È stato necessario analizzare le dichiarazioni di decine di collaboratori di giustizia, rianalizzare gli esiti processuali del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia così come quelli della vicenda collegata all’immobiliare Inim, coinvolta nella speculazione edilizia di Peschiera Borromeo, nel milanese, e a decine di fallimenti, per arrivare a una visione di insieme di fatti, accaduti anche grazie a quello che i giudici definiscono il “silenzio garantito dalle lungaggini processuali“, su un soggetto che lo stesso Paolo Borsellino nel 1992 diceva di sapere in affari con Vito Ciancimino.
Pur non essendo mai stato condannato per reati di associazione mafiosa, Alamia è considerato negli anni ’70 e ’80 socio e prestanome di Vito Ciancimino, nonché imprenditore di riferimento di Provenzano e Riina, socio di Marcello Dell’utri e in contatto con mafiosi del calibro di Antonino Cinà, Saro Riccobono, Salvatore Micalizzi. Considerato vicino a uno dei più spietati killer di Ciaculli, Pino Greco detto ‘scarpuzzedda’, Alamia, all’epoca definito “oscuro ragioniere di Villabate”, fu l’azionista di controllo e il rappresentante legale della storica Inim – Internazionale immobiliare Spa, costituita a Palermo nel 1976 e poi trasferita a Milano, allora considerata potenzialmente “il terzo gruppo italiano in campo immobiliare”.
La società si occupò dell’acquisto di grandi aziende fallite e dei relativi pregiati terreni, resi edificabili in Lombardia, Piemonte e Lazio, per grandi operazioni di speculazione immobiliare ad alto tasso d’utile. Nell’operazione Dell’Utri, stando alle indagini della Procura di Palermo, “fungeva da mediatore tra l’imprenditoria milanese e la mafia, mentre Alamia ne avrebbe rappresentato gli interessi. Gli stessi indagati o coimputati Filippo Alberto Rapisarda, Rocco Remo Morgano, Gioacchino Pennino e Tullio Cannella hanno indicato Alamia quale soggetto vicino a Cosa Nostra pur non essendo formalmente affiliato. Alberto Rapisarda, coinvolto con Alamia nel processo sul fallimento della storica azienda alimentare piemontese Venchi Unica, per sfuggire a un mandato di cattura era stato ospitato in Venezuela dal clan Caruana-Cuntrera”.
Lady Descalzi incombe da anni come un’ombra nera sugli affari africani dell’Eni. Marie Magdalena Ingoba, detta Madò, cittadina congolese, ha sposato molti anni fa Claudio Descalzi, numero uno di Eni che proprio in Congo ha mosso i primi passi della sua carriera. Oggi Madò vive a Parigi e gira il pianeta, ma è ben integrata nel mondo degli affari della Repubblica Democratica del Congo, che ruota tutto attorno agli affari personali del suo eterno presidente, Denis Sassou Nguesso.
I business di Madò sono da tempo sotto osservazione. Spuntano nei Panama Papers. Sono lambiti da un’inchiesta giudiziaria in Francia. E ora se ne stanno occupando anche i pm della Procura di Milano che vogliono vedere chiaro nelle attività di Eni in Congo.
Lady Descalzi incombe da anni come un’ombra nera sugli affari africani dell’Eni. Marie Magdalena Ingoba, detta Madò, cittadina congolese, ha sposato molti anni fa Claudio Descalzi, numero uno di Eni che proprio in Congo ha mosso i primi passi della sua carriera. Oggi Madò vive a Parigi e gira il pianeta, ma è ben integrata nel mondo degli affari della Repubblica Democratica del Congo, che ruota tutto attorno agli affari personali del suo eterno presidente, Denis Sassou Nguesso.
I business di Madò sono da tempo sotto osservazione. Spuntano nei Panama Papers. Sono lambiti da un’inchiesta giudiziaria in Francia. E ora se ne stanno occupando anche i pm della Procura di Milano che vogliono vedere chiaro nelle attività di Eni in Congo.
Da una rogatoria disposta in Lussemburgo, hanno appena scoperto che Lady Descalzi era fino al 2014 la proprietaria di una società lussemburghese, la Cardon Investments sa, che controlla una serie di società chiamate Petro Service, tra cui la Petro Service Congo, che dal 2012 al 2017 è stata fornitrice di Eni Congo, a cui ha affittato navi e prestato servizi per un valore di 104,8 milioni di dollari. Dunque la compagnia petrolifera di cui Descalzi è ai vertici – fino al 2014 capo del settore Esplorazione e produzione e poi fino a oggi amministratore delegato – avrebbe affidato lavori per molti milioni di dollari a società della moglie di Descalzi. Lo ha scritto ieri il Corriere della Sera, che ha registrato anche la netta smentita della signora Descalzi.
La legale che l’assiste in Italia, Nadia Alecci, conferma al Fatto Quotidiano che Marie Magdalena Ingoba, raggiunta al telefono, ha detto: “Non so proprio nulla di questa società”. Secondo i documenti arrivati in risposta alla rogatoria chiesta in Lussemburgo dai pm Fabio De Pasquale, Sergio Spadaro e Paolo Storari, però, la Cardon Investments è stata venduta l’8 aprile 2014 dalla signora Ingoba. Il compratore è Alexander Haly, uomo d’affari nato nel Regno Unito ma basato a Montecarlo. Sei giorni dopo la vendita, il 14 aprile 2014, l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi indica Descalzi come nuovo amministratore delegato di Eni, ruolo che assume il 9 maggio 2014. Quattro anni dopo, il 5 aprile 2018, De Pasquale, Spadaro e Storari mandano la Guardia di finanza a perquisire abitazioni e uffici di Haly (a Montecarlo), di Roberto Casula (numero tre di Eni) e diMaria Paduano (donna d’affari vicina a Casula). Li ritengono coinvolti “in uno schema corruttivo”
In questa storia scorre anche la birra. Secondo le carte dell’inchiesta francese denominata “Bien mal aquis”, infatti, e come scritto dal settimanale L’Espresso, Marie Magdalena Descalzi sarebbe titolare della African Beer Investment Ltd, registrata alle Mauritius, in società con Julienne Sassou Nguesso, una delle figlie del presidente del Congo, e con Hubert Pendino, considerato il gestore dei tesori del dittatore africano. Ora, se le carte arrivate dal Lussemburgo dicono la verità, della signora Descalzi e del bruciante conflitto d’interessi del marito sentiremo molto parlare.
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