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    Originariamente inviato da strelizia Visualizza il messaggio
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    e ma tu non li leggi gli articoli che posto che vuoi da me....(negli articoli c'è molto ...)

    9 settembre 2010

    Chi era, che cosa ha fatto e che cosa andava davvero cercando l'avvocato Giorgio Ambrosoli

    di Andrea Franceschi


    «Io la volevo salvare ma da questo momento non la salvo più perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto, perché lei è un cornuto e bastardo». Fa venire i brividi la registrazione dell'ultima telefonata tra Giorgio Ambrosoli e il suo killer William J. Aricò. È il 12 gennaio del 1979. Esattamente sei mesi dopo, alla mezzanotte dell'11 giugno 1979, i due si incontreranno per la prima e l'ultima volta. «È lei il signor Ambrosoli», chiede Aricò all'avvocato che sta rincasando. «Si risponde lui». «Mi scusi signor Ambrosoli», dice lui prima di eplodere tre colpi con la sua 357 magnum.Per capire le ragioni di questo assassinio bisogna tornare indietro di cinque anni. Al settembre del 1974 quando il governatore della Banca d'Italia Guido Carli affida all'avvocato milanese l'incarico di commissario liquidatore della Banca privata italiana. L'istituto di credito che fa capo a Michele Sindona era nato appena due mesi prima, in un estremo tentativo di salvataggio, dalla fusione della Banca Unione e della Banca Privata Finanziaria. Il 27 settembre 1974 viene dichiarato insolvente. Il buco accertato è di 274 miliardi di lire, ma la bancarotta dell' intero gruppo che a Sindona faceva capo aggira intorno ai mille miliardi.Fare luce su questa vicenda è il compito dell'avvocato milanese, esperto in liquidazioni coatte amministrative. È chiaro fin da subito che non è una passeggiata. Non tanto per la difficoltà di orientarsi nel mare di carte e documenti contabili. Quanto perché bisogna resistere alle pressioni dei poteri forti che sono legati all'ex commercialista di Patti.Sindona può vantare amicizie molto influenti in tutti gli ambienti che contano: dal Vaticano (uno tra tutti il controverso monsignor Paul Marcinkus che guida lo Ior) alla massoneria deviata (Licio Gelli e la P2). Dalla criminalità organizzata: in Italia e negli Stati Uniti alla politica. Soprattutto la Democrazia cristiana e il suo uomo forte: Giulio Andreotti. Durante un ricevimento al Saint Regis di New York quest'ultimo arriverà a definirlo «salvatore della lira».Ambrosoli però non si piega. Scartabellando le carte arriva a ricostruire la ragnatela di affari che girano intorno a Michele Sindona. Scopre che dietro il crack l'impero del banchiere siciliano, per anni osannato in Italia e negli Stati Uniti (Time gli dedica persino una copertina ndr.), ci sono strani traffici e operazioni illegali.In un'intervista rilasciata alla Rai, lo stesso avvocato spiega con chiarezza alcuni aspetti del funzionamento del sistema Sindona. «I soldi dei risparmiatori italiani vengono utilizzati al soprattutto allo scopo di finanziare l'attività del gruppo. Con il sistema delle cosiddette "operazioni fiduciarie" vengono girati su conti correnti di banche estere, a cui viene dato il compito di girarli a società "di comodo" riconducibili al gruppo Sindona». È il sistema delle scatole cinesi che farà scuola tra tanti capitalisti (o pseudo tali) del Belpaese.Ci sono anche operazioni poco chiare a Piazza Affari. L'enorme liquidità a disposizione del banchiere viene usata per gonfiare artificialmente il