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Il valigione del tirocinante
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Originariamente inviato da MARYLEE Visualizza il messaggioQuesto è da leggere con calma....molta calma....
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off topic
ESCLUSIVO
Il segreto di Giulio
Il ministro dell'economia fu indagato nel 1996 per evasione fiscale. Un'inchiesta poi archiviata, ma rimasta nascosta per 15 anni. E in cui giocò un ruolo anche Milanese. 'L'Espresso' ha scoperto e ricostruito la vicenda
L'interrogatorio di un super ministro che resta segreto per 15 anni. Mentre l'indagine muore sepolta da un'archiviazione molto contestata, con il risultato, fino a ieri raggiunto, di rendere inaccessibili le notizie più imbarazzanti. Come una fragorosa denuncia di Giulio Tremonti, poi ritrattata, contro Silvio Berlusconi. O la scoperta che l'operazione Bell-Telecom, cioè la più colossale evasione fiscale mai accertata in Italia, fu architettata dallo stesso avvocato lussemburghese che aveva gestito la cassaforte estera del professor Tremonti.
L'Italia è una Repubblica fondata sui segreti. Un sintomo inedito di questo male nazionale è nascosto in una vecchia inchiesta penale, in apparenza innocua. Tra la caduta del primo (1994) e la nascita del secondo governo Berlusconi (2001), il ministro dell'Economia ha dovuto deporre come indagato, per una spiacevole accusa di evasione fiscale, davanti a un ex pm della procura di Milano. Finora nessuno aveva potuto informare i cittadini neppure dell'esistenza di questo interrogatorio. Dopo varie peripezie, anch'esse rimaste segrete, l'indagine si è chiusa con un proscioglimento controverso. E ora si scopre che i più delicati risvolti politici e fiscali dell'inchiesta su Tremonti furono gestiti da un capitano della Guardia di finanza allora ignoto ai più: Marco Milanese.
Il politico e l'ufficiale. Entrato nelle Fiamme gialle nel 1981, Milanese è diventato dal 2001 il braccio destro del ministro Tremonti e dal 2008 è parlamentare del Pdl. Inquisito a Napoli per più corruzioni, violazioni di segreti istruttori e associazione per delinquere, ha evitato il carcere solo grazie all'immunità votata in luglio da Pdl e Lega. I giudici di Napoli accusano Milanese di aver intascato tangenti, tra il 2004 e il 2010, per oltre un milione di euro: 450 mila in contanti, altrettanti vendendo a prezzi gonfiati ville in Francia e barche di lusso, oltre a farsi pagare gioielli, orologi, vacanze a New York, Ferrari e Bentley. In cambio, il deputato garantiva favori ministeriali: usava il suo potere sulla Guardia di finanza per spiare le intercettazioni antimafia e piazzava i propri corruttori ai vertici di aziende pubbliche. L'inchiesta di Napoli ha spinto Milanese a svelare anche giri di denaro con Tremonti: era lui a finanziare l'affitto della casa di Roma abitata dal 2009 dal ministro, che a quel punto ha dovuto dichiarare che gli restituiva "mille euro in contanti alla settimana".
Il 16 dicembre 2010, sentito come testimone dal pm Vincenzo Piscitelli, il ministro ha descritto così l'origine del rapporto: "Ho avuto occasione di conoscere Marco Milanese intorno al 2001, in occasione della sua applicazione come "aiutante di campo" al ministero dell'Economia". E "non c'è mai stata una collaborazione professionale di Milanese con lo studio di cui sono stato socio".
Carriera in orbita. Altre fonti, rintracciate da "l'Espresso", retrodatano il legame. Un generale della Finanza ricorda di aver inserito Milanese "tra i militari del nucleo a diretto servizio di Tremonti già dal '94, ma in via occasionale, senza ruoli formali". Un ex ministro aggiunge che "già nel '96" Milanese si presentò al suo staff come "tremontiano di ferro". Stando ai documenti interni delle Fiamme gialle, Milanese viene "distaccato" ufficialmente a Milano, come addetto militare di Tremonti, il 28 giugno 2001. Vari ufficiali dell'epoca precisano però che la sua nomina fu un colpo di scena: a quel posto era destinato un capitano già pronto a partire dal Friuli. Motivazione comunicata in caserma: "Tremonti ha voluto Milanese". Fin qui, le diverse versioni potrebbero dipendere solo da cattiva memoria.
