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Il valigione del tirocinante

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    #41
    Seconda parte

    Riprendiamo l’analisi delle novità che hanno interessato la normativa sui costi black list e concentriamoci ora sulla definizione del valore normale e sugli aspetti dichiarativi.

    Abbiamo già evidenziato come le principali novità introdotte dal Legislatore sulla normativa de quo riguardano l’individuazione dei paradisi fiscali e l’integrale deducibilità dei suddetti costi nei limiti del valore normale degli stessi, secondo quanto determinato ai sensi dell'articolo 9 del Tuir.

    Si pone il problema dell’individuazione del valore normale. A tal fine potranno essere utilizzati gli stessi criteri utilizzati ai fini della normativa sul transfer prince ex art. 110, co. 7, del Tuir.

    L’individuazione del valore normale - Le Linee Guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento individuano diversi metodi (c.d. metodi tradizionali) per la determinazione del “valore di mercato”, distinguendo tra metodi “tradizionali” e metodi alternativi.

    Vengono classificati tra i metodi “tradizionali”:
    • il metodo del confronto del prezzo (Comparable Uncontrolled Price method - CUP);
    • il metodo del prezzo di rivendita (Resale price method - RPM);
    • il metodo del costo maggiorato (Cost Plus Method - CPM).

    Il primo dei metodi indicati, metodo del confronto del prezzo (CUP), può basarsi su un confronto interno o su un confronto esterno. Nel primo caso, si confronta il prezzo applicato nella transazione intercompany con una transazione effettuata dallo stesso soggetto con una parte indipendente.

    Nel secondo caso il prezzo applicato nella transazione intercompany viene confrontato con i prezzi applicati da imprese indipendenti che hanno posto in essere transazioni similari.

    Tale metodo è di difficile utilizzo data la grande difficoltà di individuare “transazioni comparabili”.

    Per quanto riguarda il requisito della comparabilità, le Transfer Pricing Guidelines OCSE, individuano due condizioni alternative, al verificarsi delle quali un’operazione sul libero mercato si ritiene comparabile:
    1. nessuna delle differenze, ove esistenti, può effettivamente incidere sul prezzo di mercato;
    2. è possibile effettuare correzioni economiche che eliminino gli effetti essenziali delle differenze.

    L’altro metodo tradizionale è il metodo del prezzo di rivendita (RPM).
    Tale metodo si basa sulla comparazione dei margini lordi generati dalle transazioni che s’intendono analizzare:
    • o con analoghe operazioni effettuate da rivenditore con operatori indipendenti (confronto interno);
    • o con transazioni analoghe effettuate tra soggetti terzi (confronto esterno). Secondo tale metodo i prezzi infragruppo devono essere in linea con i prezzi di vendita del distributore sul mercato.

    Tale metodo risulta ideale per valutare attività distributive in cui il rivenditore/acquirente non operi particolari operazioni sui beni acquistati, ma provveda esclusivamente alla loro commercializzazione.

    Il metodo del costo maggiorato (CPM), in diretto contatto con la contabilità industriale dell’impresa, esamina i costi diretti ed indiretti di produzione sostenuti dal fornitore di beni o servizi nel corso di una transazione controllata relativa a beni o servizi forniti a un soggetto collegato.

    Con tale metodologia si attua il processo inverso rispetto al metodo RPM. Si parte dal costo di produzione, aggiungendo allo stesso un adeguato mark-up in modo da ottenere un utile normale tenuto conto delle funzioni svolte e delle condizioni di mercato. Il metodo in oggetto è appropriato soprattutto nei casi in cui l’analisi riguardi transazioni relative a imprese che svolgono esclusivamente attività di produzione o quando la transazione controllata consiste nella fornitura di servizi.

    Tale metodo è applicabile:
    • quando è possibile effettuare una comparazione tra vendite dello stesso tipo di prodotto effettuate dal cedente sia a società collegate, sia a parti indipendenti nell’ambito dello stesso mercato di riferimento (confronto interno);

    o in alternativa, quando è possibile fare riferimento al margine lordo realizzato in transazioni che hanno le stesse caratteristiche effettuate fra parti indipendenti (confronto esterno).

