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Conviene al contribuente non esibire la documentazione contabile richiesta?

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    Conviene al contribuente non esibire la documentazione contabile richiesta?

    Spesso (alcuni) imprenditori parassiti consigliati da (alcuni) professionisti di fiducia (soprattutto in caso di erogazioni pubbliche) conservano, i documenti comprovanti le spese, in immobili con tetti d'amianto a "risk score" elevato di crollo (per infiltrazioni d'acqua). La presenza dell'amianto scuaglia .-) la documentazione contabile.
    Da un punto di vista amministrativo fesseria...sanzione da 1032 a 7746 €, alla ricostruzione induttiva ci penserà poi il deflattivo.....i sti ***** sarebbero per il penale, infatti il disconoscimento dell'intero impianto contabile porterà al versomile superamento della soglia di cui all'art 4 Dlg 74/2000. Ma perchè il panzuto professionista di fiducia esprime, consiglia, raccomanda, spedisce lettere di desiderio (tutto non vincolante ovviamente) al fine di persuadere il parassita alla condotta criminale? Semplice...vuole cautelarlo dai rischi dell'instaurazione di un ben più grave procedimento penale (si evita la denuncia all'autorità giudiziaria non prospettabile in assenza delle prove concrete di utilizzo delle F.O.I). peraltro l'eventuale incriminazione per dichiarazione infedele sarebbe comunque meno grave di quella per dichiarazione fraudolenta mediante F.O.I.....capito?

    #2
    mi hanno banno il sti c.azz.i

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      #3
      Corte di cassazione - III sezione penale - Sentenza 10 marzo 2014 n. 1138

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        #4
        Per il giornale accattatavill........

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          #5
          dottò...pubblicità occulta .-)

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            #6
            Ovviamente il dottore ha scritto ben altro....io penso, scrivo ma non garantisco .-)

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              #7
              non garantisco era una battuta....

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                #8
                Certo che se fossi tu Olim l'invisibile....mi faresti una certa impressione in questo momento... (senza offesa)

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                  #9
                  A tre no...

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                    #10
                    11 Marzo 2014

                    Dichiarazione infedele. Prova del dolo specifico

                    Cassazione Penale sentenza del 10 marzo 2014

                    Il contribuente può essere legittimamente condannato per il reato dichiarazione infedele soltanto se la pubblica accusa ha dimostrato il dolo specifico. Il reato in questione, previsto e punito dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000, si consuma al momento della presentazione della dichiarazione e occorre pertanto provare che in quel momento il soggetto ha voluto inserire dati falsi (spese non sostenute, ad esempio) al fine di evadere le imposte. La prova dell’elemento soggettivo del reato non può essere fornita dalla sussistenza di precedenti giudizi a carico del medesimo imputato per reati simili o analoghi. È quanto ha avuto modo di precisare la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11380/14, depositata ieri presso la Terza Sezione Penale.

                    Annullata la condanna.
                    Un imprenditore ha ottenuto l’annullamento della sentenza con cui la Corte d’appello di Milano lo aveva riconosciuto responsabile del reato di dichiarazione infedele, condannandolo alla pena di due anni di reclusione.

                    Motivi della decisione
                    . Gli Ermellini hanno accolto il ricorso prodotto dai difensori dell’imputato poiché il giudice di merito ha (erroneamente) addebitato il reato di dichiarazione infedele a titolo di colpa, atteso che l’imputato non si era attivato per ricostruire la documentazione contabile rimasta sepolta sotto un tetto di amianto crollato a causa d’infiltrazioni di acqua.

                    Sul punto i supremi giudici osservano che il reato di cui all’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 è costituito dalla presentazione – sorretta dal dolo specifico – della falsa dichiarazione e non dalla mancata esibizione dei documenti in sede di verifica fiscale, sicché nel caso di specie non doveva aversi riguardo alla configurabilità o meno della forza maggiore ex art. 45 c.p. (in relazione al crollo del tetto che aveva reso inservibile la documentazione contabile in originale), “ma solo se sussisteva, al momento della dichiarazione, il dolo specifico, l’onere della cui prova spetta al PM”.

                    Giustamente l’imputato ha dedotto che non è consentito ritenere sussistente la responsabilità penale in ordine al reato contestato di dichiarazione infedele sulla base di un diverso elemento psicologico, cioè colpa e non dolo specifico. L’incriminazione, infatti, punisce tipicamente la condotta cosciente e volontaria di chiunque rilasci all’Erario una dichiarazione mendace al fine di evadere le imposte. “Non è dunque sufficiente”, evidenzia la S.C., “affermare che il reato deriverebbe da una colposa inattività che non ha consentito la doverosa ricostruzione documentale, senza accertare che era l’infedeltà della dichiarazione a derivare da un volontario atteggiamento psichico, finalizzato appunto all’evasione fiscale”.


                    ma era d'amianto il tetto...lo giuro

                    Ma per i supremi giudici la Corte d’appello di Milano sbaglia anche quando afferma che “depone per una condotta pienamente consapevole, predeterminata e funzionale all’esigenza di evadere le imposte, anche la personalità dell’imputato, quale emerge dai precedenti (penali) evidenziati dal Giudice di prime cure, fra cui altra sentenza ex art. 444 c.p.p. per lo stesso reato relativo ad altre annualità”. La prova dell’elemento soggettivo del reato, infatti, non può essere data dalla sussistenza di precedenti giudizi a carico del medesimo imputato per reati simili o analoghi: in ciascun procedimento penale deve essere autonomamente allegata la prova di tutti gli elementi costitutivi dalla fattispecie invocata in giudizio, senza desumerla da altri procedimenti.

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