Intanto io sto facendo ancora le scritture sulle operazioni con le banche...
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concorso agenzia delle entrate 2015 - 892 posti per funzionari amministrativi
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Originariamente inviato da Torcia Visualizza il messaggioCiao a tutti, qualcuno sa risolvere questa?
Un’enciclopedia è composta di 8 volumi, ognuno di
600 pagine. Se i volumi sono disposti normalmente
affiancati in una libreria, quante pagine ci sono (senza
contare le copertine) fra la prima pagina del sesto
volume e l'ultima pagina del settimo volume?
a) 1.800 b) 1.200 c) 0 d) 600
Risp. C
600*5=3000
600*7=4200
4200-3000=1200
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Originariamente inviato da strelizia Visualizza il messaggioper me risp. b
600*5=3000
600*7=4200
4200-3000=1200
non capisco nemmeno io, comunque la C è la risposta corretta che danno nell'esercizio
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[QUOTE=Torcia;1190934]Ciao a tutti, qualcuno sa risolvere questa?
[FONT=Times New Roman][SIZE=2][FONT=Times New Roman][SIZE=2]Un’enciclopedia è composta di 8 volumi, ognuno di
600 pagine. Se i volumi sono disposti normalmente
affiancati in una libreria, quante pagine ci sono (senza
contare le copertine) fra la prima pagina del sesto
volume e l'ultima pagina del settimo volume?
[B][FONT=Times New Roman][SIZE=2][FONT=Times New Roman][SIZE=2]a) 1.800 b) 1.200 c) 0 d) 600
Risp. C
Si dovrebbe essere C...normalmente affiancati in genere i libri hanno la copertina d inizio a destra, quindi escludendola, fra la prima pagina di un volume e l ultima del volume successivo non ci sono pagine... Se avesse detto tra la prima del sesto e la prima del settimo allora si dovevano contare moltiplicando...prova a guardare la disposizione dei tuoi libri, ovviamente in verticale [emoji4]
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Originariamente inviato da strelizia Visualizza il messaggioCredo sia necessario procedere piano piano in modo da capire normativa civilistica e normativa fiscale per poi confrontarle...altrimenti faccio pasticci...
"a tal proposito".....
NOTA BENE
Quando si parla di reddito fiscale non si discute di quanto abbiano guadagnato, in concreto, Tizio o Caio in un determinato arco temporale: non si tratta di stabilire, in altre parole, a quanto ammonti il
saldo di un conto bancario, quanta liquidità si trovi nelle casse aziendali o nello studio professionale, oppure quale sia la dimensione dei risparmi ascrivibili a un dato contribuente. Al contrario, si tratta qui di stabilire quale e quanta ricchezza possa esser ascritta ai soggetti sopra citati in virtù delle disposizioni applicabili alle specifiche situazioni nelle quali essi si sono trovati nel corso del periodo d’imposta. Mi sto riferendo, pertanto, ad una dimensione giuridica di reddito.
Dal punto di vista economico, il reddito consiste in un incremento del patrimonio prodottosi nell’arco di un determinato spazio temporale e riferibile a un certo soggetto. In questa prospettiva, si tratta una ricchezza “nuova”, che può aggiungersi alle altre ricchezze già incapsulate nel patrimonio di Tizio, di Caio o di Sempronio, magari generate da un’attività che questi ultimi soggetti hanno in passato esercitato.
Qualora si guardi al comparto degli imprenditori di più elevate dimensioni, il concetto economico di reddito emerge dalla contrapposizione contabile tra proventi e costi (non importa se di carattere ordinario o di carattere straordinario), includendo nelle componenti negative anche voci che sono il frutto di stime e congetture (in particolare, gli accantonamenti e gli ammortamenti).
Nell’esame delle fattispecie concrete, ciò che conta è che, per generare ricchezza (sotto forma, ad esempio, di ricavi derivanti dalla vendita di beni), è necessario bruciare altra ricchezza (ad esempio, attraverso il canale delle retribuzioni, degli interessi passivi, dei costi per l’acquisto delle materie prime o per il pagamento degli amministratori). È necessario, in altre parole, remunerare i fattori produttivi.
Quando invece ci si colloca nella prospettiva giuridica e, segnatamente, in quella del diritto tributario, si definisce reddito ciò che il legislatore ha qualificato in tal modo. Ci si deve confrontare, dunque, con un filtraggio normativo il quale impone di tassare solamente gli arricchimenti che il titolare della potestà impositiva abbia intercettato attraverso una disposizione.
Evidentemente ciò non esclude che, dovendosi tassare, ad esempio, il reddito, questa entità possa essere intercettata per via presuntiva, avvalendosi di stime, valutazioni, comparazioni. Tassare un fatto economico non significa che tale fatto debba essere misurato con precisione millimetrica. Al contrario, possono darsi casi nei quali assume rilevanza l’ordine di grandezza, la probabilità che l’operazione si sia svolta in un modo anziché in un altro, la credibilità dei dati dichiarati rispetto a quelli che, al contrario, l'Amministrazione finanziaria abbia acquisito.
E' bene segnalare come il Testo unico delle imposte sul reddito (t.u.i.r.), contenuto nel DPR n.
