Un’impresa fallisce o va in crisi e non riesce più a pagare lo stipendio ai lavoratori. Il dipendente è obbligato a versare quelle imposte (ritenute) che l’impresa stessa avrebbe dovuto trattenere e pagare per lui. ?
off topic (ma non troppo)
UNICO: RAVVEDIMENTO PER TARDIVA O OMESSA DICHIARAZIONE
Premessa – La Legge di Stabilità 2015 (Legge n. 190/2014) ha sostanzialmente modificato l’istituto del ravvedimento operoso, ma non ha apportato nessuna modifica in merito alle “dichiarazioni tardive” (art.13, lett. c) del D.Lgs. 472/97). Al riguardo, l’articolo 2, comma 7, D.P.R. 322/98, dispone che la dichiarazione, trasmessa entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria è da considerarsi come “tardiva” (quindi valida) e non come “omessa”.
Dunque, il contribuente che non presenta il proprio Modello UNICO 2015 entro il termine ordinario del 30 settembre 2015, può ancora provvedere alla presentazione entro il 29 dicembre prossimo, prima che il fisco consideri la dichiarazione come omessa applicando le dovute sanzioni.
A tal proposito, si ricorda che, in caso di omessa dichiarazione, l’articolo 1 del D.Lgs. n. 471/97 prevede una sanzione amministrativa che va dal 120% al 240% dell’importo dell’imposta dovuta. Se invece non vi sono imposte dovute, la sanzione va da un minimo di 258 euro a un massimo di 1.032 euro.
Ravvedimento per tardiva dichiarazione – In caso di presentazione tardiva (Modello UNICO 2015 presentato entro il prossimo 29 dicembre), il contribuente può ravvedersi versando:
• l’importo dell’imposta dovuta più la sanzione; • una sanzione ridotta pari a 25 euro (1/10 di 258,00) per la tardiva dichiarazione; • gli interessi calcolati al tasso legale annuo, dal giorno della scadenza del versamento dell’imposta al giorno in cui il pagamento viene eseguito.
L’imposta va versata con la sanzione del 3,75% (“ravvedimento lungo”) non essendo più possibile (oltre il 30/09) ricorrere al ravvedimento breve o intermedio (essendo già trascorsi rispettivamente 30 e 90 giorni dall’omesso versamento). La sanzione per tardiva dichiarazione di 25,00 euro va versata con codice tributo “8911” e nel corrispondente campo “anno” del modello F24 occorre indicare l’anno in cui è stata commessa la violazione (2015) e non quello del periodo d’imposta cui la dichiarazione si riferisce (cioè 2014).
A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate con la Circolare Ministeriale n. 54/E/2002 ha precisato che la sanzione ridotta è dovuta per ciascuna dichiarazione ricompresa nel Modello UNICO. Ne consegue, quindi, che il contribuente ha l’obbligo di versare 25 euro per ogni dichiarazione omessa di cui si compone il Modello UNICO e quindi redditi e Iva (non si considerano, invece, “dichiarazione” gli studi di settore e/o parametri poiché sono considerati parte integrante della dichiarazione dei redditi).
Se poi dalla dichiarazione tardiva presentata non scaturisce alcun debito d’imposta, il contribuente verserà la sola sanzione di 25 euro (intesa sempre per dichiarazione e non per modello).
Tardiva compilazione del quadro RW – Qualora il contribuente dovesse presentare il Modello UNICO nel termine ordinario del 30 settembre senza che compili il quadro RW (essendone, invece, obbligato in tema di monitoraggio fiscale), questi può integrare il Modello originariamente presentato, inserendo il quadro RW mancante, entro 90 giorni (quindi entro il 29/12) versando la sanzione di euro 25,80 (Risoluzioni n. 325/E/2002, n. 82/E/2009 e Circolare n. 11/E/2010). A tal proposito si può vedere anche la Circolare della Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti del 15 luglio 2015 paragrafo 4.
