La quantificazione e la valutazione delle rimanenze finali di magazzino è una delle operazioni più
complesse e delicate tra quelle necessarie per la chiusura del bilancio.
Un procedimento da svolgere in più fasi, che richiedono l’accertamento delle quantità presenti in magazzino, l’attribuzione ad esse di un dato valore e il confronto di questo con quello ottenibile in base alle norme fiscali.
Per la valutazione e la gestione del magazzino può essere adottata apposita contabilità, peraltro resa obbligatoria dalla normativa fiscale al superamento di determinate soglie
di ricavi e rimanenze finali. (studiare i limiti)
Il valore del magazzino da iscrivere in bilancio può essere ottenuto attraverso vari metodi che però possono condurre a risultati molto differenti, non di rado distinti da quelli previsti dalle norme fiscali.
Per le imprese non dotate di contabilità di magazzino, il primo passo da compiere per calcolarne il
valore consiste nel verificare le quantità dei “beni presenti nei depositi”.
Si tratta, in estrema sintesi, di suddividere i beni in categorie omogenee, distinguendo le materie prime o merci da eventuali semilavorati, beni in corso di lavorazione e prodotti finiti, per
poi determinare le quantità in giacenza relative a ciascuna categoria.
In poche parole, occorre redigere un inventario dei beni presenti in magazzino (Da notare che anche laddove esista una contabilità di magazzino, che quindi rileva le quantità caricate e scaricate dal singolo deposito, il dato contabile può comunque differire dalle reali giacenze a causa dei c.d. cali dovuti alle movimentazioni o lavorazioni di tali beni o a eventuali furti o distruzioni degli stessi.
Per tali motivi, anche le imprese più strutturate non possono rinunciare a periodici inventari pur
potendo, grazie alla contabilità di magazzino, ridurre la frequenza degli stessi.)
Una volta accertate le quantità presenti in magazzino si pone il problema della valorizzazione
delle stesse.
Sul versante civilistico, l’art. 2426, c. 1, nn. 1 e 9, stabilisce che le rimanenze debbano essere valutate inbase al costo:
=> di acquisto, in caso di merci, materie prime e semilavorati;
=> di produzione, relativamente a semilavorati prodotti internamente, beni in corso di lavorazione e prodotti finiti.
Per quanto riguarda il calcolo del costo dei beni fungibili, il successivo n. 10, prevede che esso possa essere effettuato in base al metodo:
=> della media ponderata;
=> primo entrato, primo uscito (c.d. FIFO);
=> ultimo entrato, primo uscito (c.d. LIFO).
(Se però il risultato in tal modo ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata in nota integrativa distintamente per singola categoria di beni.)
NB: se il valore di mercato è minore la valutazione avverrà tale minor valore.
Qui le sottodamande potrebbero essere:
--> Da cosa è composto il costo di produzione
--> Da cosa è composto il costo di acquisto
--> Ripercussione sull’utile di esercizio in un contesto di prezzi crescenti e decrescenti delle diverse valutazioni
A livello fiscale non vi è la distinzione tra beni fungibili e beni infungibili ed è presente un valore minimo al di sotto del quale (generalmente) non si può andare
Se l’impresa adotta il criterio del costo specifico, tale criterio è pienamente valido anche sotto il profilo fiscale (quindi si può andare anche al di sotto del valore minimo fiscale)
Se l’impresa valuta le rimanenze con il criterio costo medio ponderato, fifo, lifo e sue varianti, il criterio civilistico adottato ha piena valenza anche ai fini fiscali
Se l’impresa adotta un altro qualsiasi criterio (che non siano quelli indicati dal legislatore civilistico) il valore delle rimanenze non può andare al di sotto di un VALORE MINIMO : dato dal LIFO SCATTI ANNUALE.(studiatevi il funzionamento)…vi riporto solo la sottodomanda….
ATTENZIONE : se il valore desunto dall’andamento del mercato dell’ultimo mese è minore, il valore minimo si determina in modo particolare….bisogna moltiplicare l’intera quantità dei beni (quindi indipendentemente dal periodo di formazione) per il valore normale
(valore normale rilevante ai fini fiscali per le rimanenze : prezzo da sostenere per la ricostruzione del magazzino in base alla media dei prezzi dell’ultimo mese del periodo d’imposta
POI ALTRA DOMANDA RIGUARDA LA SVALUTAZIONE.
La svalutazione fiscale si può effettuare solo quando il prezzo di mercato (valore unitario medio) si sia ridotto rispetto al costo e SPETTA AL CONTRIBUENTE DIMOSTRARE DOCUMENTALMENTE L’EFFETTIVO MINOR VALORE (es successiva vendita ad un prezzo inferiore)
NB: secondo l’agenzia la svalutazione fiscale delle rimanenze valutate al costo specifico non è fiscalmente ammessa ai fini ires .
Sottodomanda : distruzione dei beni (permette la deducibilità delle minusvalenze ai fini reddituali (sia ul piano civilistico che in quello fiscale ma bisogna seguire adeguata procedura)
Aspetto contabile.(della distruzione)
complesse e delicate tra quelle necessarie per la chiusura del bilancio.