    Quali sono gli oneri documentali?
    – Un problema che sorge, non certo irrilevante, è la necessità del contribuente di predisporre un’adeguata documentazione per dimostrare i costi black listi ritenuti deducibili in base al valore normale.

    Si ricorda che con l’art. 26 D.L. 78/2010 conv. con mod. L. 122/2010 (rubricato “Adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento”) è stato introdotto nell’ordinamento italiano un regime di oneri documentali, e il contestuale obbligo di darne comunicazione all’Amministrazione Finanziaria, con riferimento ai prezzi di trasferimento dei beni o servizi rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 110, comma 7, D.P.R. 917/1986.

    Se ciò dovesse essere ritenuto necessario anche ai fini della normativa sui costi black list lieviterebbero in maniera esponenziale costi e adempimenti del contribuente, rendendo forse più conveniente considerare i costi in questione indeducibili.

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      #42
      Parte terza

      In questo terzo intervento sui costi black list, concentreremo l’attenzione sull’analisi della deducibilità dei costi black list per la parte che eccede il valore normale e le conseguenti implicazioni dichiarative.

      È bene ribadire che la nuova normativa prevede l’integrale deducibilità dei suddetti costi nei limiti del valore normale degli stessi secondo quanto determinato ai sensi dell'articolo 9 del Tuir.

      Per la parte di costo che eccede il valore normale non si prevede un’indeducibilità assoluta, ma si dà la possibilità di dedurre anche tale costo dando prova dell’interesse economico dell’operazione.

      Le condizioni esimenti nella previgente normativa
      - Il previgente comma 11 dell’art. 110 del Tuirconsentiva al contribuente di disapplicare, nel rispetto di determinate condizioni, il regime di indeducibilità sancito dal precedente comma.
      La norma, infatti, disponeva che “le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”.
      L’imprenditore era quindi legittimato a dedursi i componenti di costo afferenti operazioni con soggetti residenti in paradisi fiscali se, alternativamente, riusciva a dimostrare che:
      1. le imprese estere svolgessero prevalentemente un’attività commerciale effettiva;
      2. le operazioni poste in essere rispondevano a un effettivo interesse economico.

      A prescindere dalla rilevanza delle due esimenti sopra indicate, alternative tra di loro, il contribuente doveva dimostrare che l’operazione commerciale posta in essere, avesse avuto concreta esecuzione.

      La dimostrazione dell’esercizio dell’attività commerciale dell’impresa estera
      - Ai fini della piena deducibilità dei costi sostenuti con paesi Black List relativamente alla dimostrazione dell’esercizio di un’attività commerciale effettiva da parte del fornitore estero, si può far riferimento alle indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria con la R.M. 46/E/2004.

      L’Agenzia delle Entrate, con la R.M. 46/E/2004, ha indicato, a titolo esemplificativo, una serie di dati e documenti ritenuti idonei a dimostrare l’esercizio dell’attività commerciale.

      In merito, l’impresa italiana avrebbe dovuto acquisire i seguenti documenti dall’impresa estera:
      • il bilancio;
      • l’atto costitutivo;
      • un prospetto descrittivo dell’attività esercitata;
      • i contratti di locazione degli immobili utilizzati come sede degli uffici e dell’attività;
      • la copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoniche;
      • i contratti di lavoro dei dipendenti, con indicate anche le mansioni svolte;
      • i conti correnti bancari della società estera;
      • copia dei contratti di assicurazione relativi ai dipendenti ed agli uffici;
      • le autorizzazioni sanitarie ed amministrative relative all’attività esercitata ed all’utilizzo dei locali.

      È evidente che reperire tali informazioni risultava tutt’altro che agevole. Date le difficoltà connesse a dimostrare tale esimente, si è provveduto alla sua abrogazione.

      Interesse economico dell’operazione – Per poter dedurre la parte di costo che eccede il valore normale, oltre a dover dimostrare che l’operazione ha avuto concreta esecuzione, si dovrà dar prova dell’effettivo interesse economico.