Di certo un aggancio precedente al 2001 porta a Dario Romagnoli, preparatissimo ex ufficiale della Finanza (primo in graduatoria) che era amico di Milanese fin dai tempi dell'Accademia e che tuttora è una colonna dello studio tributario fondato da Tremonti. Romagnoli però è stato assunto dal professore nel '90. Eppure fino a tutto il '95 Milanese è rimasto un oscuro "capitanicchio", come lo etichettano due ufficiali già allora vicini a Tremonti. Di fatto la sua carriera entra in orbita solo a partire dal '96, quando diventa maggiore, compra la sua prima villa a Cap Martin e soprattutto si fa largo come factotum del nuovo comandante del nucleo di Milano, un fedelissimo del generale Nicolò Pollari. A quel punto riesce a entrare nella Scuola di Ostia che seleziona i vertici della Finanza e dal 2000 è tenente colonnello a Roma. Finora però s'ignorava che il balzo in avanti di Milanese fosse coinciso con due anni di indagini su Tremonti, gestite tanto riservatamente che i passaggi più delicati furono tenuti segreti perfino all'allora procuratore Francesco Saverio Borrelli.
L'indagine top secret. Nel settembre 1995 la procura di Milano riceve da Roma un fascicolo su Tremonti, nato dagli esposti di due "super-ispettori" del Secit. Alla fine del '97 l'inchiesta viene archiviata. E questo è tutto quello che finora si sapeva. Ora si scopre che Tremonti è stato interrogato in gran segreto da un pm che non lavora più a Milano e non vuole pubblicità. Il magistrato conferma di averlo sentito "dopo le sette di sera", in una procura deserta, per evitargli danni politici: "Ricordo che eravamo alla vigilia delle elezioni del '96".
L'indagine viene affidata a una pattuglia di militari con fama di incorruttibili: nel '94 hanno dovuto arrestare per tangenti decine di graduati. Mentre i marescialli gli setacciano lo studio, Tremonti è nervoso. Tanto da lasciarsi scappare una confidenza, che poi ritratta, sulle manovre di Berlusconi per far cacciare i colonnelli che indagavano sulla Fininvest (vedi articolo a fianco). A maneggiare questa patata bollente è proprio Milanese.
Lo stop al fisco. Nel '96 i marescialli chiudono la prima fase dell'inchiesta, che fino a quel momento riguarda solo la società di gestione del suo studio: Tremonti & Associati srl, poi ribattezzata Immobiliare Via Crocefisso. Gli ispettori del Secit, in pratica, sospettavano che fosse una ditta di comodo, creata per scaricare costi e pagare meno tasse. All'epoca era ancora in vigore la legge che vietava di farsi pagare consulenze tramite società di capitali. Le fatture però erano vere e tutte contabilizzate. Per cui la pattuglia conclude che è difficile contestare reati dolosi, come il falso o la frode. Sul piano fiscale invece, che è più ampio di quello penale, i marescialli confermano l'accusa sui costi non deducibili e chiedono ai superiori di aprire un procedimento tributario. Per loro è una prassi, formalizzata dai colonnelli di Mani pulite, che si applica anche in caso di archiviazione penale. Dalla fine del '95, però, il nucleo di Milano è guidato da un nuovo comandante. E Marco Milanese sta diventando di fatto il suo braccio destro. La direzione delle indagini ormai è in mano a tre superiori, tutti fedeli a Pollari: il comandante, un tenente colonello e il maggiore Milanese. Fatto sta che per la pattuglia iniziano i guai: i superiori bocciano la richiesta di aprire il procedimento tributario. Gli "incorruttibili" insorgono. E i superiori devono mettere per iscritto un ordine senza precedenti: vietato fare indagini fiscali su Tremonti.
Altra anomalia rispetto a tutte le altre indagini: la relazione destinata al pm viene precompilata da un colonnello, che chiama i marescialli solo a metterci la firma. A quel punto un generale consiglia agli "incorruttibili" di chiedere il trasferimento, "altrimenti vi distruggono". Poco dopo la pattuglia si scioglie. E in parallelo Milanese, che sulla carta non ha incarichi operativi, diventa più potente.
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l no del gip Forleo. Il pm, ricevuta la relazione innocentista, chiede un'archiviazione tombale. La richiesta finisce al gip Clementina Forleo, che non la condivide e ordina indagini più approfondite. In caserma viene sentito come testimone, tra gli altri, un socio fondatore dello studio Tremonti, chiamato a giustificare uno strano giro di contanti. Ad accompagnarlo è Dario Romagnoli. E a riceverli, naturalmente, è un cordiale Marco Milanese.