917/1986, non contenga affatto una definizione generale e diretta di “reddito” e si limiti, invece, a delineare questo elemento (il “reddito complessivo”) mediante il richiamo alle “categorie di reddito” elencate nell’art. 6.
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[QUOTE=merenda;1190940]Originariamente inviato da Torcia Visualizza il messaggioCiao a tutti, qualcuno sa risolvere questa?
[FONT=Times New Roman][SIZE=2][FONT=Times New Roman][SIZE=2]Un’enciclopedia è composta di 8 volumi, ognuno di
600 pagine. Se i volumi sono disposti normalmente
affiancati in una libreria, quante pagine ci sono (senza
contare le copertine) fra la prima pagina del sesto
volume e l'ultima pagina del settimo volume?
[B][FONT=Times New Roman][SIZE=2][FONT=Times New Roman][SIZE=2]a) 1.800 b) 1.200 c) 0 d) 600
Risp. C
Si dovrebbe essere C...normalmente affiancati in genere i libri hanno la copertina d inizio a destra, quindi escludendola, fra la prima pagina di un volume e l ultima del volume successivo non ci sono pagine... Se avesse detto tra la prima del sesto e la prima del settimo allora si dovevano contare moltiplicando...prova a guardare la disposizione dei tuoi libri, ovviamente in verticale [emoji4]
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Originariamente inviato da ROL Visualizza il messaggio"a tal proposito".....
NOTA BENE
Quando si parla di reddito fiscale non si discute di quanto abbiano guadagnato, in concreto, Tizio o Caio in un determinato arco temporale: non si tratta di stabilire, in altre parole, a quanto ammonti il
saldo di un conto bancario, quanta liquidità si trovi nelle casse aziendali o nello studio professionale, oppure quale sia la dimensione dei risparmi ascrivibili a un dato contribuente. Al contrario, si tratta qui di stabilire quale e quanta ricchezza possa esser ascritta ai soggetti sopra citati in virtù delle disposizioni applicabili alle specifiche situazioni nelle quali essi si sono trovati nel corso del periodo d’imposta. Mi sto riferendo, pertanto, ad una dimensione giuridica di reddito.
Dal punto di vista economico, il reddito consiste in un incremento del patrimonio prodottosi nell’arco di un determinato spazio temporale e riferibile a un certo soggetto. In questa prospettiva, si tratta una ricchezza “nuova”, che può aggiungersi alle altre ricchezze già incapsulate nel patrimonio di Tizio, di Caio o di Sempronio, magari generate da un’attività che questi ultimi soggetti hanno in passato esercitato.
Qualora si guardi al comparto degli imprenditori di più elevate dimensioni, il concetto economico di reddito emerge dalla contrapposizione contabile tra proventi e costi (non importa se di carattere ordinario o di carattere straordinario), includendo nelle componenti negative anche voci che sono il frutto di stime e congetture (in particolare, gli accantonamenti e gli ammortamenti).
Nell’esame delle fattispecie concrete, ciò che conta è che, per generare ricchezza (sotto forma, ad esempio, di ricavi derivanti dalla vendita di beni), è necessario bruciare altra ricchezza (ad esempio, attraverso il canale delle retribuzioni, degli interessi passivi, dei costi per l’acquisto delle materie prime o per il pagamento degli amministratori). È necessario, in altre parole, remunerare i fattori produttivi.
Quando invece ci si colloca nella prospettiva giuridica e, segnatamente, in quella del diritto tributario, si definisce reddito ciò che il legislatore ha qualificato in tal modo. Ci si deve confrontare, dunque, con un filtraggio normativo il quale impone di tassare solamente gli arricchimenti che il titolare della potestà impositiva abbia intercettato attraverso una disposizione.
Evidentemente ciò non esclude che, dovendosi tassare, ad esempio, il reddito, questa entità possa essere intercettata per via presuntiva, avvalendosi di stime, valutazioni, comparazioni. Tassare un fatto economico non significa che tale fatto debba essere misurato con precisione millimetrica. Al contrario, possono darsi casi nei quali assume rilevanza l’ordine di grandezza, la probabilità che l’operazione si sia svolta in un modo anziché in un altro, la credibilità dei dati dichiarati rispetto a quelli che, al contrario, l'Amministrazione finanziaria abbia acquisito.
E' bene segnalare come il Testo unico delle imposte sul reddito (t.u.i.r.), contenuto nel DPR n.
917/1986, non contenga affatto una definizione generale e diretta di “reddito” e si limiti, invece, a delineare questo elemento (il “reddito complessivo”) mediante il richiamo alle “categorie di reddito” elencate nell’art. 6.
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Ad ogni categoria di reddito corrispondono situazioni soggettive differenti, le quali esprimono, nell’impianto generale di questa disciplina, le “fonti” del reddito.
Attraverso questa espressione (“fonti del reddito”) sono individuati i fatti economici che immettono il contribuente, di volta in volta, nel circuito di questa o di quella categoria.
Tra queste categorie vi è una (il reddito d'impresa) che è dotato di forza di attrazione rispetto ai redditi contemplati nelle altre categorie, nel senso che le fattispecie inserite in queste ultime divengono
generatrici di componenti positive o negative del reddito d’impresa se riconducibili, appunto, all’imprenditore commerciale
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