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Il valigione del tirocinante
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Quadro RH del collaboratore familiare: la detrazione spettante
Premessa – La disciplina civilistica dell’impresa familiare è contenuta nell’art. 230 bis c.c., a norma del quale è considerata tale l’impresa nella quale collaborano i componenti della famiglia prestando in via continuativa la propria attività di lavoro.
La disciplina fiscale è, invece, dettata dall’art. 5, commi 4, del TUIR dove espressamente è disposto che “i redditi delle imprese familiari di cui all'articolo 230-bis del codice civile, limitatamente al 49 per cento dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.
Dunque, la parte di reddito conseguita dall’impresa familiare che l’imprenditore titolare può imputare ai propri collaboratori può essere massimo pari al 49% del totale.
Il successivo comma 5 dispone altresì che “si intendono per familiari, ai fini delle imposte sui redditi, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado”.
Nei confronti dell’impresa familiare vige il principio di tassazione per “trasparenza” in base al quale il reddito prodotto è imputato a ciascun familiare collaboratore indipendentemente dall’effettiva percezione del reddito e in proporzione alle quote di partecipazione agli utili (il collaboratore, invece, non partecipa alle eventuali perdite le quali sono di esclusiva pertinenza del titolare).
Il quadro RH del Modello UNICO per il collaboratore familiare – Il Quadro RH (redditi da partecipazione) del Modello UNICO deve essere utilizzato per dichiarare le quote di reddito derivanti da partecipazioni in società e associazioni o imprese familiari o coniugali. Pertanto, tra i soggetti tenuti alla compilazione di detto quadro, vi rientra anche il collaboratore dell’impresa familiare il quale vi riporta la quota di reddito attribuitagli e che concorrerà alla formazione del suo reddito complessivo.
Tuttavia, come previsto anche dalle stesse istruzioni ministeriali del Modello UNICO, il collaboratore dell’impresa familiare deve compilare il presente quadro solo nel caso in cui l’impresa abbia realizzato un reddito, in quanto, come anticipato già in premessa, detto collaboratore, agli effetti sia civili sia fiscali, partecipa (in regime di trasparenza) solo agli utili e non alle perdite dell’impresa.
Inoltre, il familiare, apponendo la firma nel frontespizio, oltre a sottoscrivere la dichiarazione, attesta anche di aver prestato la sua attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente (cioè che sia soddisfatta la condizione prevista dall’art. 230 bis c.c. e dall’art. 5, comma 4, del TUIR).
Il collaboratore familiare dell’impresa che opera in regime di vantaggio – Qualora l’imprenditore nell’ambito dell’attività dell’impresa familiare, si sia avvalso del regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (ex minimi con aliquota al 5%) i collaboratori familiari sono esonerati dagli obblighi dichiarativi e di versamento riferibili al reddito a essi imputato dall’imprenditore, in quanto l’imposta sul reddito prodotto dall’impresa familiare è versata interamente dall’imprenditore. Quindi, in tal caso, il collaboratore familiare non deve compilare il quadro RH.
Per analogia, ciò è da ritenersi valido anche nel caso in cui l’imprenditore rientri nel nuovo regime forfettario (con aliquota sostitutiva del 15% ed in vigore dal 1° gennaio 2015), quindi con riferimento al Modello UNICO 2016.
La detrazione d’imposta per il collaboratore familiare – Qualora l’impresa familiare sia gestita in contabilità semplificata (è indicato il codice “3” nella colonna 2 Sezione I del quadro RH), al collaboratore familiare spetta una detrazione d’imposta ai sensi dell’art. 13, comma 5, del TUIR, pari a:
1) 1.104 euro, se il reddito complessivo non supera 4.800 euro;
2) 1.104 euro, se il reddito complessivo è superiore a 4.800 euro ma non a 55.000 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 55.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 50.200 euro.
Al fine di beneficiare di detta detrazione, occorre che il collaboratore familiare barri la casella “7” della sezione I del quadro RH.
Per cui, nella compilazione del proprio modello UNICO 2015, si raccomanda al collaboratore familiare di verificare il rispetto dei requisiti per godere della detrazione e di barrare la casella “7” di cui sopra qualora ne possa beneficiare.
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rivedere aggiornamenti fallimento ....tra le altre cose...