Il giudice Forleo chiede soprattutto di verificare i rapporti con la società lussemburghese Tremonti International, controllata quasi totalmente dallo studio italiano e attiva negli anni fiscali presi di mira: dal '92 al '94. L'inchiesta-bis, ormai affidata ad altri finanzieri, si riassume in una tabella che dimostra, confrontando le cifre, l'inesistenza di benefici fiscali: la Tremonti International avrebbe addirittura fatto crescere le imposte. Per la difesa è un trionfo: Tremonti passa alla storia come il primo contribuente che apre una società in Lussemburgo per pagare più tasse. Quindi il pm rinnova la richiesta di prosciogliere. E il gip Forleo finisce per archiviare. Ma critica l'indagine-bis e lamenta che sia rimasta affidata alla Finanza, anziché a consulenti indipendenti specializzati in società lussemburghesi.
Tremonti International. Fondata il 20 agosto 1992 con un capitale sociale di un miliardo e mezzo di lire, è stata gestita da un consiglio di amministrazione formato da Giulio Tremonti, dall'avvocato d'affari Alex Schmitt e da una legale del suo studio, Corinne Philippe. Una piccola quota è intestata a un'offshore panamense, chiamata Interfides, rappresentata dallo studio Schmitt. Il restante 99,9 per cento è in mano alla Tremonti srl. La società viene chiusa il primo marzo 1994, alla vigilia delle elezioni che portano il professore in Parlamento. Schmitt però non fatica a trovare altri clienti italiani. A partire dal '97 è proprio il suo studio a costruire la Bell, la società lussemburghese della maxi-plusvalenza Telecom: oltre due miliardi di euro tassati per la prima volta solo dopo il 2006, dal governo Prodi. Per chiudere la vertenza e spianare la strada ai patteggiamenti, i soci italiani della Bell hanno dovuto risarcire oltre 250 milioni (versandone 156 cash). Unici due condannati per l'evasione del secolo: il finanziere bresciano Emilio Gnutti e l'avvocato lussemburghese Alex Schmitt.
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L’Italia è al terzo posto nella classifica dei Paesi europei che più facilitano i riciclatori. Sul podio si trova in compagnia delLussemburgo, da sempre porto franco per criminali della finanza, e, a sorpresa, della Germania. È quanto racconta il report Cinquanta sfumature di fisco creativo, curato da Eurodad, un network internazionale di 46 ong internazionali (tra cui big come Action Aid e Oxfam) che si occupano di lotta all’evasione e riciclaggio. Il capitolo italiano è stato curato dall’ongRe:Common.
Il rapporto si concentra su 15 Paesi e analizza come hanno recepito la direttiva europea antiriciclaggio della fine del 2014 e come si sono attrezzati per combattere l’evasione fiscale. Germania e Lussemburgo, ai primi due posti del ranking, durante il dibattito in Europa su come fermare chi ricicla denaro sporco, non si sono mai dichiarati a favore delle costruzione di registri pubblici dei beneficiari ultimi delle aziende e delle fiduciarie, passo fondamentale per la lotta al riciclaggio. L’Italia a parole ci ha provato, ma non nei fatti, come afferma il rapporto.
La segretezza è pericolosa: shell company, trust, fiduciarie,holding anonime sono il nascondiglio per tutti, dagli elusori fiscali fino ai riciclatori di denaro sporco o dittatori, ricorda il rapporto, tanto che la direttiva prevede entro il 2015 che tutti gli Stati membri creino registri con gli effettivi proprietari dei trust. Un miraggio.
Lo scandalo di Swissleaks, l’inchiesta giornalistica condotta proprio un anno fa da una squadra di giornalisti dell’International Consortium for Investigative Journalism, e il precedente Offshoreleaks svelarono i nomi dei beneficiari di oltre 130mila holding anonime in cui figuravano, tra gli altri, l’ex dittatore delle filippine Ferdinand Marcos e Ilham Aliyev, rampollo della famiglia che ha costruito e governato da sempre in Azerbaijan. Uno studio della Banca Mondiale su oltre 150 scandali finanziari nei Paesi in via di sviluppo ha mostrato come nel 70% dei casi si utilizzassero società schermo, anonime, con sede in Paesi sviluppati. La storia recente, come il caso della Lista Falciani, con i nomi dei risparmiatori europei della banca Hsbc che hanno portato offshore i loro risparmi, insegna che spesso sono gli stessi istituti di credito d’Europa a suggerire di schermarsi dietro società anonime.
