Nessun aggravio dell’onere probatorio per l’Erario che fondi sull’esito degli studi di settore l’accertamento analitico-induttivo. Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14787/2015.
Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una società e l’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia delle Entrate faceva notificare a una S.r.l., società svolgente l’attività di elaborazione elettronica dei dati, un avviso di accertamento con cui, in applicazione degli studi di settore riferiti al gruppo omogeneo di appartenenza nel quale era stata inserita la contribuente, provvedeva in ragione degli scostamenti redditualiriscontrati tra i ricavi dichiarati e quelli puntuali, a rettificare le dichiarazioni IVA, IRPEG ed IRAP della parte per l’anno 2004, determinando il maggior carico fiscale e liquidando imposte, interessi e sanzioni.
Avverso la sentenza di primo grado - che aveva respinto il ricorso della contribuente ritenendo che questa non avesse provato né l’errore nella individuazione dello studio di settore né, malgrado il grave evento traumatico che aveva colpito un dipendente, figlio dell’amministratore unico e preposto al coordinamento delle attività aziendali, la presenza di fatti in grado di giustificare lo scostamento rilevato - interponeva appello avanti alla CTR la società soccombente, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza.
I giudici di appello, accogliendo il gravame, osservato previamente che l’applicazione degli studi di settore non dispensa l’ufficio dall’onere di provare "la presenza di presunzioni di tale gravità e concordanza da giustificare" la legittimità della ripresa, si sono detti convinti che "nei fatti l’ufficio non ha in nessun caso né comprovato la sussistenza di elementi fondanti le sue pretese, ma anzi [...] non ha in alcun modo voluto vagliare nel concreto la situazione - sia pure anomala - venutasi a verificare in conseguenza del gravissimo incidente occorso ad un lavoratore che non soltanto rivestiva un ruolo nell’azienda, ma che, peraltro, quale figlio dell’amministratore unico [...] ha di fatto costituito per la ditta un evento disastroso ed anomalo tale da giustificare un’attenta revisione della situazione della contribuente". Poiché "da quanto sopra appare evidente che la situazione che si è venuta a creare nel concreto certamente non può rientrare nelle condizioni di normale attività", in presenza delle quali è legittimo l’accertamento fondato sugli studi di settore, nella specie "l’operato dell’ufficio non appare corretto e non si appalesa condivisibile", sicché la sentenza dei primi giudici andava conseguentemente riformata.
Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, in particolare sostenendo l’erroneità della decisione della CTR, da un lato, perché la CTR "avrebbe accolto l’appello spiegato dalla contribuente sull’implicito ed errato presupposto per il quale fosse onere dell’Ufficio quello di provare - pur in presenza di un reddito della contribuente inferiore a quello derivante dai parametri stessi - l’origine del maggior reddito accertato"; dall’altro, poiché, parimenti, la CTR avrebbe errato non considerando idonei a fondare la pretesa impositiva del fisco gli strumenti parametrici di cui agli studi di settore, con i conseguenti corollari in materia di riparto dell’onere della prova, essendo noto che i parametri sono fonte di presunzioni semplici e che essi determinano un’inversione nell’onere della prova.
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
In particolare, secondo l’insegnamento ormai costante della Cassazione, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta.
Venendo al caso concreto, secondo i Supremi Giudici, la CTR avrebbe errato una prima volta, poiché, pur dando atto che nella specie l’ufficio aveva proceduto a rettificare il reddito di impresa della parte in applicazione della procedura di accertamento induttivo, aveva tuttavia omesso di considerare, decretando l’illegittimità della pretesa fiscale, che l’accertamento non era stato compiuto in applicazione degli ordinari criteri operativi indicati da dette norme, bensì provvedendo alla determinazione dei ricavi puntuali in applicazione degli studi di settoreriferiti al cluster di inquadramento del contribuente, di modo che non è conseguentemente corretto scrutinare l’operato dell’ufficio alla stregua della concludenza degli elementi indiziari da esso addotti, gravandolo perciò di un onere probatorio superfluo se l’accertamento si fondi sull’applicazione degli studi di settore.
La CTR avrebbe errato peraltro pure una seconda volta, allorché, ritenendo appunto che nella specie la legittimità della pretesa non fosse suffragata da "elementi fondanti", mostrava di prescindere dalla valenza probatoria che, in linea di principio, l’ordinamento tributario attribuisce agli studi di settore, atteso che l’accertamento di maggiori ricavi non dichiarati, sia pure con il filtro della preventiva attivazione del contraddittorio con il contribuente, può essere utilmente argomentata anche in base alla loro applicazione, trattandosi come sì è visto di strumenti di accertamenti presuntivi del reddito.
Da qui, dunque l’accoglimento del ricorso.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza. Da un lato, i parametri o gli studi di settore, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, sicché, fermo restando che il relativo procedimento presuppone l’attivazione del contraddittorio con il contribuente, l’ufficio non è tenuto ad assolvere nessun ulteriore onere probatorio per dimostrare la legittimità della propria pretesa; dall’altro, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici in grado di legittimare la pretesa tributaria, allorchè all’esito del contraddittorio con il contribuente da instaurarsi obbligatoriamente, questa risulti provvista dei requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dalla legge.
Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una società e l’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia delle Entrate faceva notificare a una S.r.l., società svolgente l’attività di elaborazione elettronica dei dati, un avviso di accertamento con cui, in applicazione degli studi di settore riferiti al gruppo omogeneo di appartenenza nel quale era stata inserita la contribuente, provvedeva in ragione degli scostamenti redditualiriscontrati tra i ricavi dichiarati e quelli puntuali, a rettificare le dichiarazioni IVA, IRPEG ed IRAP della parte per l’anno 2004, determinando il maggior carico fiscale e liquidando imposte, interessi e sanzioni.
Avverso la sentenza di primo grado - che aveva respinto il ricorso della contribuente ritenendo che questa non avesse provato né l’errore nella individuazione dello studio di settore né, malgrado il grave evento traumatico che aveva colpito un dipendente, figlio dell’amministratore unico e preposto al coordinamento delle attività aziendali, la presenza di fatti in grado di giustificare lo scostamento rilevato - interponeva appello avanti alla CTR la società soccombente, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza.
I giudici di appello, accogliendo il gravame, osservato previamente che l’applicazione degli studi di settore non dispensa l’ufficio dall’onere di provare "la presenza di presunzioni di tale gravità e concordanza da giustificare" la legittimità della ripresa, si sono detti convinti che "nei fatti l’ufficio non ha in nessun caso né comprovato la sussistenza di elementi fondanti le sue pretese, ma anzi [...] non ha in alcun modo voluto vagliare nel concreto la situazione - sia pure anomala - venutasi a verificare in conseguenza del gravissimo incidente occorso ad un lavoratore che non soltanto rivestiva un ruolo nell’azienda, ma che, peraltro, quale figlio dell’amministratore unico [...] ha di fatto costituito per la ditta un evento disastroso ed anomalo tale da giustificare un’attenta revisione della situazione della contribuente". Poiché "da quanto sopra appare evidente che la situazione che si è venuta a creare nel concreto certamente non può rientrare nelle condizioni di normale attività", in presenza delle quali è legittimo l’accertamento fondato sugli studi di settore, nella specie "l’operato dell’ufficio non appare corretto e non si appalesa condivisibile", sicché la sentenza dei primi giudici andava conseguentemente riformata.
Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, in particolare sostenendo l’erroneità della decisione della CTR, da un lato, perché la CTR "avrebbe accolto l’appello spiegato dalla contribuente sull’implicito ed errato presupposto per il quale fosse onere dell’Ufficio quello di provare - pur in presenza di un reddito della contribuente inferiore a quello derivante dai parametri stessi - l’origine del maggior reddito accertato"; dall’altro, poiché, parimenti, la CTR avrebbe errato non considerando idonei a fondare la pretesa impositiva del fisco gli strumenti parametrici di cui agli studi di settore, con i conseguenti corollari in materia di riparto dell’onere della prova, essendo noto che i parametri sono fonte di presunzioni semplici e che essi determinano un’inversione nell’onere della prova.
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
In particolare, secondo l’insegnamento ormai costante della Cassazione, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta.
Venendo al caso concreto, secondo i Supremi Giudici, la CTR avrebbe errato una prima volta, poiché, pur dando atto che nella specie l’ufficio aveva proceduto a rettificare il reddito di impresa della parte in applicazione della procedura di accertamento induttivo, aveva tuttavia omesso di considerare, decretando l’illegittimità della pretesa fiscale, che l’accertamento non era stato compiuto in applicazione degli ordinari criteri operativi indicati da dette norme, bensì provvedendo alla determinazione dei ricavi puntuali in applicazione degli studi di settoreriferiti al cluster di inquadramento del contribuente, di modo che non è conseguentemente corretto scrutinare l’operato dell’ufficio alla stregua della concludenza degli elementi indiziari da esso addotti, gravandolo perciò di un onere probatorio superfluo se l’accertamento si fondi sull’applicazione degli studi di settore.
La CTR avrebbe errato peraltro pure una seconda volta, allorché, ritenendo appunto che nella specie la legittimità della pretesa non fosse suffragata da "elementi fondanti", mostrava di prescindere dalla valenza probatoria che, in linea di principio, l’ordinamento tributario attribuisce agli studi di settore, atteso che l’accertamento di maggiori ricavi non dichiarati, sia pure con il filtro della preventiva attivazione del contraddittorio con il contribuente, può essere utilmente argomentata anche in base alla loro applicazione, trattandosi come sì è visto di strumenti di accertamenti presuntivi del reddito.
Da qui, dunque l’accoglimento del ricorso.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza. Da un lato, i parametri o gli studi di settore, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, sicché, fermo restando che il relativo procedimento presuppone l’attivazione del contraddittorio con il contribuente, l’ufficio non è tenuto ad assolvere nessun ulteriore onere probatorio per dimostrare la legittimità della propria pretesa; dall’altro, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici in grado di legittimare la pretesa tributaria, allorchè all’esito del contraddittorio con il contribuente da instaurarsi obbligatoriamente, questa risulti provvista dei requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dalla legge.
Commenta