calo di attenzione
nell’esaminare il resto dell’operazione da verificare, dal momento che per lui sempre un punto di merito vale;
- che è presumibile che un evasore previdente possa inserire ad arte un piccolo errore subito rilevabile, contando
sul fatto che a quel punto possa verificarsi un calo di attenzione del verificatore"...
Entrate, quale denunciato l’1 luglio 2015 in sede di interrogazione parlamentare da oltre 200 deputati di tutti i
maggiori partiti di governo e di opposizione, unanimemente schieratisi a difesa del pubblico interesse (vedi
http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0451&tipo=atti_indirizzo_controllo&pa g=allegatob#si.4-09629); evento
molto raro, che attesta l’esistenza di una compatta consapevolezza politica e civile dell’esigenza di risolvere il
problema denunciato.
In tale interrogazione si premette che nel contratto di servizio a suo tempo stipulato tra lo Stato e l’Agenzia era
previsto:
a) che l’Agenzia, nel caso di ricorsi alla giustizia tributaria avverso l’esercizio della sua potestà impositiva,
dovesse assicurare almeno il 59% di sentenze favorevoli: ciò evidentemente per dimostrare al Governo e ai
cittadini di avere esercitato con correttezza la propria potestà;
b) che se tale minimo di sentenze favorevoli non fosse stato raggiunto l’Agenzia non avrebbe potuto corrispondere
il premio annuale di risultato, che per i dirigenti generali è di 100.000 euro e per i dirigenti di seconda fascia è di
30.000 euro;
c) che, ai fini dei singoli premi, dovesse tenersi conto della quantità dei maggiori accertamenti effettuati e non della
loro qualità e del loro importo.
Ma tali previsioni non sarebbero state rispettate, dal momento che:
- quanto meno nel 2013 e 2014, l’Agenzia ha bensì dichiarato al Governo esiti favorevoli in numero tale da
superare il prescritto minimo del 59% e da poter corrispondere i premi al personale; ma confrontando i dati forniti
dall’Agenzia con quelli ufficiali pubblicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in tema di
contenzioso tributario è risultato che in realtà tali esiti erano rimasto largamente al di sotto del 59%;
- la circostanza che dovesse tenersi conto del numero e non dell’importo ha fatto sì che il 90% degli accertamenti
si sia concentrato sulle fasce più deboli (e cioè sul reddito fisso), per le quali l’accertamento è più semplice e più
scarsa la capacità di opposizione, mentre sulle fasce più forti (banche, Trust, Holding internazionali ecc.) gli
accertamenti siano stati solo l’1%;
- un sottosegretario del Ministero dell’Economia e Finanze aveva in precedenza già chiesto chiarimenti al riguardo
all’Agenzia, ottenendone dati che il richiedente ha definito di mero marketing, e cioè di mera e non condivisibile
autopubblicità.
Alle considerazioni formulate dagli onorevoli interroganti potrebbe aggiungersi che il sistema a suo tempo
concordato tra Stato e Agenzia è risultato essere un inconsapevole ma palese esempio di diseducazione fiscale e
di mancata tutela dell’interesse erariale. Infatti, collegando i premi di risultato ad un numero fisso minimo di
accertamenti effettuati e non all’importo complessivo degli stessi, e cioè creando una logica premiale in cui due
accertamenti di un euro ciascuno valgono più – ai fini del conseguimento del premio di risultato - di un
accertamento di un milione di euro, sia il Ministero che l’Agenzia (parti contraenti dell’accordo di servizio a suo
tempo stipulato) non hanno evidentemente tenuto conto:
- che è presumibile che l’accertatore capace e di buona volontà, una volta raggiunto il minimo fisso, possa
rallentare il ritmo, e possa addirittura essere indotto, in caso di superamento del limite (per lui inutile, ai fini del
premio), ad accreditarsi il surplus l’anno successivo;
- che è presumibile che l’accertatore meno capace e di minor buona volontà, che sia arrivato vicino al limite, in
mancanza di meglio possa fare qualche accertamento pretestuoso, per lo più di minima o di addirittura irrisoria
entità, contando sul fatto che:
a) per somme di scarsa entità nessun contribuente – salvo chi, avendo tempo e denaro da perdere, tiene a fare la
questione di principio - si sobbarcherebbe l’onere di un ricorso che sarebbe palesemente antieconomico, pur con
l’amara consapevolezza di un comportamento impositivo preordinato a mettere – di fatto - il contribuente in
condizione di non poter far valere i propri diritti;
b) in caso di annullamento dell’accertamento in sede giurisdizionale o in sede di autotutela, gli accertamenti
dichiarati infondati né vengono scomputati ex post dal monte utile per ottenere il premio (che resta comunque un
diritto acquisito) né sono oggetto di eventuale responsabilità disciplinare;
- che la mancanza dei un limite minimo di accertamento favorevole all’erario ha determinato la notifica di cartelle
esattoriali di un centesimo, e di fermo auto (per di più senza informare l’interessato) per meno di venti centesimi
(vedi www.equitalia.uncentesimo);
- che se tutti gli accertamenti infondati e non impugnati venissero invece impugnati e quindi accolti la media dei
ricorsi definiti favorevolmente per l’Agenzia subirebbe una significativa riduzione;
- che è presumibile che l’accertatore, dovendo lavorare sul numero, tenda a dedicarsi prevalentemente a casi
semplici e di rapida soluzione (che però, di norma, sono i meno fruttuosi per l’erario);
- che è presumibile che l’accertatore, trovato il primo sia pur minimo recupero, abbia un calo di attenzione
nell’esaminare il resto dell’operazione da verificare, dal momento che per lui sempre un punto di merito vale;
- che è presumibile che un evasore previdente possa inserire ad arte un piccolo errore subito rilevabile, contando
sul fatto che a quel punto possa verificarsi un calo di attenzione del verificatore"...
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