Seconda parte
Riprendiamo l’analisi delle novità che hanno interessato la normativa sui costi black list e concentriamoci ora sulla definizione del valore normale e sugli aspetti dichiarativi.
Abbiamo già evidenziato come le principali novità introdotte dal Legislatore sulla normativa de quo riguardano l’individuazione dei paradisi fiscali e l’integrale deducibilità dei suddetti costi nei limiti del valore normale degli stessi, secondo quanto determinato ai sensi dell'articolo 9 del Tuir.
Si pone il problema dell’individuazione del valore normale. A tal fine potranno essere utilizzati gli stessi criteri utilizzati ai fini della normativa sul transfer prince ex art. 110, co. 7, del Tuir.
L’individuazione del valore normale - Le Linee Guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento individuano diversi metodi (c.d. metodi tradizionali) per la determinazione del “valore di mercato”, distinguendo tra metodi “tradizionali” e metodi alternativi.
Vengono classificati tra i metodi “tradizionali”:
• il metodo del confronto del prezzo (Comparable Uncontrolled Price method - CUP);
• il metodo del prezzo di rivendita (Resale price method - RPM);
• il metodo del costo maggiorato (Cost Plus Method - CPM).
Il primo dei metodi indicati, metodo del confronto del prezzo (CUP), può basarsi su un confronto interno o su un confronto esterno. Nel primo caso, si confronta il prezzo applicato nella transazione intercompany con una transazione effettuata dallo stesso soggetto con una parte indipendente.
Nel secondo caso il prezzo applicato nella transazione intercompany viene confrontato con i prezzi applicati da imprese indipendenti che hanno posto in essere transazioni similari.
Tale metodo è di difficile utilizzo data la grande difficoltà di individuare “transazioni comparabili”.
Per quanto riguarda il requisito della comparabilità, le Transfer Pricing Guidelines OCSE, individuano due condizioni alternative, al verificarsi delle quali un’operazione sul libero mercato si ritiene comparabile:
1. nessuna delle differenze, ove esistenti, può effettivamente incidere sul prezzo di mercato;
2. è possibile effettuare correzioni economiche che eliminino gli effetti essenziali delle differenze.
L’altro metodo tradizionale è il metodo del prezzo di rivendita (RPM).
Tale metodo si basa sulla comparazione dei margini lordi generati dalle transazioni che s’intendono analizzare:
• o con analoghe operazioni effettuate da rivenditore con operatori indipendenti (confronto interno);
• o con transazioni analoghe effettuate tra soggetti terzi (confronto esterno). Secondo tale metodo i prezzi infragruppo devono essere in linea con i prezzi di vendita del distributore sul mercato.
Tale metodo risulta ideale per valutare attività distributive in cui il rivenditore/acquirente non operi particolari operazioni sui beni acquistati, ma provveda esclusivamente alla loro commercializzazione.
Il metodo del costo maggiorato (CPM), in diretto contatto con la contabilità industriale dell’impresa, esamina i costi diretti ed indiretti di produzione sostenuti dal fornitore di beni o servizi nel corso di una transazione controllata relativa a beni o servizi forniti a un soggetto collegato.
Con tale metodologia si attua il processo inverso rispetto al metodo RPM. Si parte dal costo di produzione, aggiungendo allo stesso un adeguato mark-up in modo da ottenere un utile normale tenuto conto delle funzioni svolte e delle condizioni di mercato. Il metodo in oggetto è appropriato soprattutto nei casi in cui l’analisi riguardi transazioni relative a imprese che svolgono esclusivamente attività di produzione o quando la transazione controllata consiste nella fornitura di servizi.
Tale metodo è applicabile:
• quando è possibile effettuare una comparazione tra vendite dello stesso tipo di prodotto effettuate dal cedente sia a società collegate, sia a parti indipendenti nell’ambito dello stesso mercato di riferimento (confronto interno);
o in alternativa, quando è possibile fare riferimento al margine lordo realizzato in transazioni che hanno le stesse caratteristiche effettuate fra parti indipendenti (confronto esterno).
Quali sono gli oneri documentali? – Un problema che sorge, non certo irrilevante, è la necessità del contribuente di predisporre un’adeguata documentazione per dimostrare i costi black listi ritenuti deducibili in base al valore normale.
Si ricorda che con l’art. 26 D.L. 78/2010 conv. con mod. L. 122/2010 (rubricato “Adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento”) è stato introdotto nell’ordinamento italiano un regime di oneri documentali, e il contestuale obbligo di darne comunicazione all’Amministrazione Finanziaria, con riferimento ai prezzi di trasferimento dei beni o servizi rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 110, comma 7, D.P.R. 917/1986.
Se ciò dovesse essere ritenuto necessario anche ai fini della normativa sui costi black list lieviterebbero in maniera esponenziale costi e adempimenti del contribuente, rendendo forse più conveniente considerare i costi in questione indeducibili.
