Le erronee credenze sul trust
Ritenere pertanto che quell’effetto segregativo dei beni che si separano sia dal patrimonio del disponente che dal patrimonio del trustee (pur rimanendo quest’ultimo gestore assoluto) blindi il patrimonio irredimibilmente e costituisca una protezione dei beni personali è credenza assolutamente erronea, in quanto la giurisprudenza accoglie le domande di revocatoria in materia di trust, facendo rigida applicazione dell’art. 1901 c.c., per cui l’eventus damni quale presupposto dell’azione revocatoria ordinaria è in re ipsa, quando l’atto di disposizione determini la perdita concreta effettiva della garanzia patrimoniale del debitore.
Figurarsi quando il disponente usa volontariamente l’istituto del trust per creare una situazione di mera apparenza, in quanto, pur avendo affidato fiduciariamente la gestione al trustee, di fatto non perde la proprietà dei beni, ma ne decide l’amministrazione attraverso lo schermo dell’intervento del trustee. Tale comportamento costituisce una prassi frutto di una sua distorta concezione e l’effetto segregativo pertanto è come se non si fosse mai prodotto a seguito dell’accertamento della nullità del trust, che può essere effettuato in ogni tempo, senza prescriversi, e anche d’ufficio, dal giudice.
Ne emerge che il solo ricorso al trust costituisce di per sé motivo di alto sospetto, oltre al fatto che concretamente ex post è praticamente impossibile fornire la prova della bontà e delle intenzioni alla base del trust di fronte alle pretese creditorie, alla luce della rigida interpretazione dell’art 2740 c.c., che è ispirata all’ordine pubblico, e in base al quale il conferimento dei beni nel rapporto fiduciario, sia prima che dopo il sorgere del debito, è uno strumento per tentare di proteggere i beni e “salvare” il proprietario dall’adempimento delle proprie obbligazioni.
D’altronde basta scorrere un po’ la giurisprudenza per capire come il trust oggi venga immediatamente, de plano, dichiarato inefficace, in quanto stipulato in danno ai creditori (salvo le ipotesi anche più gravi in cui ho fatto in precedenza cenno).
Senza contare, come ho già riferito in questo blog, che oggi il trust può essere oggetto dell’azione di cui all’art. 2929 bis c.c., in forza del quale il creditore, entro un anno dalla trascrizione del trust, può procedere alla esecuzione forzata solo affermando di essere munito di legittimo titolo, senza cioè neppure rivolgersi al giudice! L’esecuzione contro il bene del trust, nell’anno successivo alla sua costituzione, parte quindi immediatamente, senza bisogno di alcun riscontro se non quello della dichiarazione dei creditori. La prudenza del notaio
Tutto ciò fa comprendere come l’operato del notaio, a cui viene chiesto la stipula di un trust, deve essere improntato ad altissima prudenza, per lo meno per non farsi accusare ex post di aver agevolato un atto illecito, nullo, in frode, e magari penalmente rilevante.
Certamente il notaio non può rifiutarsi di ricevere un atto di costituzione di trust in quanto obbligato dall’articolo 27 della legge Notarile, ma occorre che le parti dichiarino bene al notaio che intendono costituire il trust solo per le finalità lecite previsti dall’istituto, e cioè il beneficio legittimo delle esigenze personali o familiari, delle finalità imprenditoriali, o per beneficiare situazioni evidenti di pubblica utilità economica e sociale.
E il notaio farà quindi bene a rifiutare la costituzione del trust quando appaia il sospetto che esso viene ideato per i fini illeciti di cui si è fatto cenno, in quanto, per tali motivi, l ‘obbligo del notaio non è più quello di ricevere l’atto ex art. 27 LN, ma quello di rifiutarlo perché contrario alla legge ex art. 28 LN .
notaio Massimo d’Ambrosio
https://mioblog.notaiopescaradambros...lusioni-false/
Ritenere pertanto che quell’effetto segregativo dei beni che si separano sia dal patrimonio del disponente che dal patrimonio del trustee (pur rimanendo quest’ultimo gestore assoluto) blindi il patrimonio irredimibilmente e costituisca una protezione dei beni personali è credenza assolutamente erronea, in quanto la giurisprudenza accoglie le domande di revocatoria in materia di trust, facendo rigida applicazione dell’art. 1901 c.c., per cui l’eventus damni quale presupposto dell’azione revocatoria ordinaria è in re ipsa, quando l’atto di disposizione determini la perdita concreta effettiva della garanzia patrimoniale del debitore.
Figurarsi quando il disponente usa volontariamente l’istituto del trust per creare una situazione di mera apparenza, in quanto, pur avendo affidato fiduciariamente la gestione al trustee, di fatto non perde la proprietà dei beni, ma ne decide l’amministrazione attraverso lo schermo dell’intervento del trustee. Tale comportamento costituisce una prassi frutto di una sua distorta concezione e l’effetto segregativo pertanto è come se non si fosse mai prodotto a seguito dell’accertamento della nullità del trust, che può essere effettuato in ogni tempo, senza prescriversi, e anche d’ufficio, dal giudice.
Ne emerge che il solo ricorso al trust costituisce di per sé motivo di alto sospetto, oltre al fatto che concretamente ex post è praticamente impossibile fornire la prova della bontà e delle intenzioni alla base del trust di fronte alle pretese creditorie, alla luce della rigida interpretazione dell’art 2740 c.c., che è ispirata all’ordine pubblico, e in base al quale il conferimento dei beni nel rapporto fiduciario, sia prima che dopo il sorgere del debito, è uno strumento per tentare di proteggere i beni e “salvare” il proprietario dall’adempimento delle proprie obbligazioni.
D’altronde basta scorrere un po’ la giurisprudenza per capire come il trust oggi venga immediatamente, de plano, dichiarato inefficace, in quanto stipulato in danno ai creditori (salvo le ipotesi anche più gravi in cui ho fatto in precedenza cenno).
Senza contare, come ho già riferito in questo blog, che oggi il trust può essere oggetto dell’azione di cui all’art. 2929 bis c.c., in forza del quale il creditore, entro un anno dalla trascrizione del trust, può procedere alla esecuzione forzata solo affermando di essere munito di legittimo titolo, senza cioè neppure rivolgersi al giudice! L’esecuzione contro il bene del trust, nell’anno successivo alla sua costituzione, parte quindi immediatamente, senza bisogno di alcun riscontro se non quello della dichiarazione dei creditori. La prudenza del notaio
Tutto ciò fa comprendere come l’operato del notaio, a cui viene chiesto la stipula di un trust, deve essere improntato ad altissima prudenza, per lo meno per non farsi accusare ex post di aver agevolato un atto illecito, nullo, in frode, e magari penalmente rilevante.
Certamente il notaio non può rifiutarsi di ricevere un atto di costituzione di trust in quanto obbligato dall’articolo 27 della legge Notarile, ma occorre che le parti dichiarino bene al notaio che intendono costituire il trust solo per le finalità lecite previsti dall’istituto, e cioè il beneficio legittimo delle esigenze personali o familiari, delle finalità imprenditoriali, o per beneficiare situazioni evidenti di pubblica utilità economica e sociale.
E il notaio farà quindi bene a rifiutare la costituzione del trust quando appaia il sospetto che esso viene ideato per i fini illeciti di cui si è fatto cenno, in quanto, per tali motivi, l ‘obbligo del notaio non è più quello di ricevere l’atto ex art. 27 LN, ma quello di rifiutarlo perché contrario alla legge ex art. 28 LN .
notaio Massimo d’Ambrosio
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