Sanzioni per gli intermediari – L’art. 7-bis D.Lgs. 241/1997 prevede a carico degli intermediari abilitati che non trasmettono o trasmettono in ritardo le dichiarazioni, per le quali hanno assunto l’impegno alla trasmissione, una sanzione che va da un minimo di 516 euro a un massimo di 5.164 euro.
È utile ricordare che per l’intermediario incaricato si configura “omessa dichiarazione” qualora la trasmissione non sia effettivamente prodotta o è scartata dal sistema Entratel e l’intermediario stesso non la ritrasmette nel termine dei successivi 5 giorni. In merito alla sanzionabilità o meno dell’intermediario incaricato alla trasmissione, occorre fare un’importante distinzione: • se l’intermediario trasmette la dichiarazione entro il termine di 30 giorni dalla data dell’impegno (riportata sul frontespizio della dichiarazione) questi non subirà alcuna sanzione; • se l’intermediario trasmette la dichiarazione oltre il termine di 30 giorni dalla data dell’impegno, allora questi sarà sanzionabile. Quindi, se ad esempio, il contribuente si rivolge all’intermediario, abilitato per la trasmissione del Modello UNICO 2015, il giorno 30 ottobre 2015 (data di assunzione dell’impegno) e l’intermediario provvede alla trasmissione telematica il 15 novembre, questi non è sanzionabile (se, invece, vi provvedesse, ad esempio, il 12 dicembre, sarà sanzionabile). Se poi l'impegno è stato assunto entro i termini di presentazione della dichiarazione (ad esempio il 2 settembre), e l’intermediario la trasmette oltre il termine ordinario del 30 settembre, la sanzione è applicabile solo all’intermediario. Tuttavia, anche l’intermediario può ravvedersi trasmettendo il Modello UNICO entro 90 giorni dal termine ordinario (quindi entro il 29/12) e versando la sanzione di 51 euro (1/10 di 516,00) per ciascun “Modello” omesso (e non per numero di dichiarazioni di cui si compone il modello). La sanzione va versata con codice tributo 8924.
Sanzionati gli F24 trasmessi senza l’autorizzazione dell’Agenzia delle Entrate
Premessa – Sotto la lente del fisco gli F24 con compensazioni per i quali è necessario utilizzare i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (Entratel o Fisconline).
Compensazioni indebite - Tra gli obiettivi posti alla base del contrasto all'evasione fiscale figurano le compensazioni indebite. Sotto l’attenzione del Fisco sembrano, infatti, esserci soprattutto i contribuenti che hanno beneficiato dell'istituto della compensazione. L'Agenzia ha dato un input forte ai propri uffici: vi è la necessità di controllare tali forme di pagamento. Le compensazioni illegittime sono presenti principalmente nel settore dei servizi o in quelle attività caratterizzate dal consistente utilizzo di manodopera scarsamente specializzata. Data la diffusione del fenomeno, gli uffici sono stati invitati a effettuare costanti monitoraggi per selezionare i soggetti da verificare. Gli interventi del passato – Questi obiettivi, confermano un indirizzo già intrapreso da tempo anche dal legislatore. Per contrastare ancor più efficacemente il fenomeno delle compensazioni di crediti inesistenti, con l'art. 27 del D.L. 185/2008 è stato previsto il raddoppio degli ordinari termini di accertamento, disponendo che l’atto di contestazione può essere notificato entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello dell'utilizzo. Con lo stesso decreto, sono state previste sanzioni, per l'utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, nella misura dal 100 al 200% dei crediti o del 200% per gli importi superiori a 50mila euro per ciascun anno solare. Sanzioni per le quali non è possibile beneficiare della definizione agevolata.