Per disinnescare questo meccanismo un passo fondamentale è il registro pubblico dei beneficiari ultimi, che cancellerebbe la possibilità per le aziende di avere dei prestanome: l’Italia, come la Francia, si è sempre detta disponibile alla sua realizzazione. Ma nei fatti, ricorda il rapporto, si è accontentata di una pubblicazione previo “legittimo interesse” di chi chiede i dati: una formula per tenerne nascosta la maggior parte. A questo si aggiungono le preoccupazioni della Banca d’Italia, che a metà 2015 ha segnalato le transazioni sospette dei 12 mesi precedenti: 71.500, un numero in costante ascesa (nel 2013 le segnalazioni erano state 7mila in meno). Un segno tangibile del rischio riciclaggio.
L’altro grande fronte delle nuove direttive europee, la cui ricezione è caldeggiata da tutti i più importanti osservatori internazionali (vedi l’Osce, ad esempio) è quello della lotta all’evasione. Il giudizio del report sulla politica di Matteo Renzi, riportato in un’analisi del Paese disponibile solo nella versione inglese del rapporto, è molto duro: la direzione presa dal nostro premier “solleva grossi dubbi sull’impegno a combattere effettivamente l’evasione fiscale”. Il motivo? Il presidente del consiglio a parole ha detto che non avrebbe fatto sconti a nessuno (nel novembre 2014 diceva alla Guardia di Finanza: “Sono finiti i tempi dei furbi”), nei fatti ha creato un sistema fiscale a misura di multinazionale, fatto di accordi ad personam per scontare qualcosa sul totale delle tasse che si dovrebbero pagare. Il primo anello debole è proprio il tax ruling, l’accordo fiscale tra grande azienda e Paese. Lo strumento è sempre più utilizzato, nonostante l’Antitrust della Commissione europea il 21 ottobre abbia considerato illeciti i vantaggi fiscali ottenuti in questo modo da aziende come la Fiat in Lussemburgo.
Secondo un advisor fiscale anonimo intervistato nel rapporto, il regolamento potrebbe diventare “un modo molto interessante per migliorare l’attrattività degli investimenti in Italia”. Ma a quale prezzo? Dover pagare multe salatissime come ha fatto poi il Lussemburgo dopo la condanna? Il secondo anello debole sono i “patent box”, accordi per una detassazione anche di oltre il 50% dei proventi per i big proprietari di brevetti intellettuali. Lo strumento è sotto indagine in tutti i Paesi che già l’hanno adottato, come Gran Bretagna e Irlanda. E l’Italia è l’ultimo Stato dell’Ue ad avere introdotto questo strumento, anche qui nella speranza di attrarre investimenti, anche forzando le regole comunitarie.
L’ultima nota dolente in materia fiscale è per gli accordi siglati con iPaesi in via di sviluppo. Si tratta di misure che il rapporto giudica spesso inique, in cui si usano gli investimenti dei Paesi occidentali come ricatto per ottenere un regime fiscale vantaggioso nei Paesi più poveri. Anche in questo settore, comunque, Berlino è peggio di Roma: i tedeschi in media ottengono accordi per le loro aziende che vanno a investire all’estero che prevedono sconti delle aliquote di ritenuta alla fonte di oltre 3,5 punti percentuali, “cifra ben oltre la media degli altri paesi oggetto del presente studio”, si legge nel rapporto. In Italia la cabina di regia di questi accordi è l’Eni: i trattati si stilano a seconda dei desideri dell’azienda del cane a sei zampe. Un esempio? A metà 2014 la società annuncia l’allargamento dei propri interessi nella Repubblica del Congo Brazzaville, Paese dove opera dal 1968. Poco dopo, Renzi sigla un trattato fiscale con il presidente Denis Sassou N’Guesso. I contenuti di quell’accordo, al momento, non sono ancora stati resi pubblici.Ultima modifica di ROL; 03-11-2015, 11:55.
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Dalla branch exemption un rimedio ai rischi di esterovestizione
Opzione irrevocabile che coinvolge la totalità delle S.O. estere e che esclude la tassazione delle stesse in Italia
http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_...aspx?IDSrc=110
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