      Variazioni in dichiarazione - Nulla cambia per ciò che riguarda le modalità dichiarative. I costi black list dovranno essere sempre separatamente indicati. Si dovrà procedere dunque ad operare una variazione in diminuzione per l’intero ammontare dei costi black list e operare una variazione in aumento per i costi i entro il valore normale o, in caso di eccedenza rispetto al valore normale, per i quali sussista l’interesse economico dell’operazione.

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        #43
        Decreto internazionalizzazione: accordi preventivi con efficacia retroattiva

        Tra le tante novità contenute nel Decreto crescita e internazionalizzazione, merita una particolare menzione la riforma del ruling internazionale. Nello specifico, è stato inserito il nuovo art. 31-ter nel corpo del D.P.R. 600/1973, rubricato “Accordi preventivi”, il quale mira ad ampliare la compliance tra Agenzia delle Entrate e contribuenti.

        Come affermato nella relazione illustrativa, al fine di attrarre nuovi investitori esteri e garantire un contesto normativo di maggiore certezza, il legislatore, attraverso la novellata disciplina, ha voluto accrescere la cooperazione e il dialogo nell’ambito dei rapporti tra Agenzia delle Entrate e contribuente e “relegare” i tradizionali controlli ex post a ipotesi eventuali e marginali, così da ridurre il rischio di contenziosi dall’esito incerto e attenuare il rischio di doppia imposizione internazionale.

        In particolare il nuovo co. 1 dell’art. 31-ter, D.P.R. 600/1973 prevede che le imprese con attività internazionale hanno accesso a una procedura finalizzata alla stipula di accordi preventivi con riferimento ai seguenti ambiti:

        a) preventiva definizione in sede di contraddittorio dei metodi di calcolo del valore normale dei prezzi di trasferimento ai sensi dell’articolo 110, comma 7 del TUIR e dei valori in uscita e in entrata in caso di trasferimento di residenza ai sensi degli articoli 166 e 166-bis del TUIR (exit tax);

        b) attribuzione a un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, relative all’attribuzione di utili e perdite alla stabile organizzazione in un altro Stato estero di un’impresa o di un ente residente ovvero alla stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente;

        c) valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, tenendo in considerazione quanto previsto sia dall’articolo 162 del TUIR sia dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni;

        d) applicazione a un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l’erogazione o percezione di dividendi, interessi, royalties e altri componenti reddituali a o da soggetti non residenti.

        I temi oggetto di accordo sono pressoché identici a quelli enunciati dall’abrogato art. 8 del D.L. 269/2003 che disciplinava il ruling internazionale, fatta eccezione per la possibilità di definire i valori d’ingresso e di uscita nei casi di trasferimento della residenza.

        L’efficacia temporale degli accordi preventivi - I co. 2 e 3 del novellato art. 31-ter D.P.R. 600/1973 disciplinano l’efficacia temporale dell’accordo preventivo.

        Come regola generale viene previsto che gli accordi in questione vincolano le parti per il periodo d'imposta nel corso del quale sonostipulati e per i quattro periodi d'imposta successivi, salvo mutamenti delle circostanze di fatto o di diritto rilevanti ai fini degli accordi sottoscritti e risultanti dagli stessi.

        Le eccezioni alla regola generale sono le seguenti:
        • se l’accordo deriva da una precedente procedura amichevole conclusa con le autorità di Stati esteri, l’efficacia dell’accordo può essere estesa ai periodi di imposta precedenti purché non anteriori al periodo d'imposta in corso alla data di presentazione della relativa istanza per l’accordo preventivo;

        • l’efficacia dell’accordo può essere estesa ai periodi precedenti alla sottoscrizione dell’istanza, ma non oltre la presentazione della stessa nei casi in cui le condizioni di fatto o di diritto a base dell'accordo ricorrano per tali periodi d’imposta.

        Dunque al ricorrere delle citate ipotesi, l’impresa potrà usufruire dell’estensione retroattiva dell’efficacia dell’accordo.

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          #44
          CFC: la presentazione dell’interpello diventa conveniente

          L’art. 3 del Decreto Crescita e internalizzazione riguarda l’ottenimento del credito d’imposta in caso di risposta positiva all’interpello disapplicativo exart. 167, co. 5, lett. a), D.P.R. 917/1986.