I termini di accertamento – La norma distingue tra la contestazione dei crediti non spettanti o irregolarmente utilizzati, che va notificata con un atto entro gli ordinari termini di accertamento (quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione) e l'ipotesi di credito inesistente, che prevede sanzioni pesanti e la possibilità per l'ufficio di godere di un più ampio termine decadenziale (ottavo anno successivo a quello dell'utilizzo). Diventa fondamentale capire, ai fini della difesa del contribuente, se viene accertata l’inesistenza del credito o il suo indebito utilizzo. Il decreto legge che ha introdotto il raddoppio dei termini di accertamento, fa riferimento esplicito all'utilizzo dei crediti inesistenti e non, più in generale, a tutte le ipotesi di indebita compensazione. Trasmissione F24 – Ricordiamo che per la compensazione del credito IVA di importo superiore a € 5.000 è necessario utilizzare i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (Entratel o Fisconline). Inoltre dal 1° ottobre 2014 per effetto di quanto disposto dall’art. 11, comma 2, D.L. n. 66/2014, è stata prevista l’estensione dell’obbligo di utilizzare i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate e degli intermediari della riscossione convenzionati con la stessa per i versamenti dell’IVA, IRPEF, IRES, IRAP, addizionali, imposte sostitutive, ecc., contributi previdenziali/assistenziali, nonché dell’IMU, TASI e TARI, da effettuare tramite il mod. F24 anche con riferimento ai soggetti non titolari di partita IVA qualora si tratti di F24 a “saldo zero”.
Sanzione – Qualora non venga rispettata tale modalità di presentazione del modello F24 il legislatore non ha previsto una specifica sanzione. Al riguardo su fa presente che gli uffici dell’Agenzia delle Entrate stanno contestando la violazione (a norma dell’articolo 16 del D.Lgs. 472/1997), irrogando la pena da 258 a 2.065 euro prevista dall’articolo 11, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 471/1997, per ogni delega irregolarmente trasmessa.
SANZIONI TRIBUTARIE. CREDITI INESISTENTI E CREDITI ECCEDENTI
Il decreto di riforma delle sanzioni tributarie la cui entrata in vigore è stata posticipata al 01.01.2017 è intervenuto anche sull’articolo 13 del D.Lgs. 471/97 introducendo due commi, rispettivamente il 4 e 5, al fine di disciplinare sotto il profilo normativo le seguenti fattispecie: • utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore rispetto a quello spettante; • compensazione di un credito inesistente. Nel primo caso si applica la sanzione del 30%, mentre nel secondo opera la sanzione variabile dal 100 al 200 per cento della misura dei crediti stessi erroneamente utilizzati, senza che vi sia alcuna possibilità di definizione agevolata da parte del contribuente. Credito esistente utilizzato in misura eccedente Quello disciplinato dal comma 4 dell’art. 13 D.Lgs. 471/97 in versione post riforma è sicuramente un aspetto nuovo sotto il profilo legislativo, in quanto prima d’ora la fattispecie non era disciplinata, ma sulla cui applicazione praticata già l’Agenzia delle Entrate (Ris. 452/2008 e circ. 8/2009 par. 7.1) aveva avuto modo di chiarire che, nell’ipotesi in cui il contribuente abbia indebitamente compensato degli importi in eccedenza rispetto al plafond previsto dall’articolo 34 comma 1 L. 388/2000 si applica la sanzione del 30%. Su questo punto si registra altresì il concorde pensiero della Cassazione che in un recente arresto (Cass. 4.6.2015 n. 11522), ha avuto modo di ribadire che in caso di utilizzo in compensazione di un credito d’imposta in misura eccedente il plafond previsto per l’anno, si applica la sanzione del 30%, alla stregua di un omesso versamento. La vicenda al vaglio dei giudici di legittimità riguardava una srl che aveva utilizzato in compensazione un credito IVA in misura superiore rispetto al plafond previsto per l’annualità. In tale ipotesi la Cassazione confermò la validità del provvedimento di irrogazione di sanzione pari al 30% dell’importo utilizzato in compensazione in eccesso rispetto al plafond, ai sensi dell’art. 13, commi 1 e 2 del D.Lgs. 471/1997. Credito inesistente