valore delle azioni delle banche di Sindona, oltre che delle società da lui partecipate per ottenere illecite plusvalenze. Per non parlare delle spericolate speculazioni sulle valute e sulle commodities. L'ex commercialista è un precursore in quelle acrobazie finanziarie che oggi conosciamo bene (anche dalle vicende della banca privata italiana - ricorda il figlio di Ambrosoli Umberto in un intervista a Radio24 - è nata l'esigenza di approvare una legislzaione comune a livello internazionale su questi temi).Più Ambrosoli va avanti con il suo lavoro, più si intensificano le pressioni su di lui. Sindona mette in campo tutte le sue conoscenze perché si arrivi a un salvataggio della sua banca (con i soldi dei contribuenti). Il suo referente numero uno è il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, cui Sindona, attraverso intermediari, chiede di intercedere presso la Banca d'Italia. Il senatore a vita stesso non nega di aver ricevuto queste richieste, ma dice di aver sempre rifiutato di esaudirle.Di diverso avviso l'ex maresciallo della Guardia di finanza Silvio Novembre. Al processo che vedeva imputato il senatore a vita come mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli dichiarò: «All'avvocato Ambrosoli venne riferito che la persona più interessata a salvare la Banca privata era l'onorevole Andreotti: era lui che patrocinava i tentativi di salvataggio. Glielo dissero sia l'avvocato Guzzi, difensore di Sindona, sia l'ingegner Federici, amministratore anziano del Banco di Roma. E fra il '78 e il '79 anche il genero di Sindona, Piersandro Magnoni, gli disse che dietro i tentativi c'erano Andreotti e Fanfani».Il nome di Andreotti salta fuori anche quando, a partire dal 1978, iniziano le telefonate con le minacce di morte. In una delle chiamate registrate il killer William J. Aricò dice ad Ambrosoli che il presidente del Consiglio lo ritiene colpevole del mancato salvataggio della banca. La risposta dell'avvocato è ironica: «Io cosa ci posso fare, telefono al presidente del Consiglio: "guardi che lei si sbaglia"». La successiva chiamata sarà quella in cui Aricò condanna definitivamente a morte l'avvocato milanese.«Dopo la morte di Ambrosoli - ricorda a Radio 24 Gherardo Colombo che fu giudice istruttore nell'inchiesta per l'omicidio dell'avvocato - per la precisione venti giorni dopo, nell'agosto del 1979, Michele Sindona organizzò dagli Stati Uniti un finto sequestro organizzato da un gruppo di terroristi. In realtà, accompagnato da mafiosi e massoni, si nascose clandestinamente in Sicilia dove rimase per due mesi incontrando i personaggi più di spicco della mafia italiana e italoamericana».Per Antonello Piroso, giornalista de La7, che alla storia di Ambrosoli ha dedicato un monologo che andrà in onda prima serata domenica prossima, «solo chi non conosce la storia dell'omicidio» può stupirsi della frase del senatore Andreotti («Ambrosoli se l'andava cercando»). «Quando l`avvocato Guzzi, legale di Sindona, disse ad Andreotti che Ambrosoli ed Enrico Cuccia erano stati minacciati di morte, annotò sul suo diario: "da Andreotti nessuna reazione". Non solo - aggiunge - anche Andreotti teneva un diario: ebbene, lui che pure vi annotava particolari quali l'ordine di arrivo di una corsa ippica alle Capannelle, il giorno in cui si sparse la notizia dell'omicidio di Ambrosoli, scrisse una sola frase: "Oggi ho incontrato il presidente della Tanzania, Nyerere". Solo quelle parole, e nient`altro. Ogni altro commento, a questo punto, sarebbe superfluo».