          Per capire bene la portata delle novità va preliminarmente analizzata la normativa ante modifiche.

          La previgente normativa –
          L’analisi degli aspetti concernenti la tassazione dei dividendi black list va analizzata distinguendo tra persone fisiche e società.

          In base all’art. 47, co. 4 D.P.R. 917/1986 sono tassabili integralmente, per le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia, gli utili provenienti da società residenti in Stati o territori diversi da quelli indicati nella “white list” di cui al D.M. da emanarsi ai sensi dell’art. 168-bis; come noto, tale decreto deve ancora essere emanato per cui si fa riferimento al D.M. 21 novembre 2001.
          Tuttavia, bisogna tener conto che:
          • in caso la società paradisiaca sia stata tassata per trasparenza (CFC), gli utili incassati dal socio persona fisica fiscalmente residente in Italia NON saranno più tassabili;
          • qualora il contribuente abbia presentato istanza secondo le modalità previste dall’art. 167, co. 5, lett. a), D.P.R. 917/1986, la società paradisiaca non sarà tassata per trasparenza e i successivi utili saranno tassati integralmente con l’applicazione di ritenuta a titolo di acconto del del 26%;
          • qualora il contribuente abbia presentato istanza secondo le modalità previste dall’art. 167, co. 5, lett. b), D.P.R. 917/1986 dimostrando che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi nel paradiso fiscale si applicano le regole tema di utili di fonte estera white list. Quindi:
          - si avrà una tassazione sul 49,72% dell’ammontare dei dividendi in ipotesi di partecipazione qualificata con applicazione della ritenuta a titolo di acconto del 26%;
          - l’applicazione di ritenuta a titolo di imposta del 26 % nel caso di partecipazione non qualificata; la ritenuta è operata a titolo di imposta se viene ottenuta una risposta positiva all’interpello o se i titoli della società che li distribuisce sono negoziati in mercati regolamentati.

          In caso di percipiente società fiscalmente residente in Italia e dividendi erogati da soggetti residenti in paradisi fiscali, la norma di riferimento è l’art. 89, co. 3, del D.P.R. 917/1986.
          Le richiamate disposizioni prevedono la tassazione integrale sui dividendi provenienti da Paesi black list.
          In particolare, si prevede che:
          • se gli utili non sono già stati tassati per trasparenza;
          • o il contribuente ha ottenuto risposta favorevole all’interpello ex. art. 167 c. 5 lettera b);
          • i dividendi sono tassati integralmente;
          • dimostrando i requisiti richiesti dall’esimente lettera b) sin dall’inizio del periodo di possesso:

          - i redditi del soggetto estero non sono tassati per trasparenza;
          - e i dividendi sono tassati solo sul 5% del loro ammontare.

          Le modifiche normative – Abbiamo evidenziato come uno dei modi per evitare la tassazione integrale dei dividendi sia l’ottenimento della risposta positiva all’interpello disapplicativo ex art. 167, co. 5, lett. a), D.P.R. 917/1986. Si ribadisce che in tal caso si evita la tassazione per trasparenza CFC, in quanto si riconosce lo svolgimento di una effettiva attività commerciale, ma i successivi dividendi distribuiti saranno tassati integralmente.

          Ciò rendeva non conveniente la presentazione dell’interpello disapplicativo CFC, in quanto successivamente si sarebbe dovuta scontare la tassazione integrale dei dividendi senza ottenere alcun credito d’imposta. Sugli utili già tassati nello Stato estero. Diversamente, scontando la tassazione per trasparenza si sarebbe ottenuto il credito per le imposte estere pagate dalla società estera nello Stato paradisiaco.

          In sostanza, non era affatto conveniente la presentazione dell’interpello disapplicativo ex art. 167, co. 5, lett. a), D.P.R. 917/1986.

          Al fine di risolvere la questione, la nuova formulazione della norma intende quindi riconoscere ai soggetti (controllante o sue controllate percipienti gli utili) che verifichino la prima esimente un credito d’imposta, ai sensi dell’articolo 165 del TUIR in ragione delle imposte assolte dalla società partecipata sugli utili maturati.