Nell’introdotto comma 5 del nuovo art. 13 D.Lgs. 471/97 viene ora definito legislativamente il concetto di “credito inesistente”, come quel credito in relazione al quale “manca in tutto od in parte il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatizzati” dell’Agenzia delle Entrate (ex art. 36 bis e ter del D.P.R. 600/73 e 54 bis D.P.R. 633/72). A giudizio dell’Amministrazione finanziaria, sono crediti “inesistenti” sia quelli artificiosamente costruiti o rappresentati (ossia quelli di natura dolosa) che quelli ritenuti erroneamente esistenti per fatto imputabile a titolo di colpa. Viceversa, diversamente dai crediti “inesistenti”, quelli “non spettanti” sono per loro natura esistenti, ma non fruibili in compensazione. Si tratta, nella sostanza, dell’ipotesi in cui viene utilizzato in tutto o in parte un credito che non c’è. Tale violazione è sanzionata come “indebita compensazione di crediti inesistenti” la cui penalità viene stabilita in modo proporzionale dal 100 al 200% dell’imposta erroneamente utilizzata in compensazione (ex art. 27 D.L. 185/2008 ora comma 5 D.Lgs. 471/97). Di converso, come specificato dalla nuova norma si ricava, che l’unica sanzione applicabile alle violazioni riscontrate con il controllo automatizzato (ex art. 36 bis D.P.R. 600/73) rimane quella indicata al comma 1 dell’articolo 13 D.Lgs. 471/97, ossia quella prevista per i ritardati ed omessi versamenti diretti (30%). In questi casi infatti normalmente l’errore è ascrivibile all’utilizzazione in compensazione di un credito “esistente”, ma non indicato in dichiarazione. Con l’introduzione delle nuova norma la cui decorrenza, è sempre bene ricordarlo, è stata differita al 01.01.2017, va segnalato anche il venir meno dell’aggravante per l’utilizzo in compensazione del credito inesistente di importo superiore ad € 50.000, prevista nella disciplina attualmente in vigore. Al superamento di tale tetto, quindi, non vi sarà, dopo l’entrata in vigore della riforma l’aumento fino al doppio della sanzione minima applicabile (applicabile quindi al 200%) del credito erroneamente compensato. Sul punto va ricordato che comunque fino al 31.12.2016, qualora sia superata la soglia stabilita di 50.000,00 euro per ciascun anno solare, la sanzione del 200% trova applicazione sull’intera compensazione indebitamente effettuata e non soltanto sull’importo superiore a 50.000,00 euro.
Sezioni Unite Civili della Cassazione, sentenza pubblicata il 2 ottobre 2015
È ammissibile l'impugnazione della cartella di pagamento (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e di cui il contribuente ha avuto conoscenza grazie all'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta da Equitalia. Lo hanno chiarito le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19704/2015.
Precisamente il collegio esteso ha enunciato il seguente principio di diritto: - “è ammissibile l'impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell'ultima parte del terzo comma dell'art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”.
La CTR della Puglia, in sede di rinvio, dovrà tenere conto del suddetto principio nel decidere il caso di una SAS che ha impugnato una cartella di pagamento per IVA e sanzioni.
La società ha proposto ricorso deducendo di aver appreso dell’esistenza della cartella solamente grazie all’estratto di ruolo rilasciato, su sua richiesta, dalla competente concessionaria della riscossione.
L’adita CTP di Bari, ritenendo che il ricorso riguardasse solo formalmente la cartella, mentre in realtà l’opposizione riguardava l’estratto di ruolo, respinse l’impugnazione ritenendo che tale documento fosse un “atto interno dell’Agente della riscossione”, non rientrante tra quelli tassativamente indicati dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/92. Successivamente la CTR della Puglia confermò la decisione del primo giudice. Dal che il ricorso per Cassazione che è stato assegnato alla Sezione VI-T, la quale ha ritenuto opportuno rimettere la questione alle Sezioni Unite (ordinanza interlocutoria n. 16055/2014) in virtù del contrasto giurisprudenziale – ora ricomposto – circa l’autonoma impugnabilità del ruolo.
