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Quando il latino viene studiato più in Francia e in Germania che non in Italia...

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    Quando il latino viene studiato più in Francia e in Germania che non in Italia...

    Il latino si studia più in Francia e in Germania che non in Italia, la Storia dell'arte è stata levata dai licei etc. etc. orchestre e musicisti non vengono finanziati, la ricerca scientifica è alla frutta, i teatri gemono, gli scavi archeologici crollono, i monumenti non sono tenuti nell'adeguata considerazione, i musei sono in passivo, etc. etc., ma l'importante è che i ministri della Pubblica Istruzione e dei Beni Culturali, assieme a tutto il resto dell'ambaradann, continuino ad essere i più pagati d'Europa, a viaggiare in auto blu e vedersi assicurato il sostanzionzoso vitalizio:

    Philippe Daverio: "Pompei crolla? C'è solo una soluzione, affidiamo i nostri beni culturali a una potenza straniera" | tiscali.notizie


    Philippe Daverio: "Pompei crolla? C'è solo una soluzione, affidiamo i nostri beni culturali a una potenza straniera"
    di Ignazio Dessì
    E’ toccato alla Domus dei gladiatori ma in futuro potrebbe toccare a qualche altro gioiello del nostro patrimonio culturale. Il crollo avvenuto a Pompei ha suscitato l'incredulità di tanti cittadini e spinto il Presidente Napolitano a parlare di "vergogna per l'Italia". E, mentre i giornali stranieri puntano il dito su di noi, rei di non saper tutelare le perle che la storia ci ha regalato, un esperto d’arte come Philippe Daverio (docente all'Università di Palermo e conduttore Rai) afferma provocatoriamente che “l’unica soluzione è chiamare i caschi blu dell’Onu e affidare i nostri beni culturali agli stranieri”.
    Per l'estroso conduttore di Passepartout, educativo programma diRaitre, gli edifici antichi sono tutti destinati a rovinare e persino il cupolone di Firenze, lungi dall'essere eterno, prima o poi crollerà. Per ovviare a tale destino c'è solo una soluzione: fare "come col Pantheon, a Roma, dove si pregano gli dei nello stesso modo da 1900 anni". Per tutelare un edificio bisogna dunque “mantenergli una funzione o assegnargliene un’altra”, in definitiva fare in modo che sia sempre "abitato” e frequentato. Del resto, quello che si vede attualmente a Pompei "rappresenta appena il 15 per cento di quanto videro gli scavatori". Molte cose sono scomparse ed altre stanno scomparendo, come certi affreschi che hanno già perso colore. Ma questo non toglie che "abbiamo dimenticato di conservare l'antica città romana" e, così facendo, "commesso dei crimini". Anche se "il crimine più grande l’hanno compiuto gli anglo-americani bombardandola nel ’43". Dopo però abbiamo "costruito una copertura in cemento, scavato un fosso, e per sessant’anni non ci abbiamo più pensato". Così Pompei è divenuta il "caso per eccellenza dell’incuria" e adesso restano "solo due possibilità: lanciare un appello internazionale in occasione dei Centocinquanta anni dell’Unità d’Italia, ammettendo che non siamo in grado di farcela da soli, oppure rivolgerci all’Unesco, chiedendo l’intervento dei caschi blu". Ma potremmo fare anche una cosa più spiritosa: "Prendere due sassi pompeiani della Schola Armaturarum e seppellirli simbolicamente sull’Altare della Patria, accanto al Milite ignoto", a memoria del "nuovo martire caduto in questa Patria".