          Ai soli fini del calcolo dell’imposta di competenza l’ammontare del credito di imposta riconosciuto viene aggiunto al reddito complessivo; nel caso di omessa indicazione del computo del credito d’imposta in aumento del reddito totale si può procedere d’ufficio alla correzione anche in sede di liquidazione dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione dei redditi.

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            #45
            2 parole (da approfondire... )

            Caratteristiche - In particolare si rammenta che, ai sensi dell’art. 2, comma 2, D.M. 17.6.2014, i documenti informatici rilevanti ai fini tributari devono presentare le seguenti caratteristiche: immodificabilità; integrità (il documento è completo ed inalterato); autenticità (il documento deve garantire “di essere ciò che dichiara di essere”, senza aver subito alterazioni o modifiche; tale caratteristica può essere valutata analizzando l’identità del sottoscrittore nonché del documento stesso); leggibilità (il documento è fruibile durante il ciclo di gestione dello stesso).

            Termini di conservazione - Il citato D.M. 17.6.2014 ha uniformato, a decorrere dal 27.6.2014, i termini di conservazione di tutti i documenti fiscalmente rilevanti, prevedendo che la conservazione vada effettuata entro tre mesi dal termine di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’anno di riferimento (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, 30.12 dell’anno successivo). La precedente disciplina prevedeva due distinti termini di conservazione: per le fatture, la conservazione doveva avvenire con cadenza almeno quindicinale; per gli altri documenti, la conservazione doveva avere cadenza almeno annuale.

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              #46
              Fatturazione elettronica: termini di accertamenti ridotti

              È entrato in vigore lo scorso 2 settembre, decorsi i 15 giorni di vacatio legis, il Decreto Legislativo sulla fatturazione elettronica (D.Lgs. 127/2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18 agosto 2015).

              Al fine di diffondere l’utilizzo della fatturazione elettronica, il decreto disciplina la messa a disposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate, a partire dal 1° luglio 2016, di soluzioni tecniche per consentire a tutti i soggetti passivi IVA la gestione dell’intero ciclo di fatturazione.

              Inoltre, dal 1° gennaio 2017 per i commercianti al minuto e gli altri soggetti che effettuano operazioni ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. 633/1972, sarà possibile optare per la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica giornaliera dei corrispettivi all’Agenzia delle Entrate.

              La trasmissione telematica sarà obbligatoria a partire dal 1° gennaio 2017 per i soggetti che effettuano cessione di beni mediante distributori automatici.

              Tale adempimento è sostituivo degli obblighi di registrazione - di cui all’art. 24, comma 1, del D.P.R. 633/72 - e di certificazione fiscale. Per tali contribuenti verrebbe pertanto meno l’obbligo di emissione dello scontrino fiscale, restando comunque fermo quello di emissione della fattura su richiesta del cliente.

              I vantaggi - L’art. 3 del D.Lgs. 127/2015, rubricato “Incentivi all'opzione per la trasmissione telematica delle fatture o dei relativi dati e dei corrispettivi” introduce una serie di incentivi rivolti ai soggetti che opteranno per la trasmissione delle fatture in formato elettronico e per l’invio telematico dei corrispettivi giornalieri.

              L’esercizio delle suddette opzioni consentirà di ottenere molteplici vantaggi. In particolare, l’esercizio dell’opzione a partire dal 1° gennaio 2017 consentirà di:
              • ottenere l’esonero dall’obbligo di invio dello “spesometro”, delle comunicazioni “black-list” e dai modelli INTRASTAT limitatamente agli acquisti di beni e alle prestazioni di servizi ricevute;
              • ottenere altresì l’esonero dall’obbligo di comunicazione dei dati relativi ai contratti stipulati dalle società di leasing, di locazione e noleggio, nonché degli acquisti di beni da operatori economici di San Marino con assolvimento dell’IVA mediante autofatturazione.

              In particolare, le ultime due casistiche di esonero, non contemplate nello schema di decreto approvato il 21 aprile, sono state inserite in accoglimento delle richieste formulate dalle Commissioni di Camera e Senato.