In un passaggio delle articolate motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite si legge che l’impugnazione della cartella per mancanza di (valida) notificazione proposta non unitamente all’impugnazione dell’atto successivo notificato non comporta un aggravio del contenzioso se si considera che l’impugnazione della cartella, ancorché “ritardata”, interverrebbe in ogni caso al momento della notifica dell’atto successivo, mentre la proposizione “anticipata” di essa potrebbe evitare l’emissione e la notifica (quindi l’impugnazione) dell’atto successivo e perciò indurre un possibile effetto deflattivo. Anche a voler paventare un modesto incremento del contenzioso, ciò non potrebbe comunque giustificare una compressione del diritto alla tutela giurisdizionale consistente nel posticipare la possibilità di accesso a essa a un momento successivo al sorgere dell’interesse ad agire e perciò a un momento in cui è possibile che alcuni effetti lesivi dell’atto si siano già prodotti.
Ai sensi dell’articolo 4, comma 1 del DPR 322/98, “i soggetti […] obbligati ad operare ritenute alla fonte, che corrispondono compensi, sotto qualsiasi forma, soggetti a ritenute alla fonte secondo le disposizioni dello stesso titolo, nonché gli intermediari e gli altri soggetti che intervengono in operazioni fiscalmente rilevanti tenuti alla comunicazione di dati ai sensi di specifiche disposizioni normative, presentano annualmente una dichiarazione unica, anche ai fini dei contributi dovuti all'Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.) e dei premi dovuti all'Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.), relativa a tutti i percipienti, redatta in conformità ai modelli approvati con i provvedimenti di cui all'articolo 1, comma 1”.
Dalla disposizione in oggetto emerge chiaramente che il modello 770 deve essere presentato dai contribuenti: - che hanno effettuato ritenute alla fonte sui redditi da lavoro dipendente o assimilati, nonché sui redditi da lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi; - che hanno effettuato ritenute su redditi diversi da quelli sopra richiamati (ed in tal caso dovrà essere presentato il modello 770 Ordinario); - che hanno corrisposto contributi previdenziali e assistenziali all’Inps, Inpdap, Inpdai e Inail. La sanzione Le istruzioni del modello 770/2015 chiariscono quanto segue: “si ricorda che l’art. 4, comma 1, del D.P.R. n. 322/98, prevede l’unicità della dichiarazione dei sostituti d’imposta anche ai fini dei contributi dovuti all’INPS, all’INPS Gestione Dipendenti Pubblici e all’INAIL. Pertanto è sanzionabile la violazione dell’obbligo dichiarativo anche qualora sia previsto ai soli fini contributivi”.
Possibile presentare la dichiarazione tardiva entro 90 giorni dal termine previsto: decorso tale termine, invece, la dichiarazione sarà considerata, in ogni caso, omessa.
La dichiarazione tardiva Nel caso in cui la dichiarazione sia presentata entro 90 giorni dalla scadenza, la sanzione prevista è pari a un importo compreso tra 258 e 2.065 euro. È tuttavia possibile versare la sanzione con ravvedimento: in questo caso la sanzione è ridotta a 1/10 del minimo, ovvero 26 euro. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni relative alle eventuali violazioni riguardanti il versamento delle ritenute.
L’omessa dichiarazione Superato il termine di 90 giorni, la dichiarazione si considera in ogni caso omessa.
Le sanzioni in questo caso previste sono le seguenti: - omessa presentazione della dichiarazione (dal 120% al 240% dell’ammontare delle ritenute non versate, con un minimo di 258 euro); - sanzione di 51 euro per ogni percipiente che non è stato indicato in dichiarazione che è stata presentata (o che avrebbe dovuto essere presentata); - sanzione per l’eventuale tardivo/omesso versamento delle ritenute.
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