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    Tutto quello che non bisogna fare...

    I contribuenti (persone fisiche e giuridiche) beneficiati dagli accordi corruttivi contestati da questo Ufficio sono 37.

    Gli episodi corruttivi riguardanti l’ex direttore e il funzionario sono stati caratterizzati dal versamento di somme in favore dei due pubblici ufficiali (in cinque dei reati contestati da questo Ufficio attraverso l’intermediazione di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Como in servizio nonché di un ex dirigente dell’Agenzia delle Entrate di Como) da parte dei professionisti indagati in cambio di provvedimenti favorevoli per i clienti di questi ultimi, quali:
    1. la cessazione della verifica fiscale in corso,
    2. la mancata estensione della verifica tributaria ad altre annualità,
    3. la rideterminazione di rilievi e sanzioni con conseguente indebita riduzione del debito erariale,
    4. l’annullamento in autotutela di avvisi di rettifica e liquidazione,
    5. la predisposizione da parte del funzionario di numerosi:
      • atti di mediazione e conciliazione con i contribuenti con i quali le contestazioni tributarie e conseguenti pretese di pagamento dell’Agenzia venivano indebitamente ridotte;
      • atti di annullamento in autotutela dei provvedimenti della Agenzia delle Entrate;
      • ricorsi ed atti di impugnazione dinanzi alle Commissioni Tributarie (per conto dei professionisti corruttori e da questi formalmente firmati e presentati) avverso provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate quali avvisi di accertamento, rettifica e liquidazione finalizzati ad ottenerne l’annullamento e conseguenti,
      • atti di conciliazione stragiudiziale che consentivano indebiti risparmi per i contribuenti;
    6. la partecipazione da parte del funzionario alle udienze quale funzionario delegato a rappresentare l’Agenzia delle Entrate di Como, nel corso delle quali gli interessi dell’Erario non venivano adeguatamente tutelati,
      • la mancata impugnazione avverso le decisioni della Commissione Tributaria che aveva accolto i ricorsi dei contribuenti predisposti dallo stesso funzionario,
      • la sollecitazione nei confronti di altri Funzionari della Agenzia delle Entrate perché concludessero atti di mediazione con i contribuenti che prevedessero significative ed indebite riduzioni della pretesa erariale.

    Le tangenti sono state, in alcuni episodi corruttivi, occultate tramite operazioni fraudolente di registrazione di emissione ed utilizzo di fatture a fronte di operazioni inesistenti rese possibili dalla disponibilità dei legali rappresentanti di associazioni sportive emittenti le fatture ad effettuare le retrocessioni di denaro in contante su richiesta dei professionisti dello studio commercialistico.

    http://www.gdf.gov.it/stampa/ultime-...mministrazione
    https://www.youtube.com/watch?v=R9zgb_q8BCE

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      https://www.espansionetv.it/gate/202...vizi-illeciti/

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        a proposito dei controlli postumi...

        https://www.ilfattoquotidiano.it/202...box=1589961370

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          e vogliono sburocratizzare...ahahahahahaha

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            un lusso che questo paese non si può permettere

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              La Signora non crede ai pentiti.....alla faccia del caciocavallo

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                Assolto, Assolto, Assolto