Un procedimento da svolgere in più fasi, che richiedono l’accertamento delle quantità presenti in magazzino, l’attribuzione ad esse di un dato valore e il confronto di questo con quello ottenibile in base alle norme fiscali.
Per la valutazione e la gestione del magazzino può essere adottata apposita contabilità, peraltro resa obbligatoria dalla normativa fiscale al superamento di determinate soglie
di ricavi e rimanenze finali. (studiare i limiti)
Il valore del magazzino da iscrivere in bilancio può essere ottenuto attraverso vari metodi che però possono condurre a risultati molto differenti, non di rado distinti da quelli previsti dalle norme fiscali.
Per le imprese non dotate di contabilità di magazzino, il primo passo da compiere per calcolarne il
valore consiste nel verificare le quantità dei “beni presenti nei depositi”.
Si tratta, in estrema sintesi, di suddividere i beni in categorie omogenee, distinguendo le materie prime o merci da eventuali semilavorati, beni in corso di lavorazione e prodotti finiti, per
poi determinare le quantità in giacenza relative a ciascuna categoria.
In poche parole, occorre redigere un inventario dei beni presenti in magazzino (Da notare che anche laddove esista una contabilità di magazzino, che quindi rileva le quantità caricate e scaricate dal singolo deposito, il dato contabile può comunque differire dalle reali giacenze a causa dei c.d. cali dovuti alle movimentazioni o lavorazioni di tali beni o a eventuali furti o distruzioni degli stessi.
Per tali motivi, anche le imprese più strutturate non possono rinunciare a periodici inventari pur
potendo, grazie alla contabilità di magazzino, ridurre la frequenza degli stessi.)
Una volta accertate le quantità presenti in magazzino si pone il problema della valorizzazione
delle stesse.
Sul versante civilistico, l’art. 2426, c. 1, nn. 1 e 9, stabilisce che le rimanenze debbano essere valutate inbase al costo:
=> di acquisto, in caso di merci, materie prime e semilavorati;
=> di produzione, relativamente a semilavorati prodotti internamente, beni in corso di lavorazione e prodotti finiti.
Per quanto riguarda il calcolo del costo dei beni fungibili, il successivo n. 10, prevede che esso possa essere effettuato in base al metodo:
=> della media ponderata;
=> primo entrato, primo uscito (c.d. FIFO);
=> ultimo entrato, primo uscito (c.d. LIFO).
(Se però il risultato in tal modo ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata in nota integrativa distintamente per singola categoria di beni.)
NB: se il valore di mercato è minore la valutazione avverrà tale minor valore.
Qui le sottodamande potrebbero essere:
--> Da cosa è composto il costo di produzione
--> Da cosa è composto il costo di acquisto
--> Ripercussione sull’utile di esercizio in un contesto di prezzi crescenti e decrescenti delle diverse valutazioni
A livello fiscale non vi è la distinzione tra beni fungibili e beni infungibili ed è presente un valore minimo al di sotto del quale (generalmente) non si può andare
Se l’impresa adotta il criterio del costo specifico, tale criterio è pienamente valido anche sotto il profilo fiscale (quindi si può andare anche al di sotto del valore minimo fiscale)
Se l’impresa valuta le rimanenze con il criterio costo medio ponderato, fifo, lifo e sue varianti, il criterio civilistico adottato ha piena valenza anche ai fini fiscali
Se l’impresa adotta un altro qualsiasi criterio (che non siano quelli indicati dal legislatore civilistico) il valore delle rimanenze non può andare al di sotto di un VALORE MINIMO : dato dal LIFO SCATTI ANNUALE.(studiatevi il funzionamento)…vi riporto solo la sottodomanda….
ATTENZIONE : se il valore desunto dall’andamento del mercato dell’ultimo mese è minore, il valore minimo si determina in modo particolare….bisogna moltiplicare l’intera quantità dei beni (quindi indipendentemente dal periodo di formazione) per il valore normale
(valore normale rilevante ai fini fiscali per le rimanenze : prezzo da sostenere per la ricostruzione del magazzino in base alla media dei prezzi dell’ultimo mese del periodo d’imposta
POI ALTRA DOMANDA RIGUARDA LA SVALUTAZIONE.
La svalutazione fiscale si può effettuare solo quando il prezzo di mercato (valore unitario medio) si sia ridotto rispetto al costo e SPETTA AL CONTRIBUENTE DIMOSTRARE DOCUMENTALMENTE L’EFFETTIVO MINOR VALORE (es successiva vendita ad un prezzo inferiore)
NB: secondo l’agenzia la svalutazione fiscale delle rimanenze valutate al costo specifico non è fiscalmente ammessa ai fini ires .
Sottodomanda : distruzione dei beni (permette la deducibilità delle minusvalenze ai fini reddituali (sia ul piano civilistico che in quello fiscale ma bisogna seguire adeguata procedura)
Aspetto contabile.(della distruzione)
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