              Ulteriore vantaggio è la possibilità di ottenere i rimborsi IVA in via prioritaria, entro tre mesi dalla presentazione della dichiarazione annuale, anche in assenza dei requisiti di cui all’articolo 30 del D.P.R. 633/72, nonché la riduzione di un anno (da quattro a tre anni) dei termini di accertamento in materia IVA e di imposte dirette per i contribuenti che garantiscano la tracciabilità dei pagamenti secondo modalità da definirsi con un apposito decreto del MEF.

              Il Legislatore dunque prevede quale ulteriore condizione per la riduzione dei termini per l’accertamento, a un’ulteriore condizione. In particolare, “la riduzione si applica solo per i soggetti che garantiscano la tracciabilità dei pagamenti dagli stessi ricevuti ed effettuati nei modi” che saranno stabiliti con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze.

              I benefici connessi alla riduzione degli adempimenti indicati in precedenza vengono meno in caso di omessa trasmissione telematica dei dati delle fatture o dei corrispettivi, ovvero in caso di invio di dati incompleti oinesatti.

              In queste ipotesi, inoltre, troveranno applicazione le sanzioni previste per le violazioni in materia di imposte dirette e di IVA. In particolare, se la violazione riguarda la trasmissione delle fatture la sanzione applicabile è quella prevista dall’art. 11 del D.Lgs. 471/1997 (da 258 a 2.065 euro).

              Il contribuente potrà comunque evitare di perdere le agevolazioni qualora provveda all’invio telematico dei dati entro un termine prestabilito che verrà indicato dall’Agenzia delle Entrate.

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                #47
                Società di comodo e interpelli in caso di silenzio-assenso

                Nuova disciplina per l’interpello disapplicativo delle società di comodo.

                Riforme in vista per la disciplina degli interpelli, quindi novità anche per le società che “rischiano” la non operatività o la perdita sistematica.

                Più precisamente:
                - da un lato, verrà concesso all’Agenzia delle Entrate più tempo per rispondere alle istanze (non più 90 ma 120 giorni), quindi i contribuenti dovranno “muoversi” in anticipo;
                - dall’altro lato, però, si potrà beneficiare del silenzio-assenso in caso di mancata risposta, finora escluso.

                Le riforme alle porte

                Il Consiglio dei ministri del 4 settembre scorso ha approvato, in secondo esame preliminare, cinque decreti legislativi di attuazione della legge delega fiscale.
                I passi da compiere sono ancora molti, in quanto i testi sono stati trasmessi di nuovo alle Camere per gli ulteriori pareri prima di essere approvati definitivamente, ma le riforme che gli stessi hanno delineato sono sicuramente rilevanti.

                Tra le novità che potrebbero presto trovare applicazione merita in questa sede di essere richiamata la nuova disciplina per gli interpelli.
                Vengono infatti definite quattro specifiche categorie di interpello: ordinario, probatorio, anti abuso, disapplicativo.

                Viene inoltre espressamente fissato un termine pari a 90 giorni per gli interpelli ordinari, mentre viene portato a 120 giorni il termine previsto per tutte le altre categorie.
                Viene infine estesa a tutti i casi la regola del silenzio-assenso.

                La disciplina attuale
                Oggi l’interpello disapplicativo è regolato dall’articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. 600/73, ed estende il suo campo di applicazione a moltissime fattispecie, dall’Ace alla disciplina del riporto delle perdite, senza ovviamente dimenticare la normativa prevista per le società di comodo.

                Società non operative e in perdita sistematica che non presentavano cause di esclusione o di disapplicazione automatica hanno infatti dovuto presentare, entro il 2 luglio, istanza di interpello, per dimostrare le eventuali oggettive situazioni che giustificano la non applicazione della disciplina.

                Entro 90 giorni (quindi in questo periodo) le società in oggetto potranno quindi ricevere risposta alle istanze presentate e, in caso di accoglimento, potranno indicare tale situazione all’interno del modello Unico.

                Tuttavia, qualora non fosse ricevuta risposta, (ipotesi, a dire il vero, abbastanza rara) non troverebbe applicazione la disciplina del silenzio-assenso, ragion per cui non sarebbe possibile indicare in dichiarazione la disapplicazione mediante interpello.

