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L'angolo di ROL
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http://espresso.repubblica.it/inchie...?ref=HEF_RULLO
Il super gasdotto, dunque, è un’opera progettata, eseguita e gestita da imprese private, ma dichiarata di eccezionale interesse pubblico, addirittura sovranazionale. L’Espresso ha potuto esaminare una serie di documenti riservati della Commissione europea, che svelano il ruolo cruciale di una società-madre, finora sconosciuta: l’azienda che ha ideato il progetto e ha ottenuto i primi decisivi finanziamenti pubblici. Si chiama Egl Produzione Italia, è una società per azioni con 200 mila euro di capitale, ma è controllata dalla Egl lussemburghese, a sua volta posseduta dal gruppo elvetico Axpo, che fa capo a diversi cantoni della Svizzera tedesca.Le carte, ottenute grazie a una richiesta di atti dell’organizzazione Re:Common, documentano che la Egl italiana ha ottenuto, nel 2004 e 2005, due finanziamenti europei a fondo perduto, per oltre tre milioni, utilizzati proprio per i progetti preliminari e gli studi di fattibilità del Tap. I ricercatori avevano chiesto di esaminare tutti gli altri atti, ma la Commissione europea ha risposto che devono restare riservati per rispettare i segreti industriali, la sicurezza e la privacy delle aziende del gasdotto. Comunque ora è chiaro che il Tap è nato con «fondi strutturali europei» concessi a un colosso svizzero dell’energia, in teoria esterno alla Ue.Ultima modifica di ROL; 03-04-2017, 14:07.
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Anche l’amministratore delegato di questa Egl Italia, la società-madre del Tap, è un cittadino svizzero: Raffaele Tognacca, 51 anni, un manager che ha fatto anche politica con i liberali in Canton Ticino. Tognacca ha lavorato per anni tra Roma e Genova come dirigente del gruppo italiano Erg, che ha diversificato dal petrolio agli impianti eolici e solari soprattutto al sud. Tornato in Svizzera, ha aperto con la moglie la società finanziaria Viva Transfer, che un’indagine anti-mafia italiana ha additato come una lavanderia di soldi sporchi. Intervistato dalla tv svizzera italiana, il procuratore aggiunto Michele Prestipino descrisse la vicenda come «un caso esemplare di riciclaggio internazionale di denaro mafioso».
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Tutto parte nella primavera 2014, quando la Guardia di Finanza di Roma scopre una presunta banda di narcotrafficanti collegati alla ’ndrangheta. Il clan, capeggiato dal calabrese Cosimo Tassone, è accusato di aver importato oltre mezza tonnellata di cocaina dal Sudamerica, con altri 220 chili sequestrati a Gioia Tauro. In quei giorni, secondo l’accusa, il clan calabrese deve versare un milione e mezzo di euro ai narcos sudamericani, ma non può usare il previsto canale bancario brasiliano. Quindi il braccio destro di Tassone recluta una famiglia di promotori finanziari toscani, il padre e due figli, che accettano di «trasportare quei soldi in contanti, dentro due trolley, a Lugano, nella sede della Viva Transfer», come confermano le confessioni degli stessi corrieri poi arrestati. A ricevere tutte quelle banconote, da mandare in Brasile, è stato «Raffaele Tognacca in persona». Proprio il manager che ha tenuto a battesimo il Tap.
Quando Tognacca entra in scena, le intercettazioni captano una lite che rischia di degenerare: dal Sudamerica i narcos si lamentano di aver ricevuto mezzo milione in meno. In Italia Tassone, furibondo, pensa a un furto e manda i suoi uomini a terrorizzare un figlio del corriere toscano: «Gli spacco la testa... Noi non siamo imprenditori!». L’altro figlio intanto viene tenuto in ostaggio in Brasile, come garanzia umana.
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Dopo altre violenze e intimidazioni, il boss calabrese si convince che nessuno gli ha rubato i soldi mancanti: è la società di Tognacca che ha incamerato una parcella-record di oltre 400 mila euro («il 30 per cento!»). Proprio allora scattano gli arresti. Al processo, tutt’ora in corso, i pm di Roma hanno formulato una specifica accusa di riciclaggio. E dopo la retata, hanno incontrato i colleghi elvetici, competenti a valutare la parte estera del presunto reato. Tognacca si è difeso pubblicamente dichiarando di «non essere stato oggetto di nessuna misura penale né in Italia né in Svizzera». Per i magistrati italiani resta assodato che il clan calabrese usò la Viva Transfer per pagare la cocaina. Ma i giudici elvetici potrebbero aver archiviato tutto per «mancata prova del dolo»: Tognacca poteva non sapere che erano soldi di mafia. Magari pensava di aiutare onesti evasori fiscali. Certo è che mister Tap non disprezzava le valigie di denaro nero.
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Oggi la Egl italiana non esiste più: è stata assorbita da Axpo. Ma il Tap va avanti. Nel 2009 la Commissione europea accetta pure di cambiare il beneficiario del residuo finanziamento a fondo perduto, dirottato dalla Egl alla Tap Asset spa, un’altra filiale di Axpo con sede a Roma, nello stesso palazzo della delegazione europea. La vicinanza aiuta. La società-bis infatti eredita i contributi quando è già diventata una scatola vuota: nove mesi prima, infatti, ha venduto il progetto del supergasdotto, per almeno 12 milioni, all’attuale capofila Tap Ag. Pure questa è una società svizzera, ma oggi è controllata da multinazionali dell’energia come l’italiana Snam, l’inglese Bp, la belga Fluxys, la spagnola Enagas, l’azera Az-tap e naturalmente Axpo.
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Nel 2013 il corridoio sud del gas, cioè l’intero maxi-gasdotto, viene approvato dalle autorità europee, appoggiate dagli Usa, con una dichiarata funzione anti-russa, per creare un’alternativa al metano della Gazprom. Ma ora i documenti mettono in dubbio questa giustificazione geo-politica: il gigante russo Lukoil, infatti, è entrato con il 10 per cento nel consorzio guidato da Bp e dalla società azera Socar per sfruttare il giacimento di Shah Deniz 2, proprio quello del Tap. Mentre alcune intercettazioni italiane autorizzano a pensare all’esistenza di accordi sotterranei anche con altre società russe. Controllate da oligarchi fedeli al presidente Vladimir Putin.
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