    Con qualche ragione la stampa mondiale ci accusa di negligenza e imperizia, mentre perfidamente vengono citati i limiti del commissariamento sotto la Protezione civile e l’uso sbagliato dei finanziamenti. Ma per Daverio il problema non è tanto questo, quanto il limite culturale. “Qualsiasi cosa si faccia a Pompei è inutile” o, perlomeno, "difficile come governare il Meridione”. I dissidi tra le varie aree di custodia, i molti spazi chiusi ai visitatori, la burocrazia e la gente interessata più a vendere le arance davanti alle rovine che a salvare il patrimonio storico, danno vita a “un guazzabuglio pressoché irrisolvibile”. Così il sospetto che noi italiani siamo afflitti da una tara culturale, quella di non saper gestire i nostri tesori, riemerge prepotente, legittimando la provocazione estrema: “Facciamo un bando internazionale (Save Italy) e affidiamo la gestione a una potenza straniera”.
    Perché neppure l’idea di contare su sponsor privati è brillante. “Dobbiamo smetterla – osserva il professore – di pensare che il problema delle cose pubbliche non funzionanti lo possano risolvere sempre i privati, anche perché io pago il 55 per cento di tasse". E' una "stupidata" dovuta a chi pensa di trasformare il “prosciutto pubblico in affettata privata". Abbiamo però "affettato già troppe cose, a volte le abbiamo regalate, e per giunta, in posti come Pompei, non ci sarebbe alcuna redditività". A dirla con una certa vis polemica “lì si potrebbe fare solo ciò che fece la rivoluzione francese a Cluny: trovare un mercante che tagli i sassi a metà per farne tavolini da salotto”. No, "Pompei è una cosa pubblica - sostiene l'esperto - e appartiene più ad altri che a noi". Appartiene a chi, come tedeschi e francesi, "studiano ancora il latino e perciò la amano in maniera viscerale". Anche per questo sarebbe giusto “togliere Pompei agli italiani”. La provocazione fa male, ma, visto l'accaduto, meglio incassare, portare a casa e meditare. Versando lacrime amare. La Domus dei gladiatori è ridotta a calcinacci e non si può recuperare, “solo modellarne un falso, un mesto facsimile”, per riviverne il ricordo.
    D'altro canto Pompei è stata molto ricostruita, specie dopo la guerra, che vide gli angloamericani sganciargli sopra le bombe, "decisi a distruggere la cultura europea con passione, la stessa con cui ora bombardano Bagdad". E’ un loro limite etico. C’era bisogno di "bombardare Cassino, o distruggere Brandeburgo a guerra finita, o il centro di Dresda" privo di insediamenti bellici? Ma tant’è, loro son così. Hanno fatto molto per affossare Pompei, ma è anche vero che, per il resto, ci abbiamo pensato noi. Quindi, arrendiamoci all'evidenza, "chiamiamo i caschi blu" in attesa di sentir Bondi (mercoledì) sciorinare alle Camere blande giustificazioni per arginare le responsabilità dei governanti. Chissà se cercheranno di sfiduciarlo, come il Pd propone. Ma è giusto farne l'unico colpevole? “Sarebbe una carogneria - sentenzia Daverio - per uno che ha di suo la faccia della vittima ma nell'occasione non può essere additato quale unico colpevole", perché le colpe sono "di una certa cultura nazionale".
    Si può osservare che i fondi dei restauri sono stati utilizzati male, ma è pur vero che le sovrintendenze avrebbero bisogno di più risorse e più personale competente, perché "quelli veramente preparati se ne stanno andando in pensione e già vent’anni fa servivano i concorsi per potenziare gli organici". Certo, la Protezione civile sarebbe stata “l’ultima da chiamare in causa per gestire luoghi come Pompei - osserva l'esperto - ma tutto questo ci deve insegnare che occorre ridare forza al Ministero dei Beni culturali e destinare più risorse al settore". Per dirla in soldoni, l’Italia "dovrebbe passare dal destinarvi lo 0,19 per cento del Pil al destinarvi almeno lo 0,50". Troppo? No, troppo poco ancora, "visto che la Germania e la Francia, anche in questi tempi di crisi, vi destinano l’1 per cento". Qui, secondo Daverio, sta la soluzione dell'arcano. A Pompei, simbolicamente parlando, "sono caduti i gladiatori? Bene, rendiamo onore ai gladiatori, ma soprattutto alla nostra impareggiabile storia, dimostrando più sensibilità per la cultura e destinandogli maggiori risorse".
    08 novembre 2010
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