Il decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge n.132 del 6 agosto 2015, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 agosto 2015, ha portato con sé moltissime novità, soprattutto in materia di fallimenti.
Gli atti a titolo gratuito
In virtù delle modifiche apportate dalla legge di conversione all’articolo 64 L.f., i beni oggetto di atti a titolo gratuito (donazione o istituzione di un trust, ad esempio) sono attratti alla massa fallimentare mediante la semplice trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento.
Dal 21 agosto scorso, pertanto, non è più necessario che una sentenza di accertamento dichiari l’inefficacia degli atti di disposizione nei confronti del fallimento, ma, con una procedura molto più rapida e semplice per il curatore fallimentare, i beni confluiscono direttamente nella massa fallimentare.
Ogni interessato può tuttavia proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell’articolo 36 L.f. (reclamo contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori).
La chiusura del fallimento
Viene previsto che la chiusura della procedura di fallimento non sia impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può comunque mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio.
A tal proposito merita di essere sottolineato che le somme necessarie per le spese future relative ai giudizi pendenti devono essere trattenute dal curatore.
Dopo la chiusura del fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto dei provvedimenti definitivi e i residui degli accantonamenti sono oggetto di riparto supplementare tra i creditori, non essendo invece necessaria la riapertura del fallimento.
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Bilanci: nuovi criteri di valutazione
Abbiamo già evidenziato in un precedente intervento alcune rilevanti novità introdotte dal Decreto Legislativo che ha recepito la Direttiva 34/13, meglio conosciuta come Direttiva bilancio, che ha abrogato le precedenti Direttive contabili comunitarie relative alla redazione del bilancio di esercizio e consolidato (Direttiva 78/660/Cee e 83/349/Cee), introducendo un’unica, nuova, disciplina.
Si è già accennato su quelle che sono le novità nei principi di redazione del bilancio e nei criteri di valutazione per gli oneri pluriennali.
Con riferimento, invece, all’avviamento, viene previsto che l’ammortamento debba essere effettuato secondo la sua vita utile e, nei casi eccezionali in cui questa non è stimabile attendibilmente, entro un periodo non superiore a dieci anni. Si ricorda, a tal proposito, che la disciplina attuale prevede l’ammortamento dell’avviamento in un periodo di cinque anni, mentre l’eventuale maggior termine deve essere adeguatamente motivato in nota integrativa.
Sempre in tema di avviamento deve essere ricordato che vengono espressamente vietate le riprese di valore. Come noto, infatti, ai sensi dell’articolo 2426 c.c., l’immobilizzazione che, alla data di chiusura dell’esercizio, risulti di valore durevolmente inferiore a quello determinato secondo gli ordinari criteri di valutazione, deve essere iscritta a tale minore valore: il minor valore non può tuttavia essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata. Secondo lo schema di Decreto Legislativo, quest’ultima previsione non trova quindi applicazione, con riferimento all’avviamento.
Altri aspetti innovativi nei processi valutativi riguardano le partecipazioni immobilizzate in imprese controllate o collegate, valutate conil metodo del patrimonio netto.
Viene infatti previsto che, in sede di prima applicazione del metodo, il costo di acquisto superiore al valore corrispondente del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa controllata o collegata o, ed è qui la novità, alla data di acquisizione, può essere iscritto nell'attivo, purché ne siano indicate le ragioni nella nota integrativa.
E’ stato altresì modificato il punto 8-bis) dell’articolo 2426 c.c., al fine di rendere più esplicito il fatto che l’obbligo di valutazione al tasso di cambio vigente alla data di riferimento del bilancio sussiste soltanto per le poste aventi natura monetaria.
Altre innovazioni riguardano la valutazione al fair value degli strumenti finanziari derivati, anche se incorporati in altri strumenti finanziari. In questo caso vengono individuati due diversi trattamenti contabili: in linea generale, le variazioni del fair value degli strumenti finanziari derivati sono imputate a conto economico, ma, qualora lo strumento copra rischi di variazioni dei flussi finanziari attesi di un altro strumento finanziario o di un’operazione programmata, la variazione è imputata ad una riserva positiva o negativa di patrimonio netto, la quale potrà essere imputata al conto economico nella misura e nei tempo corrispondenti al verificarsi o al modificarsi dei flussi di cassa dello strumento coperto o al verificarsi dell’operazione oggetto di copertura.
