Salve, mi è preso un dubbio sul calcolo dell'IVA, poiché nel mio libro la definizione di neutralità e di applicazione dell'aliquota solo sul valore aggiunto, INDIFFERENTE dal numero dei passaggi è un po' ambigua, o forse sono io che non ho mai capito la vera applicazione di questa imposta.
Io ho capito così, mi sono fatto un esempio mentale in 3 passaggi.
Fabbrica alfa, produce il bene x e vuole avere un netto di 100, quindi lo vende al grossista a 120.
Si rivale sul grossista, liquida la sua imposta e tutti stanno felici.
Qui comincia il problema però, il grossista ha pagato 120, e vuole guadagnare pure lui, anche perché pure la commercializzazione è un valore aggiunto, ed ha i suoi costi. Vuole venderlo per ricavare un netto di 200, quindi applica l'imposta e lo vende al negoziante a 240.
Anche lui ha assolto i suoi obblighi e ha traslato l'imposta ad un altro povero disgraziato, avanti il prossimo.
Il negoziante ha pagato per il bene x 240 e dice: capperi, voglio guadagnarci anch'io, mica sto qui a girarmi i pollici. Valuta il suo lavoro e tutta la sua commercializzazione al minuto 100, vuole venderlo a 300, applica l'imposta e il povero consumatore inciso, il quale non è manco soggetto passivo paga 360.
Tutti sono contenti, tranne il consumatore finale, forse.
Il mio problema è: E' questo il modo per calcolare il "valore aggiunto", oppure si calcola senza scorporare l'imposta?
Mi spiego, se il grossista ha comprato a 120 (comprensivo di imposta quindi), e vuole ricavare 200, non è possibile che consideri il valore aggiunto 80 (120+80=200), oppure lui sa già che il 20% è imposta, e quindi parte da questo presupposto, quindi, scorpora il prezzo netto da quello ivato e aggiunge il suo valore aggiunto, dopo di che applica nuovamente e autonomamente l'imposta?
A questo punto mi viene da pensare che non è vero che al numero dei passaggi sia indifferente l'IVA, c'è sempre un aumento ad ogni nuova cessione, a meno che non ci sia un alcun valore aggiunto.
Ma come si quantifica allora il "valore aggiunto"?
Il negoziante, ad esempio, che vende la bottiglia di olio, non è che aggiunga tanto al valore che quella ha già appena uscita di fabbrica mi pare... E così via per tutto il resto.
Quindi, se consideriamo così latamente la possibilità di "aggiungere valore", anche semplicemente tenere un oggetto in esposizione ed essere lì presenti a venderlo (impresa minore), cosa impedisce di considerare "valore aggiunto" uno che vende una casa dopo 4 anni dalla costruzione o dopo che l'ha comprata da una ditta costruttrice?
E invece no, ci paga l'imposta di registro.
Io ho capito così, mi sono fatto un esempio mentale in 3 passaggi.
Fabbrica alfa, produce il bene x e vuole avere un netto di 100, quindi lo vende al grossista a 120.
Si rivale sul grossista, liquida la sua imposta e tutti stanno felici.
Qui comincia il problema però, il grossista ha pagato 120, e vuole guadagnare pure lui, anche perché pure la commercializzazione è un valore aggiunto, ed ha i suoi costi. Vuole venderlo per ricavare un netto di 200, quindi applica l'imposta e lo vende al negoziante a 240.
Anche lui ha assolto i suoi obblighi e ha traslato l'imposta ad un altro povero disgraziato, avanti il prossimo.
Il negoziante ha pagato per il bene x 240 e dice: capperi, voglio guadagnarci anch'io, mica sto qui a girarmi i pollici. Valuta il suo lavoro e tutta la sua commercializzazione al minuto 100, vuole venderlo a 300, applica l'imposta e il povero consumatore inciso, il quale non è manco soggetto passivo paga 360.
Tutti sono contenti, tranne il consumatore finale, forse.
Il mio problema è: E' questo il modo per calcolare il "valore aggiunto", oppure si calcola senza scorporare l'imposta?
Mi spiego, se il grossista ha comprato a 120 (comprensivo di imposta quindi), e vuole ricavare 200, non è possibile che consideri il valore aggiunto 80 (120+80=200), oppure lui sa già che il 20% è imposta, e quindi parte da questo presupposto, quindi, scorpora il prezzo netto da quello ivato e aggiunge il suo valore aggiunto, dopo di che applica nuovamente e autonomamente l'imposta?
A questo punto mi viene da pensare che non è vero che al numero dei passaggi sia indifferente l'IVA, c'è sempre un aumento ad ogni nuova cessione, a meno che non ci sia un alcun valore aggiunto.
Ma come si quantifica allora il "valore aggiunto"?
Il negoziante, ad esempio, che vende la bottiglia di olio, non è che aggiunga tanto al valore che quella ha già appena uscita di fabbrica mi pare... E così via per tutto il resto.
Quindi, se consideriamo così latamente la possibilità di "aggiungere valore", anche semplicemente tenere un oggetto in esposizione ed essere lì presenti a venderlo (impresa minore), cosa impedisce di considerare "valore aggiunto" uno che vende una casa dopo 4 anni dalla costruzione o dopo che l'ha comprata da una ditta costruttrice?
E invece no, ci paga l'imposta di registro.
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