Al punto che oggi il professor Franco Gallo, ex presidente della Corte Costituzionale, parla di «un sistema fiscale incrostato, al collasso, che favorisce chi più ha e ormai non è più né generale né progressivo».
L’Irpef è tuttora basata su quel sistema a gradini, chiamati scaglioni: per i più poveri, niente tasse. Poi, per ogni fetta aggiuntiva di reddito, la percentuale di prelievo (l’aliquota) sale. La scala originaria aveva ben 32 gradini e per i più ricchi l’aliquota arrivava al 72 per cento. Rispetto alla precedente stratificazione disordinata di imposte statali e locali, il sistema originario era molto semplificato: la tassa è unica, conta solo il livello di reddito, con poche detrazioni e deduzioni (cioè tagli di imposte applicabili solo ad alcune categorie).
Oggi l’Irpef continua ad essere la tassa più pagata dagli italiani, ma la sua struttura è stata stravolta. La differenza più vistosa è che in cima alla piramide, per i più ricchi, le imposte sono scese al 43 per cento. Mentre le aliquote si sono ridotte a cinque in tutto: per subire i livelli di tassazione più alti del mondo (dal 38 per cento in su) in Italia basta superare il gradino dei 28 mila euro lordi all’anno, tredicesima compresa. Il risultato è che la classe media è stritolata
Ad aggravare il problema è l’evasione fiscale, che in Italia è enorme: il 13,5 per cento del Pil, secondo un famoso studio della Banca d’Italia, che ha confrontato i consumi effettivi registrati dall’Istat con i redditi dichiarati al fisco. Questo significa che gli italiani onesti pagano anche per gli evasori: circa cento miliardi in più. E che il grosso dell’Irpef (82 per cento) si scarica sul popolo dei lavoratori dipendenti (52 per cento) e pensionati (30), che non possono evadere.
Quindi il ricchissimo investitore che incassa dividendi milionari paga meno tasse della sua impiegata, che sopra uno stipendio di 2.153 euro al mese (lordi) deve sborsare il 27 per cento. Il miliardario americano Warren Buffett, nel 2011, scrisse al New York Times che gli sembrava ingiusto versare metà dell’aliquota dei suoi impiegati (17 per cento contro 33).
http://espresso.repubblica.it/inchie...?ref=HEF_RULLO
L’Irpef è tuttora basata su quel sistema a gradini, chiamati scaglioni: per i più poveri, niente tasse. Poi, per ogni fetta aggiuntiva di reddito, la percentuale di prelievo (l’aliquota) sale. La scala originaria aveva ben 32 gradini e per i più ricchi l’aliquota arrivava al 72 per cento. Rispetto alla precedente stratificazione disordinata di imposte statali e locali, il sistema originario era molto semplificato: la tassa è unica, conta solo il livello di reddito, con poche detrazioni e deduzioni (cioè tagli di imposte applicabili solo ad alcune categorie).
Oggi l’Irpef continua ad essere la tassa più pagata dagli italiani, ma la sua struttura è stata stravolta. La differenza più vistosa è che in cima alla piramide, per i più ricchi, le imposte sono scese al 43 per cento. Mentre le aliquote si sono ridotte a cinque in tutto: per subire i livelli di tassazione più alti del mondo (dal 38 per cento in su) in Italia basta superare il gradino dei 28 mila euro lordi all’anno, tredicesima compresa. Il risultato è che la classe media è stritolata
Ad aggravare il problema è l’evasione fiscale, che in Italia è enorme: il 13,5 per cento del Pil, secondo un famoso studio della Banca d’Italia, che ha confrontato i consumi effettivi registrati dall’Istat con i redditi dichiarati al fisco. Questo significa che gli italiani onesti pagano anche per gli evasori: circa cento miliardi in più. E che il grosso dell’Irpef (82 per cento) si scarica sul popolo dei lavoratori dipendenti (52 per cento) e pensionati (30), che non possono evadere.
Quindi il ricchissimo investitore che incassa dividendi milionari paga meno tasse della sua impiegata, che sopra uno stipendio di 2.153 euro al mese (lordi) deve sborsare il 27 per cento. Il miliardario americano Warren Buffett, nel 2011, scrisse al New York Times che gli sembrava ingiusto versare metà dell’aliquota dei suoi impiegati (17 per cento contro 33).
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