È necessario infine ricordare che il Decreto Legislativo si sofferma altresì sulla disciplina delle azioni proprie, stabilendo che le stesse devono essere iscritte in bilancio in diretta riduzione del patrimonio netto. Sparisce pertanto l’attuale previsione civilistica che dispone l’iscrizione delle azioni proprie nell’attivo patrimoniale con contestuale accensione di una riserva indisponibile di pari importo.
La novità in oggetto comportano quindi anche la modifica degli articoli 2424 c.c. (contenuto dello stato patrimoniale) e 2424-bis c.c. (disposizioni relative alle singole voci dello stato patrimoniale).
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Bilancio: nuovi criteri di valutazione
Non è più possibile iscrivere nell’attivo le spese di pubblicità e quelle di ricerca. Capitalizzabili solo le spese di sviluppo.
Il Decreto Legislativo che ha recepito la Direttiva 34/13, ha innovato sia i principi di redazione che di valutazione del bilancio.
Per quanto riguarda i principi di redazione del bilancio, nell’articolo 2423 c.c. viene introdotto il «principio di rilevanza» in virtù del quale «non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione e informativa quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una rappresentazione veritiera e corretta.»
Tale principio, che ha già applicazione a livello di prassi contabile, trova spazio anche in alcune specifiche disposizioni normative, delle quali, quindi, viene disposta l’eliminazione. Si pensi, a tal proposito, all’abrogazione del punto 12 dell’art. 2426 c.c., il quale attualmente prevede che «le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo, possono essere iscritte nell'attivo ad un valore costante qualora siano costantemente rinnovate, e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all'attivo di bilancio, sempreché non si abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione».
Nell’introdurre il nuovo principio, viene tuttavia previsto che siano illustrati in nota integrativa i criteri con i quali è stata data attuazione allo stesso. Viene poi espressamente chiarito che il criterio della rilevanza non mette in alcun modo in discussione gli obblighi relativi alla corretta tenuta della contabilità.
Viene inoltre riformulato il principio di rilevazione e valutazione delle voci secondo la sostanza dell’operazione o del contratto.
Giova a tal proposito ricordare che, la previgente versione dell’articolo 2423-bis c.c., numero 1, prevedeva che la valutazione delle voci debba essere fatta «tenendo conto della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato». Il riformato articolo 2423-bis c.c., numero 1-bis, prevede pertanto che la rilevazione e la presentazione delle voci sia effettuata «tenendo conto della sostanza dell’operazione o del contratto».
Per ciò che attiene invece i criteri di valutazione, il Decreto Legislativo prevede modifiche per l’articolo 2426 c.c., e più precisamente ai numeri 1), 7) e 8), al fine di introdurre il metodo del costo ammortizzato per la valutazione dei crediti, dei debiti e dei titoli.
Viene tuttavia chiarito che le immobilizzazioni rappresentate da titoli possono essere valutate secondo il principio del costo ammortizzato solo ove applicabile. I crediti e i debiti sono invece sempre rilevati in bilancio secondo il criterio del costo ammortizzato, tenendo conto del fattore temporale e, per quanto riguarda i crediti, del loro presumibile valore di realizzo.
L’obbligo di tener conto del fattore temporale implica quindi la necessità di calcolare il valore attuale dei crediti e dei debiti che, al momento della rilevazione iniziale, non sono produttivi di interessi, o producono interessi secondo un tasso significativamente inferiore a quello di mercato.
L’introduzione del criterio del costo ammortizzato è stata fortemente criticato dal CNDCEC, che, nelle osservazioni alla consultazione pubblica, ha sottolineato come «l’applicazione del metodo di derivazione IASB nasce con finalità informative del tutto avulse rispetto a quelle perseguite dalle PMI, principale target delle norme del codice civile». L’introduzione del criterio è inoltre palesemente in contrasto con il principio di semplificazione cui si ispira la Direttiva contabile.
Novità importanti sono state altresì introdotte in merito agli oneri pluriennali e all’avviamento, al fine di coordinare le disposizioni codicistiche con le previsioni di cui all’articolo 12, paragrafo 11 della Direttiva.
