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L'angolo di ROL

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    la questione è puramente matematica.....Per combattere le organizzazioni mafiose lo stato investe due miliardi e mezzo l’anno. La sola ‘ndrangheta ne fattura 44..

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      e poi.....siamo sicuri che l’economia legale riesca a sopravvivere senza quella illegale?

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        se la crescita della criminalità economica non è stata ostacolata dall’economia legale, significa una cosa sola. La risposta è NO

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          La tesi della Procura, guidata da Giuseppe Pignatone, era però chiara e netta: dietro il nome di Carminati e Buzzi c’è una mafia autoctona, basata sull’intimidazione, dove basta far intravedere l’ombra un po’ tetra del Samurai per aprire porte e far tacere le vittime. Con un contorno da circo degli orrori, dallo “spezzapollici” allo scudiero Brugia, lo spicciafaccende fedelissimo, con le riunioni in posti un po’ squallidi, come la pompa di benzina di Corso Francia. Le porte di Roma, ha sostenuto la Procura, si aprivano grazie a loro e per Salvatore Buzzi, il re delle coop, quell’alleanza era stata essenziale per contare e incassare appalti anche quando al Comune entrano i neri, la nuova giunta di Gianni Alemanno. Il concetto giuridico di Mafia capitale è stato, dunque, una sorta di rivoluzione copernicana, l’affermare che oggi le organizzazioni mafiose possono prendere forme diverse, non tradizionali e, soprattutto, non direttamente collegate con le cosche tradizionali del sud. A guidare Mafia Capitale era, per la Procura, Massimo Carminati, espressione del mondo criminale romano, a cavallo tra l’eversione nera e le bande di rapinatori, porta mai aperta di tanti segreti passati. Una lettura che in una città come Roma – pigra, abituata a tutto, in piena decadenza – avrebbe potuto segnare una svolta, un cambio di passo. Forse la rinascita. Alla fine un’occasione perduta.

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            Occorrerà attendere tre mesi per leggere le motivazioni della sentenza, ma non c’è dubbio che questa tesi è, almeno in primo grado, caduta. I magistrati hanno anche escluso l’aggravante mafiosa, quell’articolo 7che sempre più spesso entra nei processi. Un grimaldello giuridico che ha consentito di riconoscere il metodo mafioso anche quando non si riusciva a dimostrare l’esistenza di una organizzazione stabile.

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              Umanizzare la mafia – vedi il caso Riina e Dell’Utri – riducendola in fondo ad un reato come altri è una tentazione che appare sempre più chiara. E’ una sentenza che rispecchia in fondo un gap culturale – e non potrebbe essere altrimenti, visto che le leggi e le sentenze sono figlie dei tempi – che oggi non è in grado di capire, e dunque interpretare, fino in fondo cosa voglia dire Mafia alla fine della seconda repubblica, quando ancora non sappiamo come sarà la terza.

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                La sentenza ha riconosciuto l’esistenza di due distinte associazioni, ed è un dato significativo. Due mondi criminali che si sono incontrati, ma che alla fine per i giudici sono rimasti separati. In questo contesto il rapporto tra il mondo di sotto – quello di Carminati – e il mondo di sopra della politica e degli imprenditori è stato, leggendo il dispositivo della sentenza, alla pari: da una parte i corruttori, dall’altra i corrotti. Il senso della decisione è nella qualificazione giuridica di questo rapporto, che non si è basato – almeno per la decisione di primo grado – sull’intimidazione.

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                  la tecnica è quella..spezzare il collegamento e tutto risulta più difficile

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                    Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                    La sentenza ha riconosciuto l’esistenza di due distinte associazioni, ed è un dato significativo. Due mondi criminali che si sono incontrati, ma che alla fine per i giudici sono rimasti separati. In questo contesto il rapporto tra il mondo di sotto – quello di Carminati – e il mondo di sopra della politica e degli imprenditori è stato, leggendo il dispositivo della sentenza, alla pari: da una parte i corruttori, dall’altra i corrotti. Il senso della decisione è nella qualificazione giuridica di questo rapporto, che non si è basato – almeno per la decisione di primo grado – sull’intimidazione.

                    Venticinquemila euro di debito e la consapevolezza che la vita si può trasformare in un incubo, tra minacce e intimidazioni. Soprattutto se la persona alla quale i soldi vanno restituiti si rivolge a Massimo Carminati e soci per farsi “dare una mano”.


                    Vittima di turno è l’imprenditore Fabrizio C.: deve dei soldi a Roberto Lacopo, il cui nome nell’inchiesta è associato al Cecato. Ma il denaro non esce fuori, il debitore rimanda, è al collasso, firma cambiali e assegni a vuoto. Finché a giugno del 2013 Lacono si rivolge a Riccardo Brugia, e Fabrizio C. viene convocato d’urgenza alla stazione di servizio-quartier generale di Corso Francia per parlare «de visu».L’incontro è tutta una minaccia, l’imprenditore non viene toccato, ma l’aria è brutta. È un omone enorme, prova a tenere testa, sarà costretto a cedere un camion, e chissà che altro. Riesce comunque a far saltare i nervi a Brugia, il cui soprannome è «spezzapollici», e allo stesso Carminati. Dice il Nero, non appena C. va via: «È un coatto, non l’hai visto, doveva fare il buttafuori in qualche discoteca. A me, poi, sai che mi piace? Mi piace buttarli giù psicologicamente questi. Questo è una *****, se vede proprio. Uno di sti picchiatori che se ritrova in discoteca, capito? Che quando li vedo me ricordo quello che hanno fatto agli amici miei, mi viene voglia di ucciderli tutti (bestemmia). Però so contento, perché Bobo (Lacono, ndr) da solo non va da nessuna parte, non recupera manco trecento euro». Poco prima, Brugia, si era imbufalito. E a brutto muso, per intimorirlo, gli aveva urlato in faccia: «La gente come te che non sa niente... Se mi chiami un’altra volta per cognome, mi alzo e ti uccido. A me, le guardie mi chiamano per cognome».

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                      L’USURA

                      Nelle conversazioni intercettate torna più volte la dipendenza di Roberto Lacono dal gruppo. Ed emerge l’usura, punto di forza dell’organizzazione. Il Ros individua i prestiti, il percorso che il denaro fa, e come l’organizzazione si comporta per rientrare in possesso della somma, con gli uomini addetti al “recupero credito”.



                      Se non bastasse, allegato ai nuovi atti, c’è anche la denuncia presentata il 28 settembre scorso, da un uomo che era stato sentito dai carabinieri come testimone. Racconta di essere stato avvicinato, sempre nella stessa stazione di servizio, da due uomini grandi grossi e tatuati. Il più alto gli dice: «Come andiamo? Non ha importanza se ci conosciamo o meno. Tu sei andato a parlare con la polizia. Te devi sapere che sei amico di Roberto, di Giovanni, non pensare neanche di costituirti parte civile. Ti diamo un consiglio noi, tu sei amico di queste persone».

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