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Il valigione del tirocinante

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    Il nuovo redditometro non è applicabile prima del 2009

    La Cassazione conferma la tesi dell’irretroattività, «cristallizzata» nell’art. 22 del DL 78/2010


    Il nuovo redditometro non è applicabile retroattivamente al posto del vecchio strumento presuntivo, in quanto è la stessa legge a stabilire chiaramente la sua applicabilità a decorrere dagli accertamenti relativi al periodo d’imposta 2009. È quanto deciso dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22744 depositata ieri.
    Si ricorda che la riforma dell’accertamento sintetico, avvenuta ad opera dell’art. 22 del DL 78/2010, ha profondamente innovato la disciplina del redditometro di cui all’art. 38, comma 4 e seguenti del DPR 600/1973.
    Con l’approvazione delle disposizioni attuative recate dal DM 24 dicembre 2012 è subito apparso evidente che il nuovo strumento presuntivo sarebbe stato molto più aderente alla realtà rispetto al precedente fondato sui decreti ministeriali del 1992: se per quest’ultimo, infatti, un’auto utilitaria determinava un reddito sinteticamente accertabile di qualche decina di migliaia di euro, il nuovo meccanismo presuntivo, invece, consente di desumereinduttivamente un reddito di qualche migliaia di euro, a seconda di vari fattori (sempreché non siano disponibili in Anagrafe tributaria dati puntuali sulle spese).

    La maggiore convenienza del nuovo redditometro ha spesso indotto i difensori dei contribuenti a chiederne l’applicazione in luogo del precedente strumento presuntivo. In proposito, però, la giurisprudenza di merito è giunta ad approdi differenti. Con le sentenze nn. 41/2/13 e 74/2/13, rispettivamente della C.T. Prov. di Rimini e della C.T. Prov. di Reggio Emilia, è stato sostanzialmente stabilito che il nuovo redditometro è applicabile retroattivamenteanche ai periodi d’imposta precedenti al 2009, in sostituzione del vecchio strumento, alla stessa stregua di quanto avviene in materia di accertamento da studi di settore, laddove lo strumento presuntivo più recente sostituisce quello più obsoleto.
    La C.T. Prov. di Alessandria, invece, con la sentenza n. 60/3/13, ha stabilito – in modo tranchant – che il nuovo redditometro può essere applicato soltanto a decorrere dal periodo d’imposta 2009, non avendo esso efficacia retroattiva.

    In realtà, il dato normativo è molto chiaro nel senso dell’applicabilità del nuovo strumento soltanto a decorrere dal periodo d’imposta 2009. Già due anni fa era stato evidenziato su Eutekne.info (si veda “Il nuovo redditometro non è retroattivo” del 18 ottobre 2013) che basterebbe il sol dato normativo, costituito dall’art. 22, comma 1 del DL 78/2010, per desumere inequivocabilmente che le nuove disposizioni redditometriche hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore” del DL 78/2010, ovvero dal periodo d’imposta 2009.
    Inoltre, il decreto attuativo delle nuove disposizioni, DM 24 dicembre 2012, all’art. 5, comma 1, prescrive altrettanto chiaramente che “Le disposizioni [...] si rendono applicabili alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009”.
    Un’interpretazione di tali norme che giungesse a stabilire la retroattività del nuovo redditometro, quindi, realizzerebbe l’esatto contrario di quello che le medesime norme chiaramente dispongono.

    Inconferente il richiamo al favor rei
    Quanto sopra trova conferma nell’ordinanza di ieri della Suprema Corte, che, in verità, richiamando la precedente sentenza n.21041/2014 (forse a suo tempo poco “commentata”), ha chiarito che è inconferente il richiamo alla retroattività delle disposizioni del nuovo redditometro perché esse non hanno natura procedimentale come le norme dei decreti del 1992.
    Altrettanto inconferente è il richiamo al principio del favor rei, atteso che non si tratta di norme sanzionatorie, ma di disposizioni che riguardano poteri di accertamento o di formazione della prova.

    Infine – ed è questa la parte motivazionale forse più rilevante – la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare; ma il diritto intertemporale necessariamente recede a fronte di esplicita previsione di diritto transitorio che identifica la norma applicabile. E nel caso di specie, con disposizione di diritto transitorio, il predetto art. 22, comma 1 statuisce che le modifiche apportate al DPR 600/1973, art. 38, producono effetti “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, ossia per l’accertamento del reddito relativo a periodi d’imposta a partire dal 2009.
    Tale decisione dei Supremi Giudici, in conclusione, potrebbe (e dovrebbe) avere un certo peso sull’eventuale contenzioso ancorapendente in materia.