A tal proposito merita in primo luogo di essere sottolineato che non è più possibile iscrivere nell’attivo le spese di pubblicità e quelle di ricerca. In virtù delle novità che potrebbero essere introdotte è quindi prevista soltanto la capitalizzazione delle spese di sviluppo, per le quali è stabilito un periodo di ammortamento pari alla loro vita utile: soltanto nei casi eccezionali in cui non è stimabile attendibilmente la loro vita utile è possibile ricorrere all’ammortamento in un periodo non superiore a cinque anni.
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Liquidazione: modalità dichiarative
L’inizio della liquidazione determina l’interrompersi del normale periodo d’imposta. Si rende necessario distinguere, pertanto, il periodo ante liquidazione, il periodo liquidatorio e il periodo post – liquidatorio.
In base alle disposizioni dell’art. 5, co.1, D.P.R. 322/1998, come modificato dall’art. 5, co. 2, DL 16/2012, in caso di liquidazione di:
• società o enti soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche;
• di società o associazioni di cui all’articolo 5 del T.U.I.R.;
• di imprese individuali,
è necessario presentare la dichiarazione dei redditi del periodo ante liquidazione entro l’ultimo giorno del nono mese successivo alla data la data in cui si determinano gli effetti dello scioglimento della società.
Il frazionamento del periodo d’imposta - Per il frazionamento del periodo d’imposta in cui ha inizio la liquidazione, è fondamentale l’individuazione della data di efficacia della liquidazione.
Questa è differente a seconda che si tratti di:
- imprese individuali;
- società di persone;
- società di capitali.
Per le imprese individuali, coincide con la data indicata dall'imprenditore nella dichiarazione di variazione dati (ex art. 35 D.P.R. 633/7).
Per le società di persone coincide con la:
a) data della delibera di messa in liquidazione società;
b) data di iscrizione della delibera nel Registro delle imprese.
In assenza di puntuali indicazioni, è da ritenersi prevalente la data di iscrizione nel registro delle imprese della delibera assembleare di messa in liquidazione della società.
Per le società di capitali vale, a seconda della causa di scioglimento, la:
a) data di iscrizione nel registro imprese della dichiarazione degli amministratori;
b) data di iscrizione nel registro delle imprese della delibera assembleare di messa in liquidazione della società;
c) data prevista dall’atto costitutivo o dallo statuto;
d) data di iscrizione del decreto del tribunale che accerta il verificarsi di una causa di scioglimento.
Il periodo liquidatorio – Per gli adempimenti dichiarativi del periodo liquidatorio, nel caso in cui la liquidazione si protragga oltre il periodo d’imposta in cui è stata deliberata, l’art. 5, comma 3, D.P.R. 322/1998 dispone che, “se la liquidazione si prolunga oltre il periodo d’imposta in corso alla data indicata nel comma 1 sono presentate, nei termini stabiliti dall’articolo 2, la dichiarazione relativa alla residua frazione del detto periodo e quelle relative ad ogni successivo periodo d’imposta.”
Iniziata la fase di liquidazione, se essa si protrae oltre all’esercizio in cui è stata deliberata, occorre predisporre le dichiarazioni dei periodi intermedi e presentarle nei termini ordinari.
La Risoluzione del 6 luglio 2010, n. 66/E, dell’Amministrazione Finanziaria, offre lo spunto per ripercorrere l'iter degli adempimenti fiscali connessi al processo di liquidazione volontaria riguardante le società soggette ad IRES.
Più in particolare, qualora la liquidazione si protragga oltre il periodo d'imposta in cui ha avuto inizio ma, comunque, si concluda entro cinque anni, il reddito imponibile ai fini IRES deve essere determinato provvisoriamente per ciascun esercizio intermedio, salvo conguaglio in base al bilancio finale di liquidazione.
Ai fini dichiarativi, pertanto, devono essere presentate:
- la dichiarazione relativa alla frazione del periodo d'imposta nel corso del quale si è aperta la procedura di liquidazione;
- le dichiarazioni relative ai periodi d'imposta intercorrenti tra l'apertura e la chiusura della liquidazione;
- la dichiarazione relativa all'intero periodo di liquidazione, predisposta sulla base del bilancio finale di liquidazione.