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      e ma tu non li leggi gli articoli che posto che vuoi da me....(negli articoli c'è molto ...)

      9 settembre 2010

      Chi era, che cosa ha fatto e che cosa andava davvero cercando l'avvocato Giorgio Ambrosoli

      di Andrea Franceschi



      «Io la volevo salvare ma da questo momento non la salvo più perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto, perché lei è un cornuto e bastardo». Fa venire i brividi la registrazione dell'ultima telefonata tra Giorgio Ambrosoli e il suo killer William J. Aricò. È il 12 gennaio del 1979. Esattamente sei mesi dopo, alla mezzanotte dell'11 giugno 1979, i due si incontreranno per la prima e l'ultima volta. «È lei il signor Ambrosoli», chiede Aricò all'avvocato che sta rincasando. «Si risponde lui». «Mi scusi signor Ambrosoli», dice lui prima di eplodere tre colpi con la sua 357 magnum.Per capire le ragioni di questo assassinio bisogna tornare indietro di cinque anni. Al settembre del 1974 quando il governatore della Banca d'Italia Guido Carli affida all'avvocato milanese l'incarico di commissario liquidatore della Banca privata italiana. L'istituto di credito che fa capo a Michele Sindona era nato appena due mesi prima, in un estremo tentativo di salvataggio, dalla fusione della Banca Unione e della Banca Privata Finanziaria. Il 27 settembre 1974 viene dichiarato insolvente. Il buco accertato è di 274 miliardi di lire, ma la bancarotta dell' intero gruppo che a Sindona faceva capo aggira intorno ai mille miliardi.Fare luce su questa vicenda è il compito dell'avvocato milanese, esperto in liquidazioni coatte amministrative. È chiaro fin da subito che non è una passeggiata. Non tanto per la difficoltà di orientarsi nel mare di carte e documenti contabili. Quanto perché bisogna resistere alle pressioni dei poteri forti che sono legati all'ex commercialista di Patti.Sindona può vantare amicizie molto influenti in tutti gli ambienti che contano: dal Vaticano (uno tra tutti il controverso monsignor Paul Marcinkus che guida lo Ior) alla massoneria deviata (Licio Gelli e la P2). Dalla criminalità organizzata: in Italia e negli Stati Uniti alla politica. Soprattutto la Democrazia cristiana e il suo uomo forte: Giulio Andreotti. Durante un ricevimento al Saint Regis di New York quest'ultimo arriverà a definirlo «salvatore della lira».Ambrosoli però non si piega. Scartabellando le carte arriva a ricostruire la ragnatela di affari che girano intorno a Michele Sindona. Scopre che dietro il crack l'impero del banchiere siciliano, per anni osannato in Italia e negli Stati Uniti (Time gli dedica persino una copertina ndr.), ci sono strani traffici e operazioni illegali.In un'intervista rilasciata alla Rai, lo stesso avvocato spiega con chiarezza alcuni aspetti del funzionamento del sistema Sindona. «I soldi dei risparmiatori italiani vengono utilizzati al soprattutto allo scopo di finanziare l'attività del gruppo. Con il sistema delle cosiddette "operazioni fiduciarie" vengono girati su conti correnti di banche estere, a cui viene dato il compito di girarli a società "di comodo" riconducibili al gruppo Sindona». È il sistema delle scatole cinesi che farà scuola tra tanti capitalisti (o pseudo tali) del Belpaese.Ci sono anche operazioni poco chiare a Piazza Affari. L'enorme liquidità a disposizione del banchiere viene usata per gonfiare artificialmente il valore delle azioni delle banche di Sindona, oltre che delle società da lui partecipate per ottenere illecite plusvalenze. Per non parlare delle spericolate speculazioni sulle valute e sulle commodities. L'ex commercialista è un precursore in quelle acrobazie finanziarie che oggi conosciamo bene (anche dalle vicende della banca privata italiana - ricorda il figlio di Ambrosoli Umberto in un intervista a Radio24 - è nata l'esigenza di approvare una legislzaione comune a livello internazionale su questi temi).Più Ambrosoli va avanti con il suo lavoro, più si intensificano le pressioni su di lui. Sindona mette in campo tutte le sue conoscenze perché si arrivi a un salvataggio della sua banca (con i soldi dei contribuenti). Il suo referente numero uno è il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, cui Sindona, attraverso intermediari, chiede di intercedere presso la Banca d'Italia. Il senatore a vita stesso non nega di aver ricevuto queste richieste, ma dice di aver sempre rifiutato di esaudirle.Di diverso avviso l'ex maresciallo della Guardia di finanza Silvio Novembre. Al processo che vedeva imputato il senatore a vita come mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli dichiarò: «All'avvocato Ambrosoli venne riferito che la persona più interessata a salvare la Banca privata era l'onorevole Andreotti: era lui che patrocinava i tentativi di salvataggio. Glielo dissero sia l'avvocato Guzzi, difensore di Sindona, sia l'ingegner Federici, amministratore anziano del Banco di Roma. E fra il '78 e il '79 anche il genero di Sindona, Piersandro Magnoni, gli disse che dietro i tentativi c'erano Andreotti e Fanfani».Il nome di Andreotti salta fuori anche quando, a partire dal 1978, iniziano le telefonate con le minacce di morte. In una delle chiamate registrate il killer William J. Aricò dice ad Ambrosoli che il presidente del Consiglio lo ritiene colpevole del mancato salvataggio della banca. La risposta dell'avvocato è ironica: «Io cosa ci posso fare, telefono al presidente del Consiglio: "guardi che lei si sbaglia"». La successiva chiamata sarà quella in cui Aricò condanna definitivamente a morte l'avvocato milanese.«Dopo la morte di Ambrosoli - ricorda a Radio 24 Gherardo Colombo che fu giudice istruttore nell'inchiesta per l'omicidio dell'avvocato - per la precisione venti giorni dopo, nell'agosto del 1979, Michele Sindona organizzò dagli Stati Uniti un finto sequestro organizzato da un gruppo di terroristi. In realtà, accompagnato da mafiosi e massoni, si nascose clandestinamente in Sicilia dove rimase per due mesi incontrando i personaggi più di spicco della mafia italiana e italoamericana».Per Antonello Piroso, giornalista de La7, che alla storia di Ambrosoli ha dedicato un monologo che andrà in onda prima serata domenica prossima, «solo chi non conosce la storia dell'omicidio» può stupirsi della frase del senatore Andreotti («Ambrosoli se l'andava cercando»). «Quando l`avvocato Guzzi, legale di Sindona, disse ad Andreotti che Ambrosoli ed Enrico Cuccia erano stati minacciati di morte, annotò sul suo diario: "da Andreotti nessuna reazione". Non solo - aggiunge - anche Andreotti teneva un diario: ebbene, lui che pure vi annotava particolari quali l'ordine di arrivo di una corsa ippica alle Capannelle, il giorno in cui si sparse la notizia dell'omicidio di Ambrosoli, scrisse una sola frase: "Oggi ho incontrato il presidente della Tanzania, Nyerere". Solo quelle parole, e nient`altro. Ogni altro commento, a questo punto, sarebbe superfluo».
      Ho risposto prima che postassi l'articolo...