Riprendiamo l’analisi delle novità che hanno interessato la normativa sui costi black list e concentriamoci ora sulla definizione del valore normale e sugli aspetti dichiarativi.
Abbiamo già evidenziato come le principali novità introdotte dal Legislatore sulla normativa de quo riguardano l’individuazione dei paradisi fiscali e l’integrale deducibilità dei suddetti costi nei limiti del valore normale degli stessi, secondo quanto determinato ai sensi dell'articolo 9 del Tuir.
Si pone il problema dell’individuazione del valore normale. A tal fine potranno essere utilizzati gli stessi criteri utilizzati ai fini della normativa sul transfer prince ex art. 110, co. 7, del Tuir.
L’individuazione del valore normale - Le Linee Guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento individuano diversi metodi (c.d. metodi tradizionali) per la determinazione del “valore di mercato”, distinguendo tra metodi “tradizionali” e metodi alternativi.
Vengono classificati tra i metodi “tradizionali”:
• il metodo del confronto del prezzo (Comparable Uncontrolled Price method - CUP);
• il metodo del prezzo di rivendita (Resale price method - RPM);
• il metodo del costo maggiorato (Cost Plus Method - CPM).
Il primo dei metodi indicati, metodo del confronto del prezzo (CUP), può basarsi su un confronto interno o su un confronto esterno. Nel primo caso, si confronta il prezzo applicato nella transazione intercompany con una transazione effettuata dallo stesso soggetto con una parte indipendente.
Nel secondo caso il prezzo applicato nella transazione intercompany viene confrontato con i prezzi applicati da imprese indipendenti che hanno posto in essere transazioni similari.
Tale metodo è di difficile utilizzo data la grande difficoltà di individuare “transazioni comparabili”.
Per quanto riguarda il requisito della comparabilità, le Transfer Pricing Guidelines OCSE, individuano due condizioni alternative, al verificarsi delle quali un’operazione sul libero mercato si ritiene comparabile:
1. nessuna delle differenze, ove esistenti, può effettivamente incidere sul prezzo di mercato;
2. è possibile effettuare correzioni economiche che eliminino gli effetti essenziali delle differenze.
L’altro metodo tradizionale è il metodo del prezzo di rivendita (RPM).
Tale metodo si basa sulla comparazione dei margini lordi generati dalle transazioni che s’intendono analizzare:
• o con analoghe operazioni effettuate da rivenditore con operatori indipendenti (confronto interno);
• o con transazioni analoghe effettuate tra soggetti terzi (confronto esterno). Secondo tale metodo i prezzi infragruppo devono essere in linea con i prezzi di vendita del distributore sul mercato.
Tale metodo risulta ideale per valutare attività distributive in cui il rivenditore/acquirente non operi particolari operazioni sui beni acquistati, ma provveda esclusivamente alla loro commercializzazione.
Il metodo del costo maggiorato (CPM), in diretto contatto con la contabilità industriale dell’impresa, esamina i costi diretti ed indiretti di produzione sostenuti dal fornitore di beni o servizi nel corso di una transazione controllata relativa a beni o servizi forniti a un soggetto collegato.
Con tale metodologia si attua il processo inverso rispetto al metodo RPM. Si parte dal costo di produzione, aggiungendo allo stesso un adeguato mark-up in modo da ottenere un utile normale tenuto conto delle funzioni svolte e delle condizioni di mercato. Il metodo in oggetto è appropriato soprattutto nei casi in cui l’analisi riguardi transazioni relative a imprese che svolgono esclusivamente attività di produzione o quando la transazione controllata consiste nella fornitura di servizi.
Tale metodo è applicabile:
• quando è possibile effettuare una comparazione tra vendite dello stesso tipo di prodotto effettuate dal cedente sia a società collegate, sia a parti indipendenti nell’ambito dello stesso mercato di riferimento (confronto interno);
o in alternativa, quando è possibile fare riferimento al margine lordo realizzato in transazioni che hanno le stesse caratteristiche effettuate fra parti indipendenti (confronto esterno).
Quali sono gli oneri documentali? – Un problema che sorge, non certo irrilevante, è la necessità del contribuente di predisporre un’adeguata documentazione per dimostrare i costi black listi ritenuti deducibili in base al valore normale.
Si ricorda che con l’art. 26 D.L. 78/2010 conv. con mod. L. 122/2010 (rubricato “Adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento”) è stato introdotto nell’ordinamento italiano un regime di oneri documentali, e il contestuale obbligo di darne comunicazione all’Amministrazione Finanziaria, con riferimento ai prezzi di trasferimento dei beni o servizi rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 110, comma 7, D.P.R. 917/1986.
Se ciò dovesse essere ritenuto necessario anche ai fini della normativa sui costi black list lieviterebbero in maniera esponenziale costi e adempimenti del contribuente, rendendo forse più conveniente considerare i costi in questione indeducibili.
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