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      Buongiorno Rol

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        Buongiorno grey

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          :-) ad entrambi!

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            Ciao!

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              la sentenza della Corte dei Conti Sicilia Appelli n. 117 del 27 marzo 2014 con cui è stata confermata la condanna a pagare la somma di ben € 8.350.475,38 nei confronti di un dipendente che ha eseguito un ordine illegittimo senza che lo stesso si sia attivato nel contestare l'illegittimità dell'ordine. Il dipendente, dice la Corte, aveva l'obbligo di attivare il c.d. “diritto di rimostranza”, cioè di contestare l’illegittimità dell’ordine/delega ricevuto, al fine di riversare sull’esclusiva responsabilità dell’ordinante le conseguenze dannose della disposizione.
              La Corte dei Conti ribadisce in questa recente sentenza che :
              "Non sussiste, infatti, un obbligo incondizionato del pubblico dipendente di eseguire le disposizioni, ivi incluse quelle derivanti da atti di organizzazione, impartite dai superiori o dagli organi sovraordinati, posto che il dovere di obbedienza incontra un limite nella ragionevole obiezione circa l’illegittimità dell’ordine ricevuto.
              Il c.d. “potere (rectius: dovere) di rimostranza” del pubblico impiegato, disciplinato dall’art. 17 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, comporta per il dipendente l’obbligo di fare immediata e motivata contestazione a chi ha impartito l’ordine, e solo se l’ordine è ribadito per iscritto il dipendente non può esimersi dall’eseguirlo, a meno che l’esecuzione non configuri un’ipotesi di reato (vedi: Cons. Stato, Sez. V, sentenza 15 dicembre 2008, n. 6208)."
              Se il dipendente avesse provveduto a contestare l'illegittimità dell'atto, la sua responsabilità per danno erariale sarebbe stata di sicuro, se non esclusa, attenuata.

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                Originariamente inviato da grey wolf Visualizza il messaggio
                la sentenza della Corte dei Conti Sicilia Appelli n. 117 del 27 marzo 2014 con cui è stata confermata la condanna a pagare la somma di ben € 8.350.475,38 nei confronti di un dipendente che ha eseguito un ordine illegittimo senza che lo stesso si sia attivato nel contestare l'illegittimità dell'ordine. Il dipendente, dice la Corte, aveva l'obbligo di attivare il c.d. “diritto di rimostranza”, cioè di contestare l’illegittimità dell’ordine/delega ricevuto, al fine di riversare sull’esclusiva responsabilità dell’ordinante le conseguenze dannose della disposizione.
                La Corte dei Conti ribadisce in questa recente sentenza che :
                "Non sussiste, infatti, un obbligo incondizionato del pubblico dipendente di eseguire le disposizioni, ivi incluse quelle derivanti da atti di organizzazione, impartite dai superiori o dagli organi sovraordinati, posto che il dovere di obbedienza incontra un limite nella ragionevole obiezione circa l’illegittimità dell’ordine ricevuto.
                Il c.d. “potere (rectius: dovere) di rimostranza” del pubblico impiegato, disciplinato dall’art. 17 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, comporta per il dipendente l’obbligo di fare immediata e motivata contestazione a chi ha impartito l’ordine, e solo se l’ordine è ribadito per iscritto il dipendente non può esimersi dall’eseguirlo, a meno che l’esecuzione non configuri un’ipotesi di reato (vedi: Cons. Stato, Sez. V, sentenza 15 dicembre 2008, n. 6208)."
                Se il dipendente avesse provveduto a contestare l'illegittimità dell'atto, la sua responsabilità per danno erariale sarebbe stata di sicuro, se non esclusa, attenuata.

                Si conosco ...ci sono tante categorie di ordini ahahahah
                Ultima modifica di ROL; 07-11-2015, 14:45.

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                  Originariamente inviato da Limavy Visualizza il messaggio
                  :-) ad entrambi!
                  A soret ( che non hai...)

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                    Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio
                    Si conosco ...ci sono tante categorie di ordini ahahahah
                    E tanti ubbidienti...;-))

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                      Originariamente inviato da grey wolf Visualizza il messaggio
                      E tanti ubbidienti...;-))
                      Mettiti a studià va.....

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