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        Io li leggo i tuoi articoli di solito...

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          Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
          e ma tu non li leggi gli articoli che posto che vuoi da me....(negli articoli c'è molto ...)

          9 settembre 2010

          Chi era, che cosa ha fatto e che cosa andava davvero cercando l'avvocato Giorgio Ambrosoli

          di Andrea Franceschi



          «Io la volevo salvare ma da questo momento non la salvo più perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto, perché lei è un cornuto e bastardo». Fa venire i brividi la registrazione dell'ultima telefonata tra Giorgio Ambrosoli e il suo killer William J. Aricò. È il 12 gennaio del 1979. Esattamente sei mesi dopo, alla mezzanotte dell'11 giugno 1979, i due si incontreranno per la prima e l'ultima volta. «È lei il signor Ambrosoli», chiede Aricò all'avvocato che sta rincasando. «Si risponde lui». «Mi scusi signor Ambrosoli», dice lui prima di eplodere tre colpi con la sua 357 magnum.Per capire le ragioni di questo assassinio bisogna tornare indietro di cinque anni. Al settembre del 1974 quando il governatore della Banca d'Italia Guido Carli affida all'avvocato milanese l'incarico di commissario liquidatore della Banca privata italiana. L'istituto di credito che fa capo a Michele Sindona era nato appena due mesi prima, in un estremo tentativo di salvataggio, dalla fusione della Banca Unione e della Banca Privata Finanziaria. Il 27 settembre 1974 viene dichiarato insolvente. Il buco accertato è di 274 miliardi di lire, ma la bancarotta dell' intero gruppo che a Sindona faceva capo aggira intorno ai mille miliardi.Fare luce su questa vicenda è il compito dell'avvocato milanese, esperto in liquidazioni coatte amministrative. È chiaro fin da subito che non è una passeggiata. Non tanto per la difficoltà di orientarsi nel mare di carte e documenti contabili. Quanto perché bisogna resistere alle pressioni dei poteri forti che sono legati all'ex commercialista di Patti.Sindona può vantare amicizie molto influenti in tutti gli ambienti che contano: dal Vaticano (uno tra tutti il controverso monsignor Paul Marcinkus che guida lo Ior) alla massoneria deviata (Licio Gelli e la P2). Dalla criminalità organizzata: in Italia e negli Stati Uniti alla politica. Soprattutto la Democrazia cristiana e il suo uomo forte: Giulio Andreotti. Durante un ricevimento al Saint Regis di New York quest'ultimo arriverà a definirlo «salvatore della lira».Ambrosoli però non si piega. Scartabellando le carte arriva a ricostruire la ragnatela di affari che girano intorno a Michele Sindona. Scopre che dietro il crack l'impero del banchiere siciliano, per anni osannato in Italia e negli Stati Uniti (Time gli dedica persino una copertina ndr.), ci sono strani traffici e operazioni illegali.In un'intervista rilasciata alla Rai, lo stesso avvocato spiega con chiarezza alcuni aspetti del funzionamento del sistema Sindona. «I soldi dei risparmiatori italiani vengono utilizzati al soprattutto allo scopo di finanziare l'attività del gruppo. Con il sistema delle cosiddette "operazioni fiduciarie" vengono girati su conti correnti di banche estere, a cui viene dato il compito di girarli a società "di comodo" riconducibili al gruppo Sindona». È il sistema delle scatole cinesi che farà scuola tra tanti capitalisti (o pseudo tali) del Belpaese.Ci sono anche operazioni poco chiare a Piazza Affari. L'enorme liquidità a disposizione del banchiere viene usata per gonfiare