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concorso agenzia delle entrate 2015 - 892 posti per funzionari amministrativi

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    Eutekne.info - Le indicazioni sostitutive degli interpelli in UNICO sono ravvedibili

    se ti va avvisami, io ho tanto, tanto da fare in questo momento.....(calcola tu la convenienza )......

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      Eutekne.info - Controllo ampio nel transfer pricing
      e

      ecco bravi......(proprio così è u fatt..)

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        stabile iva

        Eutekne.info - Adempimenti IVA variabili per i soggetti con «stabile» in Italia

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          L'inedito trio composto da Formigoni, Verdini e Razzi alla buvette | LA7 - Video e notizie su programmi TV, sport, politica e spettacolo

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            le perdite no ma le ritenute si....

            Eutekne.info - Riattribuzione delle ritenute anche per l’impresa familiare

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              ancora.....

              PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE

              Con la riforma del diritto di famiglia, il legislatore ha rilevato l'esigenza di tutelare ilfamiliare che presta il proprio lavoro nell'impresa di famiglia (normalmente a titologratuito) prevedendo, ai sensi dell'art. 230 bis del codice civile, il suo diritto dipartecipazione agli utili dell'impresa ed ai beni acquistati con essi, nonché agliincrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantitàe qualità del lavoro prestato. Il diritto di partecipazione è intrasferibile e può essereliquidato in denaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione di lavoroed in caso di alienazione dell'azienda.L'art. 230 bis citato, come ha rilevato la giurisprudenza, si applica quando non siaconfigurabile un diverso rapporto (esempio: un rapporto di lavoro subordinato oassociativo - Cass. 24 marzo 2000 n. 3520); è possibile cioè una disciplina negozialediversa, purché il familiare non sia posto in una posizione deteriore rispetto a quellaprevista dall'art. 230 bis.In tal senso l'istituto in questione assume natura residuale.

