Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 30 giugno 2016, n. 13378, si sono pronunciate sul termine concesso al contribuente per la presentazione della dichiarazione integrativa in proprio favore, ricollegandolo al termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, secondo quanto previsto dal comma 8-bis dell’art. 2 del DPR 22 luglio 1998, n. 322. Il più ampio termine previsto dal precedente comma 8, corrispondente a quello di decadenza dall’azione accertatrice di cui all’art. 43 del DPR n. 600 del 1973 è stato invece ritenuto applicabile alle sole ipotesi di dichiarazione integrativa a sfavore del contribuente, ossia a quelle in grado di determinare un danno per l'amministrazione (c.d. dichiarazione in malam partem).
Piccolo passo indietro: 8 maggio 2008. Al Quirinale Silvio Berlusconi giura col suo governo davanti al presidente della Repubblica. In quelle stesse ore lo studio milanese Virtax, di cui Tremonti è socio fondatore, ottiene da Finmeccanica una consulenza da 2 milioni e 615 mila euro per valutare l’acquisto della Drs. Da contrario all’operazione che era, nel giro di pochi mesi il neo-ministro cambia idea, come conferma ai magistrati pure il suo ex braccio destro Marco Milanese. Il Tribunale dei ministri, compiute le dovute verifiche, si convince che si tratta di una tangente mascherata (anche perché Virtax si limita ad “apporre il proprio logo” su alcuni documenti “già predisposti da altri consulenti”) e trasmette le carte al Senato chiedendo di processare Tremonti per quel reato ministeriale, cioè con l'accusa di essersi fatto corrompere come uomo di governo. D’altronde il ministero dell'Economia è il grande azionista di Finmeccanica.
Ma Palazzo Madama all’unanimità (grillini compresi) anziché limitarsi a concedere o negare l’autorizzazione a procedere, si dichiara incompetente. Motivo: i primi contatti con Finmecanica risalgono a prima del giuramento al Quirinale e quindi, secondo i colleghi senatori, il reato non è ministeriale. Risultato apparente: Tremonti va processato con rito ordinario, come un cittadino qualunque. Ma quando le carte tornano a Milano, il vero risultato è di affossare l’inchiesta: se il ministro non ha approfittato del suo ruolo, diventa impossibile dimostrare che sia stato corrotto per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio. Insomma, c'è la presunta tangente, ma non c'è più l'atto ministeriale ottenuto in cambio dei soldi, quindi tecnicamente non esiste più il reato di corruzione. I pm milanesi a quel punto sono costretti a chiedere l’archiviazione, ma il giudice delle indagini preliminari non concorda e a marzo solleva conflitto di attribuzione contro la decisione del Senato.
E siamo all’oggi: per la Corte costituzionale il gip non era titolato a fare ricorso, doveva essere semmai il Tribunale dei ministri, al quale invita a trasmettere l’incartamento. Solo che ormai è troppo tardi: proprio in questi giorni scatta la prescrizione. Quindi Giulio Tremonti è ormai definitivamente salvo.
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