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    Qui lo dico e qui lo nego....7 anni fa o giù di li
    La grande dott." Dobbiamo pure chiederci come mai le mafie stanno facendo grossi investimenti in industrie farmaceutiche/brevetti e farmacie".....

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      U pipi....Strell-)))

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        Quarantena estesa sicuramente fino al 31 luglio

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          Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
          Qui lo dico e qui lo nego....7 anni fa o giù di li
          La grande dott." Dobbiamo pure chiederci come mai le mafie stanno facendo grossi investimenti in industrie farmaceutiche/brevetti e farmacie".....
          Chi è la Dott.ssa?

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            Oggi Sergio Rizzo sulla sua pagina facebook

            Strepitosa. Come altrimenti definire la performance di una matricola capace di segnare un più 56,90 per cento dal collocamento in borsa, nel novembre 2018, con tutto quello che è successo da allora sui mercati? E non una matricola qualsiasi, ma la prima ad avventurarsi su un terreno fino a quel momento sconosciuto in piazza Affari: la sanità. La società si chiama Garofalo health care, è stata fondata dal medico Raffaele Garofalo e ora è nelle mani di sua figlia Maria Laura Garofalo. Possiede 24 ospedali dal Lazio in su, ed è considerata a ragione fra i “leader nel settore della sanità privata accreditata”, dice il sito internet. Una vicenda di successo, indiscutibilmente. Prova provata che con la sanità pubblica c’è chi riesce a fare davvero buoni affari. A dispetto dei tagli che il servizio sanitario avrebbe subito negli ultimi anni.
            Una recentissima analisi condotta da Luca Gerotto in piena emergenza Covid-19 per l’Osservatorio sui conti pubblici della Cattolica di Milano diretto da Carlo Cottarelli racconta una storia diversa. Racconta che dal 2000 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è cresciuta di ben il 69 per cento, da 63,8 a 115,4 miliardi e con la prospettiva (precedente all’epidemia) di salire ancora fino a 120 miliardi entro il 2021. Significa che in termini reali c’è stato un aumento del 22 per cento, pur se con una progressione non costante. Dopo incrementi senza soluzione di continuità fino al 2010, la spesa ha subito una riduzione di 3 miliardi e mezzo fino al 2013, per poi riprendere a crescere.
            Con il paradosso che mentre lo stato sborsava sempre più soldi, si chiudevano ospedali dappertutto. Paradosso forse apparente: in vent’anni la spesa sanitaria ha senza dubbio risentito di alcuni fattori indipendenti dal numero dei posti letto, come il costo di farmaci e apparecchi sempre più sofisticati, nonché l’invecchiamento della popolazione.
            Ma la cura dimagrante c’è stata, e in certe situazioni molto pesante. Secondo i dati dell’ultimo annuario del servizio sanitario, fra il 2009 e il 2017 sono state chiuse ben 77 strutture pubbliche. Il loro numero si è ridotto da 638 a 518, con un calo del 18,8 per cento. La chiusura degli ospedali statali ha portato a una flessione del 13,6 per cento dei posti letto pubblici: nel 2017 ce n’erano 151.646, cioè 23.840 in meno rispetto a quelli disponibili nel 2009.
            Nello stesso lasso di tempo la scure si è abbattuta anche sulle strutture private accreditate, ma in maniera decisamente più leggera. Il numero delle cliniche e delle strutture ospedaliere private accreditate è passato da 534 a 482, ossia 52 in meno. Il taglio è risultato del 9,7 per cento, poco meno della metà rispetto a quello inferto agli ospedali pubblici, e appena superiore al 9 per cento se si considerano i posti letto aboliti: 4.184, da 44.642 a 40.458.
            Alla luce della situazione drammatica determinata dall’epidemia del coronavirus questi numeri suggeriscono una serie di considerazioni. Di sicuro tagli fatti così hanno colpito anche sprechi inaccettabili, ma è altrettanto certo che non hanno accresciuto in misura determinante la capacità di rispondere alle emergenze. Già nel 2004, mentre la spesa sanitaria andava in orbita, al convegno internazionale di Trieste sulla medicina d’urgenza era suonato l’allarme sulla carenza dei posti di terapia intensiva nelle strutture italiane, che non raggiungevano il 3 per cento del totale: un terzo della media europea