                Tale situazione è però destinata presto a cambiare. L’articolo 1 del decreto legislativo approvato venerdì scorso porta infatti a 120 giorni il tempo a disposizione dell’Agenzia delle entrate per rispondere, ma prevede che trovi applicazione, anche in questo caso, l’istituto del silenzio-assenso.

                Per gli anzidetti motivi, le società che nel modello Unico16 non supereranno il test di operatività o delle perdite sistematiche e che non potranno beneficiare delle cause di esclusione o di disapplicazione automatica, dovranno anticipare la data di presentazione dell’interpello disapplicativo, che dal 2 luglio passerebbe al 2 giugno.
                Tuttavia, la mancata risposta entro il termine di 120 giorni consentirebbe di disapplicare la disciplina delle società di comodo.

                Si tratterebbe quindi di uno sforzo richiesto al contribuente in termini di preventività dell’istanza, il quale porterebbe comunque con sé maggiore certezza nei rapporti tra Fisco e contribuente.

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                  #48
                  http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_...paign=articolo

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                    #49
                    Banche: la deducibilità delle perdite su crediti

                    Integralmente deducibili nell’esercizio d’iscrizione

                    Premessa – Ai sensi dell’art. 16, D.L. n. 83/2015, per le banche le svalutazioni e perdite su crediti verso la clientela diventano ora integralmente deducibili nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio (e non più in quote costanti in cinque periodi d’imposta), al pari di quanto già previsto per le perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso.

                    Banca d’Italia - Il 26 maggio 2015, nella propria relazione annuale, il Governatore della Banca d’Italia segnalava come “lo sfavorevole trattamento fiscale delle rettifiche su crediti, sebbene attenuato, non ne consente ancora la deducibilità immediata dal reddito imponibile, come invece avviene negli altri paesi europei”.

                    D.L. 83/2015 - A seguito dell’emanazione del D.L. n. 83/2015, diventano integralmente deducibili ai fini IRES nell’esercizio di iscrizione in bilancio le svalutazioni e perdite su crediti verso la clientela e, come già in precedenza, anche le perdite derivanti da cessioni a titolo oneroso. Per motivi di gettito, tuttavia, per il solo esercizio 2015 la deducibilità viene “ridotta” al 75% del complessivo ammontare di svalutazioni e perdite, mentre è confermata la rilevanza del 100% delle perdite da cessione.

                    Assicurazione - Per effetto del richiamo da parte dell’art. 16, comma 9, del D.Lgs. n. 173/1997, la disposizione di cui sopra si applica anche alle imprese di assicurazione (“Alle svalutazioni dei crediti nei confronti degli assicurati [...] si applicano le disposizioni di cui all’art. 106, comma 3, del T.U.I.R.”).

                    Eccedenza precedente - L’eccedenza risultante dall’applicazione del limite per il 2015 e le svalutazioni delle perdite su crediti, iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 e non ancora dedotte con le regole in vigore prima delle modifiche, sono deducibili per il 5, l’8, il 10 e il 12% del loro ammontare, rispettivamente, nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2016, nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2017, nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2018 e nei periodi di imposta da quello in corso al 31 dicembre 2019 fino a quello in corso al 31 dicembre 2024. Il rimanente 5% viene dedotto nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2025.

                    Acconto - Delle modifiche normative non va tenuto conto in sede di determinazione dell’acconto Ires dovuto per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2015 e per i due periodi successivi.

                    Irap -
                    Ai fini IRAP, mentre nella determinazione del valore della produzione di banche ed enti finanziari le perdite/utili da cessione erano già computabili per intero, le svalutazioni crediti lo sono unicamente a partire dal 2013 con riparto su cinque esercizi (20% annuo).

                    Modifica - Con il D.L. n. 83/2015 le svalutazioni diventano integralmente deducibili, salvo la limitazione al 75% per il solo 2015, mentre le svalutazioni già rinviate dagli esercizi 2013 e 2014, aumentate del 25% delle svalutazioni 2015 non deducibili, sono da riscadenzare con le medesime percentuali previste per l’IRES. Per quanto attiene al recupero IRAP, vi è un significativo allungamento dei tempi: dal rientro entro il 2017 previsto per le generazioni 2013, si passa infatti al 2025.

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