Per quanto riguarda le imprese individuali, indicazioni sono fornite nella R.M. 31/E/2009, con riferimento agli adempimenti dichiarativi da espletare nel periodo in cui inizia la liquidazione dell’impresa.
In tale caso, occorre presentare:
- una dichiarazione relativa al periodo ante liquidazione, indicando il reddito di impresa da tassare ordinariamente nel quadro RF (o RG);
- una dichiarazione relativa alla residua frazione del periodo di imposta, sempre limitatamente al reddito di impresa, da indicare nel quadro RF o RG;
- i risultati delle due dichiarazioni relative al reddito di impresa per il periodo ante liquidazione e per la residua frazione del periodo di imposta devono poi confluire in un'unica dichiarazione relativa a tutti i redditi percepiti dal contribuente nel periodo di imposta (compresi quelli relativi alle altre categorie reddituali).
Il periodo post liquidatorio – Per quanto riguarda il periodo post liquidatorio, l’ultimo periodo dell’art. 5, co. 1, D.P.R. 322/1998 prevede che “lo stesso liquidatore presenta la dichiarazione relativa al risultato finale delle operazioni di liquidazione entro nove mesi successivi alla chiusura della liquidazione stessa o al deposito del bilancio finale, se prescritto in via telematica”.
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Liquidazione: la determinazione del reddito nel periodo liquidatorio
Per il periodo successivo alla messa di liquidazione della società, sussistono regole diverse di determinazione del reddito a seconda della forma giuridica del soggetto e la durata della fase di liquidazione
Per gli imprenditori individuali e le società di persone si devono distinguere i seguenti casi:
- inizio liquidazione e chiusura liquidazione in un unico periodo d’imposta: in tal caso, il reddito d'impresa è determinato in base al bilancio finale di liquidazione;
- liquidazione di durata maggiore all’esercizio in cui ha inizio ma non superiore a tre esercizi: il reddito d’impresa è determinato con le regole ordinarie per l’intero periodo di liquidazione. Questo perché dalla data di inizio fino alla chiusura della liquidazione esiste un unico periodo d’imposta. Il reddito relativo alla residua frazione di esercizio ed i successivi sono determinati in via provvisoria sulla base del bilancio che deve essere redatto ai fini civilistici. Nei diversi periodi intermedi deve essere predisposta la dichiarazione dei redditi e versate le relative imposte. I redditi dei periodi intermedi concorrono a formare l’imponibile fiscale dell’imprenditore individuale e sono attribuiti per trasparenza ai soci o sono tassati in capo alla società ai fini IRES.
Le imposte provvisoriamente versate sulla base dei bilanci intermedi sono considerate anticipazioni sul debito d’imposta finale. Al termine della procedura sarà necessario effettuare le operazioni di conguaglio tra le imposte sui redditi determinate e versate in via provvisoria e quelle definitivamente dovute sul reddito relativo all'intera durata della procedura;
- se la liquidazione si protrae per più di 3 esercizi oppure non viene presentato il bilancio finale, i redditi dei periodi intermedi si considerano definitivi.
Per le società di capitali:
- inizio liquidazione e chiusura liquidazione in un unico periodo d’imposta: in tal caso, il reddito d'impresa è determinato in base al bilancio finale di liquidazione;
- liquidazione di durata maggiore all’esercizio in cui ha inizio, ma non superiore a cinque esercizi: l'intera procedura è considerata, ai fini fiscali, come un unico periodo d'imposta. Il reddito d'impresa relativo ai periodi intermedi è determinato in via provvisoria sulla base dei relativi bilanci. Al termine della procedura saranno effettuate le operazioni di conguaglio tra le imposte sui redditi determinate e versate in via provvisoria e quelle definitivamente dovute sul reddito relativo all'intera durata della procedura;
- se la liquidazione si protrae per più di 5 esercizi, i redditi relativi agli esercizi intermedi divengono definitivi. I redditi determinati in via provvisoria si considerano definitivi e, ai fini Irpef, i redditi compresi nelle somme percepite o nei beni ricevuti dai soci concorrono a formare il reddito per i periodi d'imposta di competenza.