artificialmente il valore delle azioni delle banche di Sindona, oltre che delle società da lui partecipate per ottenere illecite plusvalenze. Per non parlare delle spericolate speculazioni sulle valute e sulle commodities. L'ex commercialista è un precursore in quelle acrobazie finanziarie che oggi conosciamo bene (anche dalle vicende della banca privata italiana - ricorda il figlio di Ambrosoli Umberto in un intervista a Radio24 - è nata l'esigenza di approvare una legislzaione comune a livello internazionale su questi temi).Più Ambrosoli va avanti con il suo lavoro, più si intensificano le pressioni su di lui. Sindona mette in campo tutte le sue conoscenze perché si arrivi a un salvataggio della sua banca (con i soldi dei contribuenti). Il suo referente numero uno è il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, cui Sindona, attraverso intermediari, chiede di intercedere presso la Banca d'Italia. Il senatore a vita stesso non nega di aver ricevuto queste richieste, ma dice di aver sempre rifiutato di esaudirle.Di diverso avviso l'ex maresciallo della Guardia di finanza Silvio Novembre. Al processo che vedeva imputato il senatore a vita come mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli dichiarò: «All'avvocato Ambrosoli venne riferito che la persona più interessata a salvare la Banca privata era l'onorevole Andreotti: era lui che patrocinava i tentativi di salvataggio. Glielo dissero sia l'avvocato Guzzi, difensore di Sindona, sia l'ingegner Federici, amministratore anziano del Banco di Roma. E fra il '78 e il '79 anche il genero di Sindona, Piersandro Magnoni, gli disse che dietro i tentativi c'erano Andreotti e Fanfani».Il nome di Andreotti salta fuori anche quando, a partire dal 1978, iniziano le telefonate con le minacce di morte. In una delle chiamate registrate il killer William J. Aricò dice ad Ambrosoli che il presidente del Consiglio lo ritiene colpevole del mancato salvataggio della banca. La risposta dell'avvocato è ironica: «Io cosa ci posso fare, telefono al presidente del Consiglio: "guardi che lei si sbaglia"». La successiva chiamata sarà quella in cui Aricò condanna definitivamente a morte l'avvocato milanese.«Dopo la morte di Ambrosoli - ricorda a Radio 24 Gherardo Colombo che fu giudice istruttore nell'inchiesta per l'omicidio dell'avvocato - per la precisione venti giorni dopo, nell'agosto del 1979, Michele Sindona organizzò dagli Stati Uniti un finto sequestro organizzato da un gruppo di terroristi. In realtà, accompagnato da mafiosi e massoni, si nascose clandestinamente in Sicilia dove rimase per due mesi incontrando i personaggi più di spicco della mafia italiana e italoamericana».Per Antonello Piroso, giornalista de La7, che alla storia di Ambrosoli ha dedicato un monologo che andrà in onda prima serata domenica prossima, «solo chi non conosce la storia dell'omicidio» può stupirsi della frase del senatore Andreotti («Ambrosoli se l'andava cercando»). «Quando l`avvocato Guzzi, legale di Sindona, disse ad Andreotti che Ambrosoli ed Enrico Cuccia erano stati minacciati di morte, annotò sul suo diario: "da Andreotti nessuna reazione". Non solo - aggiunge - anche Andreotti teneva un diario: ebbene, lui che pure vi annotava particolari quali l'ordine di arrivo di una corsa ippica alle Capannelle, il giorno in cui si sparse la notizia dell'omicidio di Ambrosoli, scrisse una sola frase: "Oggi ho incontrato il presidente della Tanzania, Nyerere". Solo quelle parole, e nient`altro. Ogni altro commento, a questo punto, sarebbe superfluo».
          Quel film l'ho visto...