              Per quanto riguarda la natura giuridica del rapporto che si instaura tra l'imprenditoree i familiari che prestano il proprio lavoro nell'impresa, in giurisprudenza , dopovarie oscillazioni, si è consolidato il principio secondo cui l'impresa familiare hanatura individuale e non collettiva (associativa); pertanto è imprenditore unicamenteil titolare dell'impresa, il quale la esercita assumendo in proprio diritti edobbligazioni, oltre la piena responsabilità verso i terzi. Ciò è comprovato dallacircostanza che il fallimento dell'imprenditore non coinvolge i familiari. In virtùdella natura di impresa individuale, le eventuali perdite conseguite sono imputateesclusivamente al titolare dell’impresa familiare.Muovendo da tale tesi, il legislatore ha stabilito la disciplina fiscale avvertendo, tral’altro, in considerazione della peculiarità dell’istituto in questione, l'esigenza diporre dei limiti per evitare operazioni elusive, volte ad aggirare il principio dellacapacità contributiva attraverso abbattimenti di imponibili e riduzioni di aliquote chetrasformino il fisiologico godimento di profitti da parte dei familiari in costi perl'impresa.Così l'art. 5 del DPR 22 dicembre 1986, n 917 (TUIR), nel prevedere che i redditidelle imprese familiari, di cui all'art. 230 bis del codice civile, siano imputati aciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la suaattività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazioneagli utili, fissa il limite massimo di tale imputazione al 49 per cento dell'ammontarerisultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore; inoltre elenca gliadempimenti che devono essere osservati, per poter usufruire di tale disciplina.In base alle disposizioni richiamate il reddito dell'impresa è dichiarato nel suoammontare complessivo dall'imprenditore, che è l'unico titolare dell'impresa, ilquale può imputare parte del suo reddito ai familiari per un ammontare nonsuperiore al 49 per cento. Va al riguardo rilevato che i redditi imputati a tali soggetti,in proporzione delle rispettive quote di partecipazione non rappresentano costi nelladeterminazione del reddito dell’impresa familiare, bensì una ripartizione dell’utiledell’impresa stessa . Ciò significa che nella contabilità dell’imprenditore non vieneiscritto il “costo” del lavoro del collaboratore ma lo stesso viene remunerato comequota di utile che diminuisce il reddito del titolare in dichiarazione dei redditi. Inoltre l’art. 60 del TUIR (che si riferisce ad ipotesi diverse dal diritto dipartecipazione previsto dall’art. 230 bis c.c.) ha stabilito che “non sono ammessededuzioni a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svoltadall’imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età opermanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti nonché dai familiaripartecipanti all’impresa familiare di cui al comma 4 dell’art. 5” ( al riguardo Cass.19012 del 2005 e n. 17963 del 2003).
              La liquidazione del diritto di partecipazione all'impresa familiare in caso di recessonon trova una disciplina specifica nel sistema del TUIR , come avviene invece peraltre fattispecie previste dai citati articoli 5 e 60.Ai fini della soluzione della questione relativa al trattamento fiscale dell’operazionein questione occorre pertanto tener conto della peculiarità dell'istituto previstodall'art. 230 bis del codice civile e della ratio legis espressa dal legislatore fiscalenelle disposizioni su richiamate.Come evidenziato dalla giurisprudenza, partendo dalla tesi che l'impresa familiareha natura individuale, la partecipazione del familiare all'impresa ha una rilevanzameramente interna nei rapporti tra l'imprenditore ed i suoi familiari in quanto ilfondamento di tale istituto va ravvisato nella solidarietà che deve risiedere neirapporti familiari e nell'esigenza di tutela e valorizzazione del lavoro prestato daicomponenti della famiglia che hanno dato il loro contributo all'impresa, così comestabilito dall'art. 230 bis del c.c.. Per effetto di tale disposizione l'imprenditore devedevolvere parte del suo reddito ai componenti della famiglia che collaboranonell'impresa, e deve liquidare al familiare il diritto di partecipazione nell'ipotesi incui cessi di lavorare nell’impresa. Nell'impresa familiare i diritti dei collaboratori non toccano la titolarità dell'aziendae rilevano solo sul piano obbligatorio, senza comportare alcuna modifica nellastruttura dell'impresa facente capo al titolare della stessa, che solo ha la qualifica diimprenditore ed al quale spettano i poteri di gestione e di organizzazione del lavoroimplicanti la subordinazione dei familiari che lo coadiuvano (Cass. civ., sez. Lavoro,25-07-1992, n. 8959- Cass. civ., sez. Lavoro, 06-03-1999, n. 1917).Secondo una interpretazione logico sistematica, quindi, le somme corrispostedall’imprenditore non sono collegabili all’esercizio della sua attività in quantodirette a soddisfare esigenze estranee alle finalità e alla logica d’impresa.In tale contesto la liquidazione al coniuge del diritto di partecipazione all'impresafamiliare afferisce alla sfera personale dei soggetti del rapporto in questione epertanto non è riconducibile a nessuna delle categorie reddituali previste dal TUIR;l'importo attribuito non va pertanto assoggettato ad IRPEF in capo al soggettopercipiente. Come ulteriore conseguenza discende che la somma in questione nonrileva come componente negativo e non è deducibile dal reddito d'impresa, nonricorrendo il requisito dell'inerenza previsto dall'art. 109, comma 5 del TUIR, che siconfigura per le spese riferite ad attività da cui derivano proventi che concorrono aformare il reddito.La tesi prospettata è conforme tra l'altro al principio espresso con la circolare n. 320del 1997 che, nell'ipotesi di conferimento in società dell'impresa familiare,ponendosi il problema del trattamento fiscale dei diritti di credito dei collaboratorifamiliari in ordine agli incrementi patrimoniali loro spettanti, ha affermato che "iltitolare dell'impresa familiare che acquisisce la partecipazione dalla societàconferitaria dovrà liquidare i diritti di credito spettanti ai collaboratori familiarisecondo le regole civilistiche senza che da ciò derivino conseguenze fiscali in ordineal valore delle dette partecipazioni"Per le ragioni esposte, contrariamente a quanto affermato dall’istante, non puòtrovare applicazione la disciplina dettata dagli art. 17 e 20 bis del TUIR, che delresto, riguardando le imprese collettive, non può riferirsi all’impresa familiare di cuiall’art. 230 bis c.c. che appartiene al solo titolare (i familiari partecipanti hannodiritto solo alla quota degli utili)..Le Direzioni Regionali vigileranno affinché i principi enunciati nella presenterisoluzione vengano applicati con uniformità.

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                ancora........

                Impresa familiare: parere dell'Agenzia delle Entrate sulla tassazione delle plusvalenze da cessione

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                  Il criterio di cassa nelle cessioni di beni strumentali alla professione

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                    Ti ho raggiunto, finalmente...

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                      Quando posti articoli di Eutekne tieni conto del fatto che a volte non possiamo leggere tutto e che non ho ancora capito come stampare e salvare...c'è scritto riproduzione riservata...ho provato a mandarmi gli articoli alla mail

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                      Sto operando...
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