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                  Il metodo Falcone applicato ai pentiti suggeriva di acquisire il maggior numero possibile di dettagli, particolari, circostanze, anche apparentemente insignificanti, circa i fatti caduti sotto la loro diretta percezione, per potere trovare più agevolmente i relativi riscontri.
                  Per dare il giusto rilievo alle motivazioni che avevano portato alla determinazione di rompere il vincolo di sangue acquisito col giuramento di appartenenza a cosa nostra, bisognava approfondire ed esemplificare con fatti concreti quelle espressioni gergali spesso usate dai dichiaranti, come, ad esempio, ”Tizio è nelle mani di…”, “Caio è un uomo di…”, “Sempronio è collegato con…, Mevio è coinvolto in…”, così come valutazioni e opinioni assertive e spesso immotivate.
                  Naturalmente, in applicazione del rigore metodologico di Falcone, bisognava evitare di mostrare particolare interesse per un argomento o per taluno degli indagati; accertare se il pentito avesse eventuali ragioni personali di vendetta o di ritorsioni nei confronti degli accusati; impedire qualsiasi possibilità di incontro dei collaboratori, in modo da poterli utilizzare, senza sospetti di preventivi accordi, come riscontri reciproci; ed, infine, mantenere un atteggiamento critico, non supinamente acquiescente, attento ad approfondire ogni elemento utile per un giudizio di piena attendibilità, come, ad esempio, la spontanea ammissione di responsabilità per reati non contestati.
                  Il rigore metodologico di Falcone era un giusto equilibrio tra l’estrema cautela nel raccogliere dichiarazioni da soggetti che si erano macchiati di gravissimi delitti e l’ovvia considerazione che in una organizzazione criminale, che aveva fatto del segreto e dell’omertà uno dei suoi fattori di sopravvivenza, solo dalla viva voce dei protagonisti era possibile trarre elementi di conoscenza, altrimenti non acquisibili, di gravissimi episodi delittuosi.

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                    Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                    Il metodo Falcone applicato ai pentiti suggeriva di acquisire il maggior numero possibile di dettagli, particolari, circostanze, anche apparentemente insignificanti, circa i fatti caduti sotto la loro diretta percezione, per potere trovare più agevolmente i relativi riscontri.
                    Per dare il giusto rilievo alle motivazioni che avevano portato alla determinazione di rompere il vincolo di sangue acquisito col giuramento di appartenenza a cosa nostra, bisognava approfondire ed esemplificare con fatti concreti quelle espressioni gergali spesso usate dai dichiaranti, come, ad esempio, ”Tizio è nelle mani di…”, “Caio è un uomo di…”, “Sempronio è collegato con…, Mevio è coinvolto in…”, così come valutazioni e opinioni assertive e spesso immotivate.
                    Naturalmente, in applicazione del rigore metodologico di Falcone, bisognava evitare di mostrare particolare interesse per un argomento o per taluno degli indagati; accertare se il pentito avesse eventuali ragioni personali di vendetta o di ritorsioni nei confronti degli accusati; impedire qualsiasi possibilità di incontro dei collaboratori, in modo da poterli utilizzare, senza sospetti di preventivi accordi, come riscontri reciproci; ed, infine, mantenere un atteggiamento critico, non supinamente acquiescente, attento ad approfondire ogni elemento utile per un giudizio di piena attendibilità, come, ad esempio, la spontanea ammissione di responsabilità per reati non contestati.
                    Il rigore metodologico di Falcone era un giusto equilibrio tra l’estrema cautela nel raccogliere dichiarazioni da soggetti che si erano macchiati di gravissimi delitti e l’ovvia considerazione che in una organizzazione criminale, che aveva fatto del segreto e dell’omertà uno dei suoi fattori di sopravvivenza, solo dalla viva voce dei protagonisti era possibile trarre elementi di conoscenza, altrimenti non acquisibili, di gravissimi episodi delittuosi.

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                      C’è una manina che ha manomesso i documenti dell’interrogatorio di Licio Gelli nel 1988, dopo l’arresto in Svizzera. È l’ipotesi della procura generale di Bologna che indaga sulla strage del 2 agosto 1980. Nel registrato degli indagati c’è il nome di un militare della Guardia di Finanza, all’epoca in servizio a Milano, che partecipò all’interrogatorio del maestro venerabile della loggia massonica P2. La circostanza emerge dagli atti della nuova inchiesta, che ha individuato proprio in Gelli, morto nel 2015, il mandante e finanziatore dell’attentato alla stazione.

                      https://www.ilfattoquotidiano.it/202...gione/5807090/

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