Due sentenze della magistratura mettono nei guai la Pubblica istruzione e potrebbero dare la stura, se non fossero corrette negli altri gradi di giudizio, a un contenzioso con effetti devastanti per le finanze pubbliche. Vediamo, in breve, di che cosa si tratta. Il tribunale di Genova ha accolto il ricorso di un insegnante precario della scuola, che aveva avuto incarichi temporanei ripetuti più volte, e ha condannato l’Amministrazione a pagare la penale prevista nel caso di violazione delle norme che – avendo recepito la direttiva europea nel 2001 – regolano le assunzioni a tempo determinato. La somma da liquidare è pari a 15mila euro; ne deriva che lo Stato dovrebbe mettere in conto alcuni miliardi se tutti gli interessati dovessero fare causa e averla vinta.
Il tribunale di Siena è andato oltre. Ha ritenuto applicabile anche al pubblico impiego la norma di cui alla legge n. 247 del 2007 (il provvedimento che ha recepito il Protocollo sul welfare di quell’anno) laddove prevede che un contratto a tempo determinato non possa – pena la trasformazione a tempo indeterminato – essere rinnovato per un tempo complessivo superiore a 36 mesi. In questo caso, dunque, il giudice ha ordinato, in pratica, la stabilizzazione dei ricorrenti che avevano già compiuto (da idonei) una lunga trafila nella scuola (come è sempre avvenuto a causa delle caratteristiche stesse di quel tipo di impiego) e oltrepassato il limite dei 36 mesi canonici.
Allo stato degli atti c’è da presumere – quanto meno da sperare – che tali sentenze siano corrette negli ulteriori gradi di giudizio, dal momento che l’orientamento assunto sembra essere in palese contrasto con le norme di legge che limitano al settore privato la nuova disciplina del lavoro a termine di cui alla legge n. 386 del 2001. All’occorrenza, tuttavia, è stata predisposta una norma di natura interpretativa (si parla di un emendamento alla legge comunitaria, in aula alla Camera questa settimana) poiché neppure nella pubblica amministrazione è ammissibile una sorta di “imponibile di manodopera” attenta – doverosamente – ai diritti dei lavoratori, ma completamente indifferente nei confronti dell’equilibrio dei conti pubblici, che pure costituisce un bene da tutelare in nome di un interesse superiore della comunità a cui tutti apparteniamo.
Da sempre l’organizzazione del lavoro nella scuola richiede di utilizzare personale straordinario per far fronte alle supplenze, alle sostituzioni e quant’altro. Peraltro, il ministro Gelmini ha assicurato che, grazie alle politiche che hanno bloccato la “fabbrica” dei precari, nel giro di qualche anno tutto il personale dovrebbe essere stabilizzato. La questione è seria, perché lascia trapelare una tentazione molto diffusa a risolvere – per legge – un problema che, come l’occupazione di carattere precario, è determinato dall’economia.
Il tribunale di Siena è andato oltre. Ha ritenuto applicabile anche al pubblico impiego la norma di cui alla legge n. 247 del 2007 (il provvedimento che ha recepito il Protocollo sul welfare di quell’anno) laddove prevede che un contratto a tempo determinato non possa – pena la trasformazione a tempo indeterminato – essere rinnovato per un tempo complessivo superiore a 36 mesi. In questo caso, dunque, il giudice ha ordinato, in pratica, la stabilizzazione dei ricorrenti che avevano già compiuto (da idonei) una lunga trafila nella scuola (come è sempre avvenuto a causa delle caratteristiche stesse di quel tipo di impiego) e oltrepassato il limite dei 36 mesi canonici.
Allo stato degli atti c’è da presumere – quanto meno da sperare – che tali sentenze siano corrette negli ulteriori gradi di giudizio, dal momento che l’orientamento assunto sembra essere in palese contrasto con le norme di legge che limitano al settore privato la nuova disciplina del lavoro a termine di cui alla legge n. 386 del 2001. All’occorrenza, tuttavia, è stata predisposta una norma di natura interpretativa (si parla di un emendamento alla legge comunitaria, in aula alla Camera questa settimana) poiché neppure nella pubblica amministrazione è ammissibile una sorta di “imponibile di manodopera” attenta – doverosamente – ai diritti dei lavoratori, ma completamente indifferente nei confronti dell’equilibrio dei conti pubblici, che pure costituisce un bene da tutelare in nome di un interesse superiore della comunità a cui tutti apparteniamo.
Da sempre l’organizzazione del lavoro nella scuola richiede di utilizzare personale straordinario per far fronte alle supplenze, alle sostituzioni e quant’altro. Peraltro, il ministro Gelmini ha assicurato che, grazie alle politiche che hanno bloccato la “fabbrica” dei precari, nel giro di qualche anno tutto il personale dovrebbe essere stabilizzato. La questione è seria, perché lascia trapelare una tentazione molto diffusa a risolvere – per legge – un problema che, come l’occupazione di carattere precario, è determinato dall’economia.
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