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            L’articolo 6 del decreto ACE (decreto MEF 14.03.2014) stabilisce, per le società e per gli enti che partecipano al consolidato nazionale, che l’eventuale eccedenza di agevolazione ACE rispetto all’importo determinato dalla singola società sia “trasferita alla fiscal unit, nei limiti di quanto trova capienza a livello di gruppo, ed è ammessa in deduzione dal reddito complessivo globale netto di gruppo fino a concorrenza dello stesso”. Nella recente Circolare n. 12/E/2014, l'Agenzia delle Entrate precisa che l’eccedenza non trasferita, in quanto non trova capienza a livello di gruppo, risulterà riportabile nei periodi d’imposta successivi dalle singole società che compongono il consolidato fiscale, e potrà essere trasferita nuovamente nei periodi d’imposta successivi alla fiscal unit. L'attribuzione delle eccedenze alla fiscal unit è obbligatoria; in caso contrario, tali importi, nell'ipotesi in cui vi sia capienza a livello di gruppo, non potranno essere riportate in diminuzione nei periodi seguenti dalle società appartenenti al consolidato. Si tratta di un'interpretazione antielusiva, che evita la tentazione di scegliere il consolidato con il solo fine del risparmio d'imposta.

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              L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato il 21 febbraio la Circolare n. 3/E/2014, con la quale fornisce chiarimenti sugli effetti dell’inefficacia o dell’interruzione del regime di tassazione di gruppo per l’insieme delle società coinvolte nel consolidato. In particolare, viene precisato che, se ad un gruppo d’imprese viene disconosciuta, a seguito di accertamento, l’opzione per il regime di consolidato nazionale, il gruppo può chiedere, in sede di accertamento con adesione, il riconoscimento dei versamenti d’imposta precedentemente effettuati dalla società capogruppo e, pertanto, la rideterminazione delle imposte da recuperare a tassazione a causa del venir meno della fiscal unit.

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                A decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31.12.2014 (2015, per i soggetti con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare):
                • l'opzione per il regime della trasparenza fiscale;
                • l'opzione per il regime del consolidato fiscale nazionale;
                • l'opzione per il regime della tonnage tax;
                • l'opzione IRAP, cioè l'opzione da parte dei soggetti IRPEF per la determinazione della base imponibile IRAP con le regole previste per le società di capitali;

                non dovranno più essere effettuate con apposita comunicazione, ma direttamente nella dichiarazione dei redditi/IRAP presentata nel periodo d'imposta a partire dal quale l'opzione è esercitata.
                E' quanto ha stabilito l'art. 16 del Decreto legislativo semplificazioni fiscali (D.Lgs. n. 175/2014), le cui novità sono state recepite nel modello UNICO 2015.

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                  Modifiche in arrivo per i soggetti aderenti al regime del Consolidato fiscale.
                  Con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 6 novembre 2015, viene data attuazione al decreto per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese (Dlgs n. 147/2015), che ha esteso la possibilità di esercitare l’opzione per il regime di tassazione di gruppo anche alle società estere prive di una stabile organizzazione in Italia, purché residenti in Stati appartenenti all’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo con cui l’Italia ha stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni.
                  Cosa cambia dopo il decreto internazionalizzazione
                  Il nuovo articolo 117 del Tuir, modificato dal Dlgs n. 147/2015, consente alle “sorelle”, sia società residenti in Italia, sia stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di società residenti in Stati nell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, di consolidare le proprie basi imponibili. La modifica normativa ha lo scopo di rendere compatibili le disposizioni in materia di accesso ai regimi di tassazione di gruppo con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