Per ciò che riguarda invece i redditi imputati ai soci, derivanti dalla liquidazione, questi sono considerati generalmente redditi di capitale, se percepiti da soggetti IRPEF che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali. Diversamente, nel caso in cui tali redditi siano percepiti da soggetti IRPEF nell’esercizio di attività commerciali sono considerati redditi d’impresa.
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come vi dicevo seguite sta faccenda...
Concordati preventivi: le nuove regole
Il 5 agosto il Senato ha approvato definitivamente il provvedimento di conversione del decreto-legge n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale e di organizzazione dell'amministrazione giudiziaria.
Un iter parlamentare molto breve, che si è concluso in appena due settimane, quello del decreto legge n.83,che raccoglie in sé molte disposizioni, dall’organizzazione dei tribunali alle perdite delle banche, senza dimenticare l’Ilva e le novità in tema di fallimenti.
Ovviamente, perché il provvedimento entri in vigore sarà necessario attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che dovrebbe avvenire tra una decina di giorni.
Il nuovo concordato preventivo - L’ennesima riforma si aggiunge al quadro di interventi innovativi che hanno interessato, negli ultimi anni, il concordato preventivo.
L’aspetto più rilevante attiene alla percentuale di soddisfazione dei creditori chirografari: la proposta di concordato, se non è di continuità aziendale, dovrà soddisfare almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari.
Questa nuova previsione era largamente attesa, in quanto, effettivamente, negli ultimi anni, i crediti non assistiti da privilegio hanno spesso visto riconoscersi importi irrisori a fronte delle somme spettanti.
Sempre a tutela dei creditori è inoltre richiesto il parere favorevole della maggioranza degli stessi per poter accedere alla procedura, non essendo più previsto, come in passato, il silenzio-assenso.
Aperta, inoltre, anche ai creditori la possibilità di presentare una proposta di concordato “concorrente”, nel caso in cui il piano proposto dal debitore non soddisfi almeno il 40% dei crediti chirografari (o il 30% nel caso di concordato con continuità aziendale).
Tutta al documentazione del concordato dovrà inoltre essere presentata, periodicamente, al pubblico ministero, al fine di scoraggiare eventuali condotte fraudolente.
Maggiore apertura, invece, con riferimento ai finanziamenti: se la società ha presentato domanda di concordato preventivo o di ristrutturazione debiti potrà ottenere un finanziamento per la continuità aziendale. Sul punto sarà il tribunale a dover decidere entro dieci giorni dal prestito.
Nuove incompatibilità sono inoltre previste per i curatori fallimentari, per i quali verrà istituito un albo nazionale, continuamente aggiornato.
Estremamente rilevante è la previsione secondo la quale i curatori dovranno concludere la liquidazione dell’attivo in massimo due anni, e dovranno essere assistiti da società specializzate per la vendita dei beni della procedura.
La riforma alle porte - Molti Autori hanno già contestato questo intervento, soprattutto in considerazione del fatto che, molto presto, dovrebbe esserci l’intera revisione della legge fallimentare del 1942.
Le novità introdotte, infatti, sebbene sotto alcuni aspetti possano apparire rilevanti, non avevano sicuramente il carattere dell’urgenza, e l’unico effetto che potrebbe aversi è quello di portare maggiore confusione in un settore nel quale le riforme contingenti sono state fin troppo numerose.
Le procedure esecutive - Non trovano pace nemmeno le procedure esecutive, alle quali la legge di conversione del Dl 83/15 ha riservato ulteriori novità.
L’obiettivo dell’intervento riformatore è stato quello di evitare speculazioni al ribasso a danno dei creditori e dello stesso debitore: le valutazioni del bene da espropriare dovranno infatti essere ricondotte dal giudice a valori di mercato (e non ai più bassi valori catastali).
Il giudice dovrà inoltre respingere le offerte inferiori di un quarto al prezzo fissato, e, se le offerte sono inferiori al valore dell’immobile, il giudice potrà accogliere la richiesta di assegnazione del bene formulata dal creditore.
Anche nella vendita con incanto, nel caso in cui il primo tentativo non abbia avuto esito, il giudice potrà nuovamente tentare solo qualora ritenga possibile vendere l’immobile ad un prezzo superiore alla metà del valore di mercato: in mancanza di tale presupposto, invece, potrà assegnare il bene al creditore
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