            secondo l’Apice, l’associazione di quel settore medico specifico. Ebbene, dice l’annuario del servizio sanitario che nel 2017, a distanza di tredici anni e dopo tutti quei tagli, ce n’erano 5.090: il 2,64 per cento di tutti i posti letto. Se poi si vanno a controllare nello stesso annuario i posti di terapia intensiva effettivamente utilizzati, si scopre che a fronte di 4.600 posti negli ospedali pubblici, pari al 3,12 per cento, i privati accreditati ne hanno 396: meno dell’1 per cento.
            Quanto agli effetti sul piano economico dello sbilanciamento pubblico-privato, parlano chiaro i dati del rapporto Gimbe sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale. Se nel 2000 l’assistenza privata convenzionata assorbiva il 24,7 per cento del totale della spesa sanitaria pubblica, nel 2016 era arrivata al 28 per cento. Con un esborso praticamente raddoppiato da 15,8 a 31,5 miliardi: incremento nettamente superiore rispetto a quello della spesa complessiva.
            Sia chiaro, fra le private accreditate ci sono strutture di grande eccellenza e assolutamente irrinunciabili, per un sistema sanitario di qualità come quello italiano. L’elenco, dal Nord al Sud, sarebbe troppo lungo. Detto questo, a differenza delle normali attività imprenditoriali, la sanità è in mano alle Regioni e dunque ha come caratteristica fondamentale un rapporto stretto con la politica locale. Di conseguenza la commistione fra il pubblico che ha il potere di decidere e il privato finanziato con i denari pubblici ha avuto spesso in alcune situazioni risvolti quantomeno discutibili. Come pure hanno dimostrato fin troppe inchieste giudiziarie.
            Ed è anche un fatto che con la sanità privata finanziata dal pubblico, grazie ai margini talvolta enormi garantiti dalle convenzioni, si sono costruite immense fortune. Gruppi come Tosinvest, controllato da una holding in Lussemburgo, e il cui capostipite ex portantino Antonio Angelucci è da tre legislature deputato di Forza Italia con il primato assoluto di ricchezza fra i parlamentari italiani dopo Silvio Berlusconi, hanno investito in attività collaterali. Immobili, facility management, e perfino giornali. Gli Angelucci sono editori di Libero, il Tempo, e della catena Corriere srl. Mentre la famiglia Rotelli, a cui fa capo il maggior gruppo del settore della sanità privata convenzionata con un fatturato dell’ordine di 2 miliardi, si è ritrovata un bel giorno del 2012 nella posizione di primo azionista della Rcs, la società editrice del Corriere della sera. E ora ha ingaggiato alla guida del Policlinico San Donato l’ex ministro della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri Angelino Alfano. Per non parlare di quegli imprenditori di altri settori che hanno ben volentieri diversificato nella sanità. Come Gianfelice Rocca, il proprietario della Techint considerato l’ottavo uomo più ricco del Paese attualmente patron gruppo Humanitas. E questo solo per restare ai protagonisti principali.
            Il Covid-19 ora ha messo la nostra buona sanità davanti a scenari inediti. Molte cose andranno ridiscusse: a cominciare dal ruolo delle Regioni e della politica. Ma soprattutto del rapporto fra pubblico e privati. Dove urge un sano riequilibrio, anche per le tasche dei contribuenti.

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              U pipi....Strell-)))
              Ti scappava la pipì?

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                Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                Quarantena estesa sicuramente fino al 31 luglio
                Può pure essere...

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                  Ho visto, prossimo DPCM in discussione in Consiglio dei Ministri
                  Ultima modifica di strelizia; 24-03-2020, 13:55.

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                    Strage anche oggi ma non è che si arrivi troppo tardi in ospedale?

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                      E bravo a ciancio...

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                      Sto operando...
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