                  Le caratteristiche del nuovo modello
                  Il provvedimento approva la nuova modulistica che permette ai soggetti esteri privi di una stabile organizzazione in Italia, di designare una controllata ad esercitare l’opzione per il consolidato e ad assumere così la qualità di società consolidante.
                  In questo modo le società controllanti non residenti, purché identificate nel territorio dello Stato, possono presentare il Modello di designazione. Con l’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo da parte della società designata, la società non residente assume le responsabilità previste dal Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) per le società o enti controllanti.
                  Il modello va trasmesso per via telematica all’Agenzia delle Entrate.

                  Ammessa una sola designazione
                  Il provvedimento chiarisce che la controllante non residente può designare una sola controllata e che la designazione mantiene la propria validità anche nelle ipotesi di rinnovo dell’opzione per la tassazione di gruppo. La controllata designata però non può consolidare società da cui sia essa stessa controllata. Il Provvedimento chiarisce la nozione di controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, numero 1) del Codice Civile, in presenza dei requisiti indicati dall’articolo 120 del Tuir.

                  Le nuove disposizioni e i consolidati già in corso
                  Il provvedimento disciplina anche il transitorio. Particolari disposizioni sono previste, infatti, per le opzioni già in corso alla data di entrata in vigore del decreto internazionalizzazione, attenendosi al criterio di consentire, sussistendone i presupposti di legge, l’eventuale inclusione nel regime di tassazione di gruppo delle stabili organizzazioni o delle controllate di soggetti esteri senza interruzione dei consolidati esistenti.

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                    Modifiche in arrivo per i soggetti aderenti al regime del Consolidato fiscale.
                    Con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 6 novembre 2015, viene data attuazione al decreto per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese (Dlgs n. 147/2015), che ha esteso la possibilità di esercitare l’opzione per il regime di tassazione di gruppo anche alle società estere prive di una stabile organizzazione in Italia, purché residenti in Stati appartenenti all’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo con cui l’Italia ha stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni.
                    Cosa cambia dopo il decreto internazionalizzazione
                    Il nuovo articolo 117 del Tuir, modificato dal Dlgs n. 147/2015, consente alle “sorelle”, sia società residenti in Italia, sia stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di società residenti in Stati nell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, di consolidare le proprie basi imponibili. La modifica normativa ha lo scopo di rendere compatibili le disposizioni in materia di accesso ai regimi di tassazione di gruppo con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

                    Le caratteristiche del nuovo modello
                    Il provvedimento approva la nuova modulistica che permette ai soggetti esteri privi di una stabile organizzazione in Italia, di designare una controllata ad esercitare l’opzione per il consolidato e ad assumere così la qualità di società consolidante.
                    In questo modo le società controllanti non residenti, purché identificate nel territorio dello Stato, possono presentare il Modello di designazione. Con l’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo da parte della società designata, la società non residente assume le responsabilità previste dal Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) per le società o enti controllanti.
                    Il modello va trasmesso per via telematica all’Agenzia delle Entrate.


                    Ammessa una sola designazione
                    Il provvedimento chiarisce che la controllante non residente può designare una sola controllata e che la designazione mantiene la propria validità anche nelle ipotesi di rinnovo dell’opzione per la tassazione di gruppo. La controllata designata però non può consolidare società da cui sia essa stessa controllata. Il Provvedimento chiarisce la nozione di controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, numero 1) del Codice Civile, in presenza dei requisiti indicati dall’articolo 120 del Tuir.


                    Le nuove disposizioni e i consolidati già in corso
                    Il provvedimento disciplina anche il transitorio. Particolari disposizioni sono previste, infatti, per le opzioni già in corso alla data di entrata in vigore del decreto internazionalizzazione, attenendosi al criterio di consentire, sussistendone i presupposti di legge, l’eventuale inclusione nel regime di tassazione di gruppo delle stabili organizzazioni o delle controllate di soggetti esteri senza interruzione dei consolidati esistenti.
                    Ultima modifica di ROL; 18-11-2015, 17:32.

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                      http://www.agenziaentrate.gov.it/wps...4cbbd2bbb63c4b

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                      Sto operando...
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